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IL CASO

Il Grande Fratello dei defunti

Una delibera della Regione Veneto impone la videosorveglianza delle salme. L'esasperazione della burocrazia non conosce fine.

Attualità 29_11_2011
cimitero
Chi non muore si rivede. Per la Regione Veneto questa espressione non è un modo di dire ma una verità scientifica. Infatti, dubbiosa che la prorompente vitalità dei suoi conterranei non si estingua al momento del trapasso, ha pensato bene di emettere lo scorso 8 novembre questa delibera: “la casa funeraria” deve essere dotata “di apparecchiature di rilevazione e segnalazione a distanza per la sorveglianza del cadavere, anche ai fini del rilevamento di eventuali manifestazioni di vita”.

Il parossismo è vizio tipico dell’amministrazione italiana che tutto vuole controllare, tutto prevedere e disciplinare, anche l'impossibile, anche una resurrezione inaspettata. Una volta c’era la Divina Provvidenza che tutto vedeva e a tutto provvedeva. Ora abbiamo i messi comunali. Sulle anticaglie cattoliche – è proprio il caso di dirlo – bisogna metterci su una bella pietra tombale e dimenticarsele. La pignoleria poi in questo caso diviene paradigmatica e sfocia nell’assurdo, distraendo risorse dei contribuenti e fondi economici preziosi da ben altre priorità ed urgenze.

L’invadenza dello Stato diventa davvero perniciosa. Il suo burocratico sguardo non ci lascia tranquilli nemmeno da morti, nemmeno in quel luogo che si distingue per una peculiare pace eterna. Almeno le telecamere del romanzo 1984 di George Orwell, volute dal Big Brother per controllare in ogni istante i suoi sudditi, avevano il buon gusto di essere nascoste e scrutavano solo i vivi. A voler far gli inglesi verrebbe da chiedere il rispetto della privacy post mortem. Esiste infatti quello che la tradizione cattolica chiama pudore: un rispetto dell’intimità personale che perdura anche dopo che abbiamo tolto il disturbo, un riguardo dovuto al nostro corpo perché quando eravamo in vita quest’ultimo era tempio dello Spirito Santo e perchè un giorno sarà chiamato a risorgere. Grazie a Dio quel giorno sarà celato agli occhi indiscreti delle telecamere, per dirla in cattivo giornalese.

La vicenda è significativa anche del processo di scristianizzazione in atto. La pietas cristiana per i defunti ha lasciato il posto allo scrupolo burocratico. Lo sguardo orante di sacerdoti, familiari e amici che si posava sulle spoglie mortali del de cuius è sostituito dall’occhio fesso di una telecamera, dallo sguardo che controlla di un estraneo, di un addetto alla casa funeraria. E in merito a questo povero tapino credo che nessuno di noi vorrebbe essere nei suoi panni dato che il giorno dopo dovrà sbobinarsi o sorbirsi in diretta ore di noia davvero mortale per verificare se qualche suo ospite ci abbia ripensato sul fatto di morire. Perché è cosa facilmente intuibile che la categoria del caro estinto magari a qualcuno starà stretta, preferendo quella del redivivo. E come dargli torto?

Purtroppo questa trovata veneta è fortemente ansiogena per i parenti i quali, guardando anch’essi la telecamere, chissà quando si convinceranno ormai che il proprio caro è davvero passato a miglior vita. All’opposto la Chiesa ha da sempre insegnato ad accettare con serenità il momento della dipartita di parenti e amici, sicura del fatto che la morte corporale non è l’ultima parola nella vita di una persona. La vera speranza non è quella di un’eterna vita terrena, ma di una vita eterna in Paradiso.

Su altro versante la delibera della Regione Veneto si inserisce armonicamente in quello spirito di ospedalizzazione perenne che una certa mentalità salutista vorrebbe diffondere tra i più, convincendoci che solo un monitoraggio costante del nostro corpo ci potrà assicurare un altrettanto perenne benessere. E così la nostra esistenza viene registrata in una scansione temporale fatta di innumerevoli video, foto e lastre, realizzate da quando eravamo nel ventre di nostra madre sino al momento in cui avremo chiuso gli occhi per sempre. Ed anche dopo. Istantanee di vita e di morte. Forse si può parlare di accanimento clinico postumo, di ospedalizzazione ad oltranza, anzi, da oltretomba. O forse è solo una certa pruderie di matrice positivista che tenta di gettare uno sguardo digitale nel misterioso Aldilà?

Il tutto ha poi un sapore di reality horror ad uso privato. E come ogni reality si assiste alla violazione della sfera privata dei partecipanti. Con l’aggravante che nella casa del Grande Fratello questi ultimi sono consenzienti, nella casa funeraria no.