Il governo tira a campare fino alle regionali
Malgrado le promesse di Conte a fine anno, il vertice di maggioranza che avrebbe dovuto affrontare le questioni più spinose è stato rinviato sine die. Sull’ex Ilva la magistratura è intervenuta a togliere le castagne dal fuoco al governo giallo-rosso. Che rimane paralizzato sulla questione Alitalia e usa la crisi internazionale come diversivo. In attesa delle elezioni in Emilia e Calabria.
Rinvio dopo rinvio il Conte bis tira a campare fino alle elezioni regionali del 26 gennaio. Dopo la girandola di promesse e rassicurazioni sciorinate dal premier durante la conferenza stampa di fine anno, alla prova pratica gli alleati di governo evitano di incontrarsi per non litigare e rinunciano a decidere perché sulle cose importanti non sono affatto d’accordo. Il traguardo del voto in Emilia Romagna e Calabria è troppo importante e quindi meglio non mostrare agli italiani l’inconsistenza delle soluzioni messe in campo fin qui dall’esecutivo in economia e la fragilità dell’attuale maggioranza.
Da questo punto di vista, la crisi internazionale e il braccio di ferro tra Usa e Iran e l’esplosiva situazione libica offrono un diversivo ai governanti italiani, che in questo modo occultano le loro divisioni e provano a ricompattarsi di fronte al terrore che la situazione mondiale precipiti. Ma la drammaticità del quadro internazionale non può abbuonare a chi governa un Paese come l’Italia le responsabilità di affrontare le tante emergenze che attanagliano l’economia e il mondo del lavoro.
Sull’ex Ilva di Taranto è intervenuta la magistratura a togliere le castagne dal fuoco all’esecutivo. Infatti, il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso presentato dai commissari dell’Ilva in amministrazione straordinaria (proprietaria dell’impianto attualmente gestito da ArcelorMittal) scongiurando il rischio dello spegnimento dell’Altoforno 2, che avrebbe provocato la crisi definitiva e irreversibile, con effetti devastanti in termini di occupazione. Ma la situazione rimane comunque assai preoccupante e dagli esiti incerti. Ora potrà ripartire la trattativa tra ArcelorMittal e governo, che dovranno trovare un’intesa vincolante per il rilancio del polo siderurgico tarantino entro il 31 gennaio prossimo, dopo il pre-accordo del 20 dicembre scorso.
In ogni caso l’esecutivo non esce bene da questa vicenda e si conferma che la logica dell’attesa e del rinvio ha nuociuto all’azienda e ha alimentato un clima di incertezza, inasprendo le tensioni sociali. Un governo serio e responsabile avrebbe affrontato in altro modo la questione. Il problema è che anche su questo fronte Pd, Cinque Stelle, Leu e Italia Viva hanno posizioni e sensibilità diverse e la paralisi decisionale è conseguenza della paura di far cadere il governo.
Stessa cosa dicasi per Alitalia, azienda-colabrodo che continua a perdere centinaia di milioni di euro per una cattiva gestione che si trascina da tantissimi anni. I potenziali acquirenti, Lufthansa in primis, tirano la corda sapendo di poterlo fare, considerata l’agonia della compagnia di bandiera. Il governo è attento solo alle ricadute elettorali delle proprie decisioni e quindi non manderebbe mai a casa migliaia di dipendenti Alitalia col rischio che la protesta blocchi gli aeroporti e quindi porti alla paralisi del Paese.
Il prolungamento ormai indefinito del prestito-ponte (ora si parla di soluzione definitiva entro maggio, ma è l’ennesimo rinvio) toglie credibilità ad ogni dichiarazione di Giuseppe Conte e dei suoi ministri perché la morale è ormai una sola: affidare la soluzione del caso Alitalia al mercato significa prendere atto che i dipendenti sono troppi e che bisogna licenziarne diverse migliaia. E nessuna maggioranza avrà mai il coraggio di farlo. Meglio allora continuare a vivacchiare, usando i soldi dei cittadini per ripianare le perdite di un’azienda in cronico passivo.
Il vertice di maggioranza che avrebbe dovuto affrontare le questioni più spinose, tra cui quella delle crisi aziendali, è stato rinviato sine die. Lo avevano annunciato tra il panettone e la calza della befana, a cavallo di capodanno, ma Conte e soci hanno preferito rimandare anche quello. E così non si sa quale sia la posizione del governo né in materia di lavoro né sugli altri dossier all’ordine del giorno, in primis il blocco della prescrizione. Su quest’ultimo esistono almeno tre posizioni nel centrosinistra: i Cinque Stelle, che l’hanno proposto e portato avanti; il Pd, che ha annunciato una sua proposta finalizzata a bloccare l’iniziativa dei Cinque Stelle; i renziani di Italia Viva che, pur di impedire gli effetti perversi del blocco della prescrizione, dichiarano di voler votare la proposta presentata dal parlamentare forzista Enrico Costa.
Ma questo tirare a campare farà solo accumulare i problemi allontanando le soluzioni. E se le urne del 26 gennaio dovessero produrre un terremoto nella maggioranza - tale sarebbe una sconfitta in Emilia Romagna e Calabria - tutti i nodi verrebbero al pettine. Nei Cinque Stelle ci sarebbe la definitiva resa dei conti con la messa in discussione della leadership di Luigi Di Maio e nel Pd sarebbero in molti a guardare con interesse alla sponda renziana, che potrebbe garantire il “salto della quaglia” nella prossima legislatura, visto il dialogo serrato tra l’ex sindaco di Firenze e il centrodestra. La strategia del rinvio su tutto, adottata dal Conte bis, ha dunque le ore contate. Presto capiremo se ci sarà un nuovo bizzarro contratto di governo tra gli attuali alleati che sostengono il premier Giuseppe Conte o se la parola tornerà agli elettori.