Il governo Conte è assediato. Non certo dall'opposizione
Volatilità dei mercati finanziari, una Commissione europea sempre più perplessa, critiche dagli organi tecnici (Banca d'Italia, Corte dei Conti e Ufficio parlamentare di bilancio): sono queste le forze che stanno accerchiando il governo Conte e premono perché cambi la manovra finanziaria. Non certo l'opposizione, che resta debole.
La volatilità dei mercati finanziari è lo specchio dell’incertezza che regna da giorni nei Palazzi romani. Lo spread tra Btp e Bund tedeschi nella giornata di ieri è schizzato a 303, dai 294 della chiusura di martedì, per poi invertire la rotta e tornare ai livelli della vigilia a 295, con un rendimento del 3,5%. La situazione resta tesa e non è dato sapere cosa potrà accadere nei prossimi giorni. Certo è che le nubi si addensano all’orizzonte e da Bruxelles c’è qualcuno che arriva perfino a non escludere per l’Italia il ritorno alla lira.
Le forze di governo sanno che si giocano tutto agli occhi degli elettori con questa manovra e stanno cercando di resistere alle molteplici pressioni nazionali e internazionali. I nemici dell’esecutivo sono numerosi già entro i confini nazionali: dopo i rilievi critici di Banca d’Italia e della Corte dei Conti, anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, organo indipendente che ha il compito di validare le previsioni macroeconomiche del governo, ha bocciato la manovra definendola troppo ottimistica. Senza contare i giornali, in larga parte scettici nei confronti delle ricette economico-finanziarie del governo, e i sindacati, pronti a far sentire la loro voce. Più che i partiti di opposizione, molto deboli nella loro azione, ad incalzare Palazzo Chigi sono tutti questi mondi ostili, che appaiono peraltro assai determinati a far saltare la manovra e forse lo stesso esecutivo.
Il dato nuovo delle ultime ore è che financo la figura del Ministro del Tesoro, Giovanni Tria, che fino a qualche giorno fa pareva rassicurare mercati e Ue, ora sembra non bastare e non rappresentare più quell’argine provvidenziale contro la sfiducia montante che si percepisce verso il nostro Paese. Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si è rivolto al mondo delle aziende, sostenendo che «occorre creare sistema per piano investimenti nel rispetto dei ruoli», il che appare un po’ velleitario ma soprattutto non risolutivo rispetto alla portata finanziaria delle soluzioni prospettate dal governo, che richiedono risorse esose e difficilmente reperibili in una situazione di forte indebitamento come quella dello Stato italiano.
Finanziare in deficit il reddito di cittadinanza e la flat tax, senza operare quei tagli che fatalmente porterebbero a scontentare molti elettori leghisti e pentastellati, può essere una strada percorribile a breve, ma non una strategia di medio-lungo periodo. Lo sanno bene i due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che in questo momento hanno bisogno di sostenersi a vicenda. L’obiettivo comune è depotenziare i burocrati europei e sconfiggere, alle prossime elezioni europee del maggio 2019, l’asse tra popolari e socialisti, sostituendolo con un asse tra liberaldemocratici e populisti-sovranisti.
La praticabilità di questo scenario dipenderà, ovviamente, dai numeri che usciranno dalle urne fra poco più di sette mesi. Fino ad allora Salvini non potrà forzare la mano con i Cinque Stelle e dovrà ingoiare il reddito di cittadinanza, che certamente consolida il consenso pentastellato ed erode un po’ quello leghista. Soprattutto al nord, quel sussidio viene visto con fastidio perché secondo alcuni disincentiva la ricerca di un nuovo lavoro da parte dei nullatenenti. E poi restano incognite sui criteri di individuazione della platea dei destinatari e sulle modalità di erogazione. Ma il leader della Lega sa che se Di Maio dovesse essere delegittimato dai suoi e il governo cadesse, non necessariamente si andrebbe a nuove elezioni. Potrebbero spuntare ipotesi di governi di salvezza nazionale, sull’onda di possibili emergenze finanziarie, e a quel punto le carte si rimescolerebbero. I sondaggi fotografano gli umori del momento, ma le cose possono sempre cambiare. E repentinamente, come la parabola discendente del renzismo insegna.
Il caos, dunque, regna sovrano, le cifre continuano ad essere ballerine e, più che i vertici dell’Unione europea, potrebbero essere i mercati, con le loro turbolenze, a dettare un ripensamento e una revisione della manovra, nonostante l’atteggiamento baldanzoso degli esponenti dell’esecutivo.