Il Giappone si riarma contro la Cina
La Cina ha lanciato la sfida dell'espansionismo navale nell'Oceano Pacifico e il Giappone l'ha raccolta, avviando anche il proprio programma di riarmo. Il ruolo defilato degli Usa lascia un vuoto che le potenze locali cercano di colmare.
Provocazioni militari e bellicose dichiarazioni politiche sono gli ingredienti del braccio di ferro in atto tra Tokyo e Pechino scatenato, forse solo pretestuosamente, dalla contesa per la sovranità delle isole Senkaku, sotto controllo giapponese ma rivendicate dalla Cina (che le chiama Diaoyu) come molti altri arcipelaghi sparsi tra il Mar Cinese Orientale e il Mar Cinese Meridionale. A dispetto dei floridi rapporti commerciali tra le due potenze asiatiche il confronto strategico è considerato da molti analisti quasi inevitabile da quando Pechino ha deciso di ampliare il suo status da “potenza continentale” in potenza marittima e quindi “globale”.
Il riarmo cinese sul mare, con il varo di una portaerei (altre sei sono in programma) nuovi sottomarini, cacciatorpediniere e corvette “invisibili” ai radar non poteva lasciare indifferente il Giappone da tempo alla ricerca di un valido “pretesto” per mettere in soffitta le limitazioni imposte ai suoi arsenali dal trattato di pace del 1945. Limitazioni che riducono le spese militari all’1 per cento del Pil (une cifra comunque ragguardevole pari a 59 miliardi di dollari nel 2012), vietano l’export militare e l’adozione di armi offensive. La minaccia di attacco missilistico-nucleare nordcoreana e la decisione di cinese di porre le Senkaku sotto il suo ombrello aereo costituendo una “zona aerea di difesa e identificazione” hanno costituito ottime ragioni per il governo nazionalista di Shinzo Abe di puntare su un riarmo reso necessario anche dall’ambiguo atteggiamento di Washington. La visita in Asia Orientale del vice presidente Joe Biden non solo non ha contribuito a ricomporre la crisi che coinvolge anche la Corea del Sud, ma ha deluso Tokyo che dalla Casa Bianca si aspettava maggiore appoggio e minore timidezza nei confronti di Pechino. Washington si è invece limitata a garantire appoggio agli alleati senza voler entrare nelle dispute circa le rivendicazioni degli arcipelaghi della regione. Ambiguità a cui l’amministrazione Obama non è certo nuova e che se da un lato riducono la credibilità della maggiore potenza del Pacifico dall’altro comportano per gli USA l’indubbio vantaggio di ridurre la propria esposizione strategica favorendo un riarmo degli alleati che solitamente coincide con l’acquisto di miliardi di dollari in armi “made in USA”.
La decisione di Abe di aumentare del 5% le spese militari nei prossimi cinque anni per dotare le Forze di Autodifesa di equipaggiamenti “mirati alla tutela dei territori più lontani” ha portato allo stanziamento di 175 miliardi di euro per l’acquisizione tra il 2014 e il 2019 di nuove armi e mezzi: sistemi d’arma in buona parte di produzione americana come i cacciabombardieri F-35, i droni Global Hawk, i radar e antimissili navali Aegis (statunitensi), i convertiplani statunitensi Osprey in grado di atterrare e decollare verticalmente e i mezzi anfibi per il nuovo corpo dei Marines nipponico.
La nuova crisi nel Pacifico accentuerà la corsa al riarmo in atto già da alcuni anni in tutta la regione compresa tra l’india, gli Stretti malesi e la Penisola coreana e determinata proprio dal potenziamento navale e dall’aggressività cinese nei confronti degli Stati rivieraschi che ha visto negli ultimi tempi aumentare le tensioni con il Vietnam per il controllo delle isole Paracels e con le Filippine per l’atollo Scarborough.
La reazione della Cina, che per le sue forze armate spende ufficialmente il doppio del Giappone (il triplo se si considerano anche i fondi stanziati indirettamente per la Difesa, per un totale di 166 miliardi di dollari nel 2012) all’annuncio del riarmo di Tokyo non si è fatta attendere.
Il portavoce del ministero della difesa, Geng Yansheng, ha accusato il vicino di ''espansionismo militare'' denunciando iniziative che “porteranno ad un incremento della tensione nella regione” e annunciando che “la Cina si oppone fermamente a queste azioni”.
Nonostante Washington abbia concentrato nel Pacifico il 60% della sua flotta, il ruolo sempre più defilato ricoperto dagli Stati Uniti lascia vuoti di potere che le potenze regionali cercano di occupare. Giappone e Cina del resto non sono solo le due maggiori potenze economiche asiatiche ma sono storicamente sempre state rivali fino all’occupazione nipponica di buona parte del territorio cinese conclusasi solo con la sconfitta di Tokyo nella Seconda Guerra mondiale.
Sul fronte navale Cina e Giappone hanno anche molto in comune: per alimentare le loro economie entrambe dipendono dai rifornimenti energetici e di materie prime che vengono approvvigionati in gran parte via mare attraverso rotte la cui sicurezza può essere meglio garantita dal controllo degli arcipelaghi oggi contesi.