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IL FALLITO GOLPE

Il giallo dei golpisti, l'attacco e poi la resa

Il fallito golpe in Turchia consentirà ora a Erdogan di completare col pugno di ferro l’islamizzazione delle forze militari, il cui malumore era cresciuto negli ultimi anni a causa delle ambigue alleanze nel conflitto siriano tra Ankara e le milizie jihadiste salafite, di al-Qaeda e dello Stato Islamico. 

Esteri 17_07_2016
La foto di Erdogan portata in piazza dalla folla

I generali turchi tentano il golpe contro Recep Tayyp Erdogan ma il “pashà” mobilita i suoi scherani e rimanda i militari nelle caserme. I generali fuggono nella “nemica” Grecia chiedendo asilo politico, quasi come degli immigrati clandestini, mentre Erdogan scatena la rappresaglia arrestando 1.500 militari e mandando a casa 2.500 giudici.

Esito a parte, molti aspetti restano da chiarire su quanto è accaduto. Perché i golpisti non si sono preoccupati di catturare subito il presidente Erdogan che si trovava in vacanza a Marmalis? O quanto meno di impedire al suo aereo di decollare? Circa il volo notturno del jet presidenziale, prima dello sbarco trionfale di Erdogan all’aeroporto Ataturk di Istanbul tornato nelle mani dei suoi sostenitori dopo il ritiro dei reparti militari golpisti, i dubbi sono ancora più fitti.

Alle ore 1,26 fonti del Dipartimento della Difesa statunitense avrebbero rivelato a Nbs News che Erdogan si trovava in volo sopra i cieli turchi e che, vedendosi negati i diritti di atterraggio dall’aeroporto Ataturk di Istanbul, avrebbe chiesto asilo in Germania e poi forse in Gran Bretagna. Circostanze tutte da chiarire ma colpisce che il Gulfstream, volo TK8456, su cui apparentemente si trovava Erdogan sia decollato da Dalman solo all’1,46 cioè 20 minuti dopo le rivelazioni del Pentagono alla Nbc.

Gli Stati Uniti schierano in Turchia, nella base di Incirlik, il meglio della loro tecnologia aerea ed elettronica e di certo hanno tenuto d’occhio quanto accadeva la notte scorsa nei cieli turchi. Anzi, corre voce che proprio le cisterne volanti americane abbiano rifornito in volo i jet F-16 lealisti impiegati contro i golpisti. Al di là dell’esito del golpe i motivi che lo hanno ispirato sembrano essere gli stessi che hanno già indotto i militari turchi a intervenire altre tre volte dal 1960 a oggi per evitare che la Turchia “sbandasse”.

Tradizionali garanti della stabilità e soprattutto della laicità dello Stato, i militari hanno sempre salvaguardato la Costituzione laica voluta da Kemal Ataturk che Erdogan punta invece a stravolgere completando la trasformazione della Turchia in uno stato islamico retto dai principi della sharia. Gli obiettivi sono stati enunciati dal “Concilio di pace”, l’organismo costituito dai golpisti, che ha accusato il governo Erdogan di aver «eroso le basi democratiche e secolari del Paese».

Dichiarazione che però non ha indotto le opposizioni, che pure subiscono i soprusi del regime, a sostenere il golpe. Evidentemente i ribelli non potevano contare sul supporto attivo neppure del grosso delle Forze armate, in buona parte rimaste a guardare per attendere il successo di una delle due fazioni prima di sbilanciarsi. La Marina ha preso le distanze dai golpisti ma senza assicurare il suo sostegno al governo e del resto le purghe inflitte negli ultimi anni dai governi islamisti dell’Akp ai vertici militari hanno incrinato quell’unità d’intenti che aveva sempre caratterizzato lo strumento militare turco.

I golpisti hanno voluto rassicurare che la Turchia avrebbe tenuto fede alle alleanze e agli accordi internazionali sottoscritti cercando di apparire affidabili alla Nato e agli Usa le cui prime dichiarazioni, sulle due sponde dell’Atlantico, sono state in effetti molto caute e improntate a non sbilanciarsi in attesa degli eventi. Il fallito golpe consentirà ora a Erdogan di completare col pugno di ferro l’islamizzazione delle forze militari, il cui malumore era cresciuto negli ultimi anni a causa delle ambigue alleanze nel conflitto siriano tra Ankara e le milizie jihadiste salafite, di al-Qaeda e dello Stato Islamico.

Ambiguità e malumori ben noti negli ambienti Nato dove operano da sempre ufficiali e soldati turchi. Il rovesciamento del regime di Erdogan avrebbe rappresentato un duro colpo per il Qatar, sponsor della Fratellanza Musulmana che aveva già dovuto incassare il durio colpo dell’arresto del presidente egiziano Mohammed Morsi, anche in quel caso ad opera dei militari che, in Egitto come in Turchia, costituiscono il baluardo della laicità dello Stato.

Al di là delle frasi di circostanza la caduta di Erdogan non avrebbe indotto gli europei a  sprecare troppe lacrime per un regime che ha contribuito a scatenare la guerra in Siria e non ha perso occasione per minacciare e ricattare l’Europa con le ondate migratorie illegali e la spada di Damocle dei “foreign fighters” jihadisti. Anche se Erdogan non sta certo perdendo tempo nel ripulire gli apparati dello Stato dai simpatizzanti dei golpisti, è ancora presto per capire se il tentato colpo di stato abbia rafforzato o indebolito il regime di Ankara. Di certo un così importante fattore d’instabilità ne ha minato quelle basi di credibilità politica, istituzionale ed economica su cui tanto contava Erdogan per nutrire le ambizioni di potenza regionale.