Il flop referendario e la crisi irreversibile dei sindacati
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Se questi referendum sul lavoro si fossero svolti trenta o quarant'anni fa, il quorum sarebbe stato abbondantemente superato. Non è una "crisi della democrazia" come dice Landini (Cgil), ma è una crisi, irreversibile, dei sindacati.

Il flop del referendum è stato un risultato atteso, ma non per questo meno significativo. Al di là dell'esito negativo, ci sono alcune considerazioni importanti da fare sulla crisi dei sindacati, in particolare della Cgil, che ha trascinato sul terreno del massimalismo anche il Pd e le altre forze di sinistra, con esiti rovinosi per l’intero schieramento che sosteneva i quesiti referendari. Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, parla di crisi della democrazia, ma forse non è esattamente questo il punto. La democrazia non è in crisi perché la gente non è andata a votare per i referendum, ma per altre ragioni più profonde. Anzi, appaiono meritevoli di attenta considerazione le proposte avanzate da diverse forze politiche che chiedono di rivedere il referendum come istituto di democrazia diretta, auspicando un innalzamento della soglia delle firme da raccogliere, al fine di evitare che lo Stato spenda centinaia di milioni di euro per consultazioni con quesiti assai tecnici e di difficile comprensione da parte della stragrande maggioranza dei cittadini, che infatti disertano le urne.
In ogni caso, la provocazione di Landini è fuori luogo. I problemi dell’Italia sono altri, e ben più gravi dell’astensionismo nei referendum. La burocrazia che strangola la vita di persone e imprese, gli scioperi selvaggi che paralizzano il funzionamento dei servizi e riducono la produttività, la politicizzazione dei media e la politicizzazione dei sindacati stessi sono tutti fattori che contribuiscono a questa crisi della democrazia. I sindacati, un tempo interpreti attenti degli interessi dei lavoratori, ora sembrano degradati a consorterie di potere con ambizioni politiche. I lavoratori, dal canto loro, aspirano piuttosto a tutele aziendali e non credono più nei partiti e tanto meno nei sindacati.
Il Pd è in crisi profonda e il referendum è stata una disfatta per i dem, che avevano trasformato le urne in una succursale del Nazareno e il referendum in una sorta di congresso di partito sperando di lanciare l’offensiva contro il governo Meloni. Ora questo “congresso” proseguirà nelle prossime settimane nei termini di uno scontro fratricida tra correnti e sarà un momento importante per capire quale direzione prenderà il partito. I riformisti chiederanno probabilmente alla segretaria di dare più spazio alle tesi moderate e di non appiattirsi sul massimalismo ideologico e sul collateralismo con i sindacati che non porterà mai a vittorie elettorali.
Ma il dato più evidente che emerge da questa tornata referendaria è la crisi irreversibile del sindacato. La parcellizzazione delle sigle sindacali fa sì che basti una sola di esse a proclamare uno sciopero per paralizzare il funzionamento del paese. La Cisl, ad esempio, non ha appoggiato i referendum sul lavoro e la cittadinanza, evidenziando una scollatura con gli altri sindacati.
Secondo Roberto D'Alimonte, professore di Sistema Politico Italiano alla Luiss Guido Carli, la crisi dei partiti e la demografia sono fattori importanti dell'astensionismo in Italia. La crisi dei partiti spiega molto, ma non tutto. Anche la demografia ha il suo peso, con le persone più anziane che escono di scena e i giovani che entrano nel mercato elettorale con meno interesse per la politica, per i partiti e per i sindacati.
Pietro Ichino, professore di Diritto del Lavoro, sostiene che i sindacati devono cambiare il loro ruolo e occuparsi prioritariamente di garantire sicurezza economica e professionale alle persone nel mercato del lavoro. I sindacati confederali italiani si sono costruiti intorno alla contrattazione di livello nazionale, ma questo modello non funziona più nell'economia globalizzata.
In questo scenario, è difficile pensare che i sindacati possano tornare a essere rappresentativi dei lavoratori senza un cambio di passo significativo. La crisi della democrazia non è solo una questione di partecipazione elettorale, ma anche di rappresentanza degli interessi dei cittadini e dei lavoratori.
I quesiti dei referendum di domenica e lunedì avrebbero ottenuto ben altro riscontro trenta o quarant’anni fa quando i sindacati suscitavano fiducia nei lavoratori, a prescindere dal credo politico. Il collateralismo tra Cgil e vecchio Partito Comunista è stato per lungo tempo una costante delle dinamiche politiche italiane, mentre oggi il movente della mobilitazione sindacale appare sempre più quello di preparare una carriera politica a chi guida la Cgil, esattamente come accaduto con Susanna Camusso, ora parlamentare.
In uno scenario così opportunistico e utilitaristico, in cui la tutela delle condizioni di lavoro sembra fare capo a rappresentanze aziendali più che a sigle sindacali nazionali, con una progressiva frantumazione della rete di interessi che un tempo era riconducibile alla Triplice, i sindacati appaiono in una crisi irreversibile di identità e di funzioni e stanno trascinando il Pd e altre forze di sinistra in una deriva ideologica sterile e destinata all’insuccesso. Il centrodestra sentitamente ringrazia.