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BIOPIC A METÀ

Il film su Tolkien? C’è una grande assenza: la sua fede

La pellicola sull’autore del Signore degli Anelli ha attori di prima scelta ma presenta la pecca di sorvolare sulla fede cattolica di Tolkien, per lui fondamentale sia nella vita quotidiana che per l’ispirazione delle sue opere. Il film descrive poi solo il Tolkien giovane (il resto è lasciato ai titoli di coda) e lo presenta come un tormentato, mentre in realtà non lo fu affatto.

Cultura 05_08_2019

Tutti i fan de Il Signore degli Anelli, e si tratta di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, presumibilmente si precipiteranno a vedere il film, Tolkien, sulla vita dell’autore. Anzi, molti lo vorranno vedere in anteprima e pazienza per la lingua. Io, che faccio parte sia dei primi che dei secondi, me lo sono sorbito in originale ed ecco il mio commento: due ore che potevo impiegare meglio.

Oh, il film è fatto bene, gli attori sono di prima scelta, la ricostruzione è accurata, eccetera eccetera. Ma anticipiamo subito che c’è una grande assenza: la religione. La religione cattolica, per la precisione, che per Tolkien fu fondamentale sia per la vita di tutti i giorni che per l’ispirazione della sua intera opera. Il film, biopic come viene definito il genere, parla solo del giovane Tolkien e si ferma dove dovrebbe cominciare, cioè dalla pubblicazione nel 1934 de Lo Hobbit e, con essa, l’inizio del lancio di Tolkien come scrittore. Tutto viene liquidato, secondo una moda ormai consolidata nei film tratti da storie vere, con le scritte finali sullo schermo, in coda al film, e che si spera che lo spettatore legga prima di guadagnare l’uscita.

Noi sappiamo che l’evento che realmente segnò Tolkien fu il sacrificio della giovane madre Mabel, ripudiata dai parenti perché si era convertita al cattolicesimo e perciò abbandonata mentre moriva di diabete. Invece, nel film, l’unico accenno al cattolicesimo è pure odioso, nella migliore tradizione hollywoodiana: padre Francis Morgan, il prete che si prese cura dei due orfanelli Tolkien, rimprovera John R.R. perché l’ha visto uscire a tarda ora dalla stanza di Edith Bratt. Divieto di frequentarla fino alla maggiore età. Be’, a parte il fatto che Edith era di qualche anno più anziana di John R.R. e, dunque, maggiorenne prima di lui, l’episodio così come è presentato (il cinema è emozione), mette in scena la solita bacchettoneria sessuale del clero papista, come è stato a lungo, e per molti è ancora, nell’immaginario del pubblico anglosassone.

Evidentemente il regista (Dome Karukoski) e i soggettisti hanno tenuto presente un target ben preciso. O più semplicemente hanno riproposto quel che hanno capito loro. Il che, va detto, non è molto per un personaggio di tale portata. Tolkien nel film è un tormentato (nell’immaginario comune lo scrittore lo è sempre), mentre nella realtà non lo fu affatto. Ebbe una vita tranquilla e serena, un crescendo di successi che non gli diedero alla testa, una sola moglie (anzi, una sola donna), tutti i figli che gli riuscì di generare, amava le cose semplici e detestava le eccentricità, ebbe una bellissima carriera accademica e morì nel suo letto sorridente così come era vissuto.

Prese parte alla Grande Guerra ma in battaglia non ci andò mai. Invece, nel film eccolo in trincea, dove gli orrori che vede gli ispirano i Nazgûl e Sauron. Vabbè, non sottilizziamo. Il problema stava, semmai, a monte: come fare un film su una vita in cui non è mai successo niente? Eppure, bastava spostarsi in avanti: non i primi trent’anni ma i successivi quaranta. Ecco allora il Tolkien profeta, che all’ora della crisi di Monaco divinava: «Si può ritenere che la Russia sia molto più responsabile della crisi attuale di quanto non sia Hitler stesso».

Tornando al film, gli attori sono somiglianti: Nicholas Hoult (la Bestia Blu nella saga Marvel degli X-Men), Lily Collins (figlia di Phil, batterista dei Genesis), Colm Meaney (padre Francis), Derek Jacobi (il prof. Wright). Ma non c’è paragone, per esempio, con Viaggio in Inghilterra, che il regista Richard Attenborough nel 1993 trasse dalla vita di C.S. Lewis, il grande amico di Tolkien (e interpretato da Anthony Hopkins). Il quale, riferendosi all’opera del collega, così scrisse: «Queste storie non furono scritte per riflettere alcuna reale situazione del mondo. Piuttosto accadde il contrario: gli eventi reali cominciarono a conformarsi, orribilmente, alla vicenda che lui aveva inventato».

Ancora oggi a Oxford i cattolici sono sepolti fuori, in una porzione riservata ai papisti del cimitero municipale di Wolvercote. Qui giace Tolkien («Beren») accanto alla moglie («Luthien»). Ma i titoli di coda accennano solo alle date.