Il film che racconta il dramma della rivoluzione khomeinista
Tratto da una storia vera, Shiraz, la città delle rose, con Adrien Brody e Salma Hayek racconta la rivoluzione khomeinista da un punto di vista di lotta di classe dove per gli ex "padroni" il Paese è un inferno da cui scappare.
Se volete vedere un film (forse l’unico) che descrive quant’era (è) “bella” la rivoluzione khomeinista in Iran guardatevi Shiraz, la città delle rose. Il titolo, come al solito in l’Italia, è, diciamo, creativo, così che uno spettatore, dopo aver visto il film, non capisce che cosa c’entri. E’ tratto da una storia veramente accaduta narrata in un libro con un titolo del genere. Però il titolo originale del film è Enemy land, «territorio nemico», che rende meglio l’idea di un posto dove stavi bene ma che dall’oggi al domani diventa un inferno da cui scappare.
I due protagonisti sono attori di serie A, Adrien Brody e la messicana Salma Hayek. Impersonano Isaac Amin, ricco gemmologo ebreo, e sua moglie. Vivono a Tehran. Coppia agiata, con un figlio che studia al college negli Usa e una bambina che sta ancora con loro. Lui è anche un commerciante di pietre preziose. Fattosi da sé, possiede una gran bella casa e una cospicua fortuna.
La vicenda si svolge nel 1979, quando lo Scià viene cacciato e l’ayatollah sciita Ruollah Khomeini prende il suo posto. Nella nuova Repubblica le posizioni di ognuno si ribaltano. Come in tutte le rivoluzioni, la schiuma viene a galla e molti si ritrovano comandati dai propri servi e dipendenti. E’ il caso del mercante ebreo. La colf di casa è una iraniana che, con suo figlio, soffriva la fame prima che il gioielliere la assumesse, lei in casa e il figlio nella sua ditta.
Le nuove Guardie della Rivoluzione arrestano il mercante e lo sbattono in una fetida cella. Senza un perché. Alla moglie viene impedito di visitarlo. Adesso, tutte le donne devono portare il velo, vietato l’alcol. Adesso, una capitale un tempo prospera e moderna è un immondezzaio a cielo aperto, con bande di fanatici armati che scorrazzano a loro piacimento. Dai lampioni pendono gli impiccati. La casa del mercante viene svuotata di tutto, perfino i lampadari e i soprammobili. Nessuno deve essere ricco. Il mercante viene pestato ripetutamente. La sua ditta viene saccheggiata. Il più accanito è proprio il figlio della colf, che ha sempre odiato il suo datore di lavoro, reo di essere ricco e lui no.
La colf umilia la sua ex padrona più volte, ma quando si accorge di quel che sta facendo il figlio ha una resipiscenza. E quel che sta facendo il figlio è questo: ha trafugato una lettera in cui lo Scià ringrazia il mercante per la bella parure che ha composto per l’imperatrice. E’ la prova che gli aguzzini cercavano, a bastonate nelle piante dei piedi, di una sua «complicità» col vecchio regime. Lui riesce ad aver salva la vita «donando» tutto il suo conto in banca alle Guardie della Rivoluzione. Poi, pagando (salatissimo) con le ultime pietre preziose (nascoste per un bisogno) i trafficanti di uomini, passa nottetempo il confine con la famiglia e i soli abiti che indossano. La (sola) vita è salva, e va già bene così.
Povero Iran, dalla fine della Grande Guerra in mano ai petrolieri anglo e poi americani. Nel 1953 defenestrarono il primo ministro Mossadeq, reo di voler nazionalizzare la principale risorsa del Paese. Poi, con la Guerra Fredda, la cosiddetta «dottrina Brzezinski» riesumò Khomeini, in esilio a Parigi, e lo mandò a Tehran. L’idea era che la rivoluzione islamica avrebbe potuto far da detonatore in tutte le repubbliche sovietiche confinanti e di fede musulmana. In quel momento sembrava una buona idea. Ma l’Urss crollò per altri motivi. E intanto il dottor Frankenstein aveva fabbricato un altro mostro.