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PAPA FRANCESCO

Il falso mito di Bergoglio progressista

Papa Francesco piaceva ai progressisti, grazie a una serie di dichiarazioni più o meno comprese e mal interpretate. Ma questo autunno sembra di avere un Papa tradizionalista. Abbiamo capito che questo Papa rompe gli schemi.

Ecclesia 22_11_2013
Papa Francesco

In principio fu Leonardo Boff. L'ex frate rimasto francescano nello spirito ma non nella sostanza considerato uno degli esponenti di punta della Teologia della Liberazione, aveva salutato l'avvento di Jorge Mario Bergoglio al Soglio di Pietro come come l'ascesa al papato del primo Pontefice progressista. In Francesco, Boff vedeva addirittura una "vitalità" che avrebbe "fatto finire il duro inverno" e portato la chiesa universale "nella primavera". Ai peana in favore del nuovo Papa va annoverato anche chi, della lunga intervista concessa da Francesco a bordo dell'aereo che lo riportava a Roma dopo la Giornata mondiale della gioventù di Rio, mise bene in evidenza solo il "chi sono io per giudicare?", detto dal Pontefice riguardo la condizione degli omosessuali. Peccato che poi il Papa avesse rimandato per ogni dettaglio e approfondimento sul tema a quanto dice il Catechismo della Chiesa cattolica. Quello scritto da Joseph Ratzinger per conto di Karol Wojtyla. Uscite che fecero sobbalzare più d'uno anche a destra, dove si leggeva nelle parole e nei gesti del nuovo Papa una discontinuità rispetto al predecessore.

A fine settembre, poi, Repubblica usciva in edicola con una conversazione tra Francesco ed Eugenio Scalfari intitolata "Così cambierò la chiesa". Molti virgolettati attribuiti al Papa avevano creato qualche imbarazzo ("Aprire alla cultura moderna", “ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male, noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene"), al punto che pochi giorni dopo la pubblicazione del testo interveniva il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Lombardi, per prenderne le distanze prima di annunciarne la cancellazione definitiva in quanto "non attendibile nelle singole valutazioni". Per irrobustire le perplessità dei conservatori e tradizionalisti, bastava gettare lo sguardo a Bologna, dove i discepoli di Giuseppe Alberigo esultavano per la venuta del Papa che finalmente realizza il Concilio. Lo storico Alberto Melloni, ad esempio, sottolineava come Francesco del Vaticano II parli poco "perché lo attua nei fatti". Il culmine dell'innamoramento si è registrato lo scorso 29 giugno, festa dei Santi Pietro Paolo. Quella mattina, nella basilica vaticana, il Pontefice diceva "dobbiamo andare per questa strada della sinodalità", vecchio auspicio conciliare. Ci si dimenticava, però, di notare che in quella circostanza Bergoglio aveva detto sì alla sinodalità, "ma in armonia con il servizio del primato".

Dopo la lunga luna di miele estiva, qualcosa è cambiato nella percezione del Papa. Ad Assisi, il 4 ottobre, nella Sala della Spoliazione, il Pontefice ha abbandonato il testo preconfezionato e ha parlato a braccio. Ha iniziato il discorso con un rimbrotto ai giornalisti: «In questi giorni, sui giornali, sui mezzi di comunicazione, si facevano fantasie. 'Il Papa andrà a spogliare la chiesa, lì!'. 'Spoglierà gli abiti dei vescovi, dei cardinali; spoglierà se stesso'. Quando nei media si parla della Chiesa, credono che la Chiesa siano i preti, le suore, i vescovi, i cardinali e il Papa». La Chiesa, aggiungeva Francesco, «deve spogliarsi di un pericolo gravissimo, che minaccia ogni persona nella Chiesa, tutti: il pericolo della mondanità. Il cristiano non può convivere con lo spirito del mondo. La mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all'orgoglio».

Il richiamo umbro del Papa era forte, ma ben presto fu oscurato dall'indizione del Sinodo sulla famiglia. È bastato leggerne il titolo scelto per assistere a voli pindarici e dare per certe e scontate aperture sulle "nuove famiglie" e sul riaccostamento ai sacramenti dei divorziati risposati. Si prendeva, a mo' di giustificazione, sempre quel "chi sono io per giudicare?". Il segretario del Sinodo, mons. Bruno Forte, assicurava che si sarebbe parlato di "tutto", mentre il presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, mons. Vincenzo Paglia, tentando malamente di imitare Bergoglio, garantiva che la misericordia condona tutto. Ma anche qui, arrivava ben presto l'alt papale. Con un lungo contributo ripubblicato a fine ottobre sull'Osservatore Romano, il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, mons. Gerhard Ludwig Muller, chiariva che il matrimonio è indissolubile e che romperlo significa peccare, violare un patto sancito da Dio. Un altro paletto ben saldo nel terreno era rappresentato dal documento che accompagna il celebre questionario in vista dell'appuntamento sinodale. In quel testo, ancora una volta, si chiarisce che tra i punti di partenza per la discussione ci sono il Catechismo e l'enciclica Humanae Vitae.

Se non bastasse, mentre tra le alte gerarchie ecclesiastiche c'era chi aveva iniziato a parlare di famiglie al plurale, intendendo sia quella vecchia sia quelle nuove, durante la visita al Quirinale della scorsa settimana Francesco spiegava che la famiglia (al singolare) rappresenta «il luogo primario in cui forma e cresce l’essere umano, in cui si apprendono i valori e gli esempi che li rendono credibili».

A rimescolare le carte e a instillare ancora più dubbi, poi, ci pensava il plauso pubblico rivolto dal Papa a monsignor Agostino Marchetto, capofila della corrente che contesta alla radice l'ermeneutica della discontinuità del Concilio fatta propria dalla Scuola di Bologna: «Lei è il miglior ermeneuta del Vaticano II», ha scritto Francesco in una lettera consegnata personalmente al monsignore vicentino. Tre giorni dopo, da Santa Marta, Francesco tuonava contro «il progressismo adolescenziale che non esista a rinnegare le proprie tradizioni e la propria identità». Negoziare valori, aggiungeva, «che alla fine sono talmente svuotati di senso da restare soltanto valori nominali, non reali». Ammoniva, nell'omelia mattutina, sui rischi derivanti dall'accettare "questo pensiero unico", frutto «dello spirito della mondanità che anche oggi ci porta a questa voglia di essere progressisti».

La continua sorpresa per le parole e i gesti del Papa indica che, a ormai più di otto mesi dall'elezione, è impossibile ingabbiare il gesuita Bergoglio in una delle tradizionali categorie con cui da decenni si tenta di classificare correnti e tendenze della Chiesa. La situazione è più complessa, progressismo e conservatorismo sono categorie inapplicabili a Francesco. È il primo Pontefice a non aver partecipato al Concilio dai tempi di Pio XII, è diventato prete nel 1969, quando si celebrava già coram populo e le dispute tra Ottaviani e gli episcopati riformatori del Nord Europa erano affidate ormai agli atti. Non è stato impelagato nelle diatribe tra Padri conciliari che si sono trascinate per anni. Quel che si sa perché riscontrabile negli scritti del cardinale Bergoglio, nelle sue omelie in terra argentina e nei suoi discorsi pubblici, è che mai è stato legato alla teologia della liberazione dei Boff, la quale poneva l'accento sull'elemento marxista. Se essere progressista in Sud America significava far propria quella pietà popolare teorizzata dal teologo Juan Carlos Scannone, allora Bergoglio è progressista. Ma se conservatore significa definire le nozze omosessuali "una pretesa distruttiva del piano di Dio" in cui chiara e visibile è la mano del Diavolo, allora Bergoglio è da annoverare tra le fila degli iperconservatori. Francesco rappresenta probabilmente il miglior esempio che rende vera una vecchia affermazione del grande teologo Hans Urs von Balthasar, secondo cui i Papi conservatori e progressisti non lo sono mai fino in fondo, perché è la missione a determinare la persona.