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cronaca nera

Il dramma di Traversetolo riapre la domanda sull'aborto

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Per la Procura il fine della studentessa indagata era «la soppressione del proprio figlio, prima, in occasione, o dopo il parto». Corale indignazione ma se quel «prima» fosse avvenuto per via medica non si parlerebbe di delitto bensì di diritto. 

Editoriali 21_09_2024

L’emergere di nuovi particolari non placa gli angosciosi interrogativi sul macabro ritrovamento dei due neonati in località Vignole di Traversetolo, nel Parmense. Anzi, ogni dettaglio ricostruito non fa che accrescere l’«altissima drammaticità» e lo «sgomento» di cui parla il comunicato del 20 settembre firmato dal procuratore di Parma, Antonio D’Avino, in merito all’indagine sulla studentessa 21enne, madre di entrambi i neonati, da ieri agli arresti domiciliari. «Con l’esecuzione della misura cautelare a carico dell’indagata Chiara P (...) sono venute in gran parte meno le esigenze connesse al segreto di indagine», non ovviamente la presunzione di innocenza, come a più riprese ribadisce il procuratore.
Attualmente la ragazza risulta «gravemente indiziata per i delitti di: omicidio volontario aggravato dal rapporto di ascendenza e dalla premeditazione (artt. 575-576 comma 2, c.p.), commesso in Traversetolo il 7.8.2024; soppressione di cadavere, commesso in Traversetolo il 12.5.2023». Come ormai sappiamo, quest’ultimo capo d’accusa è riferito al parto e alla sepoltura di «un neonato alla 40° settimana di gravidanza» sui cui resti sono «in corso accertamenti medico-legali» e pertanto al momento «non vi è stata contestazione cautelare».

Il comunicato ricostruisce gli eventi finora accertati (fermo restando che «l’indagata ha ora tutta la possibilità di esporre al GIP la sua versione dei fatti per contrastare la ricostruzione operata dalla pubblica accusa»).  La vicenda appare ancora più incredibile, specialmente alla luce del secondo ritrovamento che ha imposto un orribile flashback: «Ancora una volta, una gravidanza nascosta, apparentemente al mondo intero, un parto a casa in solitaria senza alcuna assistenza sanitaria, con successivo disfacimento della placenta nel water e seppellimento del cadavere nel giardino». L’agghiacciante parvenza di normalità è confermata dalla ricostruzione della «serata del 7.8 (quindi la sera dopo il secondo parto)» e dell’indomani, trascorsi tra bar, pizza, estetista e locali, inclusa la notte insieme al fidanzato ignaro di tutto. Quindi la partenza per gli States con la famiglia.

Confermata anche l’estraneità di familiari e fidanzato – come già indicato il 16 settembre – che rende ancor più surreale la gravidanza e il parto a loro totale insaputa (per ben due volte), al di là del macabro esito. Anzi, emerge «la loro sorpresa [dei genitori] nell’apprendere, prima (appena arrivati negli Stati Uniti) del rinvenimento del piccolo cadavere nel loro giardino; poi (appena rientrati in Italia, in occasione della convocazione presso i CC per la notifica di alcuni atti) della riferibilità del neonato rinvenuto alla loro figlia Chiara e al di lei fidanzato, G.S.». Inoltre, proprio in merito a un’eventuale maternità di Chiara, sapendo «che talvolta Chiara e S. dormivano insieme (...) il padre avrebbe manifestato l’aspirazione a “diventare nonno”», il che elimina in partenza l’ipotesi di un gesto dettato dalla paura della reazione in famiglia.

Unico “interlocutore” il web, dove Chiara cerca informazioni su quello che appare come unico fine: «la soppressione del proprio figlio, prima, in occasione, o dopo il parto». Le ricerche effettuate vanno da come nascondere la gravidanza a come causare un aborto. E il giorno stesso del parto risulta «una ricerca che non richiede né commenti né spiegazioni: dopo quanto puzza un cadavere». L’obiettivo è sempre quello: disfarsi del bambino e poi far sparire il cadavere. «Al contrario, nella cronologia delle ricerche internet non si trova mai, nemmeno una volta, una ricerca in senso opposto alla morte, che evochi la vita e la salute del bambino. Nulla ad esempio sul parto in anonimato o anche solo sull’affidamento o sull’adozione di un neonato, che pure avrebbero potuto dimostrarsi vie alternative all’omicidio».

Una volontà di morte perseguita fino in fondo, senza risparmiare nessuno. Il procuratore ripete ben quattro volte il termine «sgomento»: «per due piccole vite stroncate e che non hanno potuto avere, finora, una sepoltura dignitosa»; «per una famiglia che a sua volta dovrà prendere consapevolezza del dramma che si è consumato tra le mura domestiche»; «per un giovane – il fidanzato dell’indagata – privato per ben due volte di una paternità alla quale avrebbe avuto diritto di aspirare»; e «anche per una vita – quella della giovane madre – che da oggi appare destinata a cambiare, perché ella dovrà prendere piena coscienza di quel che è accaduto e di quel che accadrà in seguito».

Sgomento che inevitabilmente colpisce l’opinione pubblica, come sempre avviene in casi simili, dove l’orrore scalda gli animi. Chi mai resterebbe indifferente di fronte a due corpicini sepolti nel giardino e, a quanto pare, messi a morte dalla stessa donna che li ha portati in grembo? Se il fine di Chiara era (citando il comunicato) «la soppressione del proprio figlio, prima, in occasione, o dopo il parto», quel «prima» lo si può fare in tanti modi e nessuno si sarebbe indignato – al contrario! – se il «proprio figlio» invece che partorito in bagno e sepolto in giardino fosse stato discretamente eliminato pochi mesi prima attraverso una procedura medica perfettamente legale definita, con asettica terminologia, “interruzione volontaria di gravidanza”. E non si parlerebbe affatto di “delitto”, bensì di “diritto”. Ma allora, in questa drammatica vicenda, cos’è che suscita corale indignazione: il fine o “solo” le raccapriccianti circostanze in cui è stato perseguito?