Il diritto naturale secondo Joseph De Maistre
L'editore Fede&Cultura ripropone il classico di Joseph De Maistre Le Serate di San Pietroburgo. Il conte savoiardo, perseguitato dalla Rivoluzione Francese e poi ambasciatore in Russia, demoliva il concetto giacobino dei diritti umani.
Qualcuno dei più anziani tra voi, cari lettori, avrà nella sua biblioteca uno dei classici del pensiero politicamente scorretto, Le serate di San Pietroburgo di Joseph De Maistre, conte savoiardo e ambasciatore presso lo Zar (il libro uscì per la prima volta nel 1821). Se non ne ha mai sentito parlare, ma il nome De Maistre non gli è nuovo, forse si ricorda vagamente quando al liceo l’insegnante di francese gli faceva studiare in lingua originale Colomba o Il lebbroso della città di Aosta. Erano opere di Xavier De Maistre, letterato e fratello del Nostro. Chi ha già il libro di Joseph, ha per forza l’edizione Rusconi dei primi anni Settanta, quando il compianto editor Alfredo Cattabiani faceva conoscere agli italiani chicche come Il Signore degli Anelli, e scusate se è poco.
Ma, quelli più giovani, con molta probabilità nulla sanno delle Serate di San Pietroburgo. Perciò, consiglio loro di mettere nella loro biblioteca, nella sezione «pietre miliari», la nuova edizione Fede & Cultura, completamente ritradotta da Carlo Del Nevo (che ci ha pure messo qualcosa come settecento note erudite) e prefata da Ignazio Cantoni (figlio di Giovanni, il fondatore di Alleanza Cattolica), il quale, di suo, ha impiegato quaranta pagine e centocinquanta note. Per i più giovani: se vi spaventano questi numeri, sappiate che il libro può essere anche aperto a caso (sono «serate», cioè colloqui). Dovunque lo apriate vi intrigherà. E finirete col leggerlo tutto, anche se a pezzi.
Ecco, il sottoscritto dà l’esempio per primo. Apre a caso e si imbatte in un passo in cui il Conte (gli altri personaggi con cui questi parla sono il Senatore e il Cavaliere) disquisisce sulla Dichiarazione Universale dei Diritti giacobina, carta fondamentale con cui i giacobini attribuirono ogni diritto alla loro fazione per toglierli a tutti quelli che non ne facevano parte. Vi ricorda qualcosa? Bene, come sapete, anche oggi ci fondiamo tutti quanti sull’aggiornamento che di quella Dichiarazione fece l’Onu nel 1948. Oggi, a colpi di «diritti umani», come sapete, ancora una volta quattro gatti autocooptati stanno cercando di imporre il loro –ismo preferito, per amore o per forza, al pianeta.
Infatti, ancora una volta, c’è una cricca che per «diritti umani» intende solo l’elenco che ha stilato lei, e gli altri dovranno adeguarsi, piaccia loro o no. Questo, in Occidente. Altrove vigono Dichiarazioni d’altro genere e, alla fine, è solo il deterrente bellico a mantenere l’attuale pluralità. Ciò non toglie che ognuna di queste «carte dei diritti» aspetti solo il momento buono per estendersi al globo. In detto globo l’unica entità che ribadisce l’acqua calda è la Chiesa. E l’acqua calda è questa: esiste una legge naturale, la quale rimanda al Creatore; ogni «dichiarazione di diritti» che non si fondi su di essa non solo è arbitraria e campata in aria ma finisce infallibilmente per produrre inferni in terra. Noi, che abbiamo visto i due secoli di massacri e genocidi seguiti all’antesignana delle Dichiarazioni di Diritti, siamo in grado di apprezzare il genio di De Maistre che li previde prima – addirittura - del 1821.
Nella sua ironia colloquiale così derideva i «diritti» stilati a tavolino da un gruppetto di avvocatuzzi di provincia e gazzettieri falliti che avevano avuto la ventura di scippare il potere: «Certi indiani (dell’India, ndr) dicono che la terra poggia su un grande elefante; e se si domanda loro su che cosa poggi l’elefante rispondono: su una grande tartaruga. Fin qui tutto bene, e la terra non corre il minimo rischio; ma se li si incalza e si domanda ancora loro quale sia il sostegno della grande tartaruga, tacciono e la lasciano per aria».
Joseph De Maistre, Le Serate di San Pietroburgo, Fede&Cultura, pp. 400