Il diritto di recesso nell'utero in affitto si chiama aborto
Una donna affitta il proprio utero ad una coppia gay. Le scoprono un tumore e la coppia le chiede di abortire.
La californiana Brittney Pearson, di 37 anni racconta al Daily Mail la sua tragica avventura di donna che affitta il proprio utero, in questo caso ad una coppia gay maschile. A 22 settimane di gestazione le scoprono un cancro al seno (la Pearson era alla sua seconda surrogazione, quindi ci può essere il sospetto che tale tumore sia l’esito dei bombardamenti ormonali a cui si è sottoposta nella prima surrogazione). Inizialmente si decise di trattarla con la chemio e di far nascere il bambino alla 34esima settimana.
Poi però le analisi evidenziarono che il tumore era particolarmente aggressivo e che quindi si sarebbe dovuta sottoporre a chemio più pesanti. A quel punto le soluzioni prospettate potevano essere due: continuare la gravidanza fino alla 34esima settimana, come da accordi, oppure indurre il parto prima di questo termine. La coppia gay non accettò nessuna delle due soluzioni perché la prima poteva comportare dei danni, a motivo della chemio, al feto e la seconda avrebbe loro consegnato un bimbo fortemente pretermine e che quindi avrebbe potuto avere seri problemi di salute. La coppia allora chiese alla donna di abortire.
La Pearson allora propose di farlo nascere per poi darlo in adozione. Pare che la coppia si sia opposta perché non voleva che il loro DNA (uno dei due è padre biologico del bambino) se ne andasse in giro per il mondo. La coppia minacciò una causa legale che intimorì anche i medici. La donna dovette cambiare ospedale e far nascere il bambino altrove, dove però venne alla luce morto.
Donna e bambino trattate come cose. Se il prodotto è difettoso è meglio scartarlo. Il diritto di recesso nella pratica della maternità surrogata si chiama aborto.