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ORA DI DOTTRINA / 42 - IL SUPPLEMENTO

Il Dio nascosto dietro il velo della realtà fisica

Una serie di difficoltà vissute e soprattutto la morte della sorella più giovane Mary Sophia conducono John Henry Newman a scoprire come il cristianesimo sia una realtà e la fede il modo di afferrare Dio dietro il velo del mondo fisico e della storia umana.

Catechismo 23_10_2022

Il giovanissimo John Henry Newman rimane al college di Ealing, dove aveva vissuto la sua “prima conversione” fino al 1817. Anno in cui entra nel Trinity College di Oxford e, all’età di 21 anni, supera l’esame per divenire fellow dell’Oriel, il più prestigioso college di Oxford. Nella fellowship di Oriel, Newman subisce l’influenza di un particolare gruppo di intellettuali, chiamati “noetici”, tra i quali spicca la personalità di Richard Whately, particolarmente intriso di razionalismo nel suo approccio con la Sacra Scrittura. Sul finire del 1823, insieme ad altri fellows, inizia a frequentare delle lezioni di teologia per poter essere ammesso agli ordini sacri.

Il 13 giugno del 1824 viene ordinato diacono ed inizia così a dedicarsi alla cura pastorale nella parrocchia di St. Clement’s. Il suo primo sermone gli costerà, da parte di Whately, la critica di non aver compreso la rigenerazione battesimale, così come emerge dalle lettere di San Paolo. Critica che Newman vivrà a modo suo, ossia arrovellandosi incessantemente per cercare di capire dove stia la verità. Nei suoi Autobiographical Writings si intuisce quante risorse interiori abbia riversato in questa questione: «Di recente ho pensato molto al tema della grazia della rigenerazione […]. La scorsa notte ero così angustiato e a terra che un piccolo sgarbo ricevuto mi ha quasi fatto piangere».

L’impegno pastorale, che Newman aveva preso molto sul serio, l’attrito teologico con Whately, la morte del padre, il 29 settembre 1824, all’età di soli cinquantanove anni, che per lui comporterà una presa in carico della propria famiglia, l’ordinazione presbiterale, le lezioni a pagamento a numerosi studenti, l’incarico assunto di Vice Principal del St. Alban Hall e, goccia che fa traboccare il vaso, lo studio frenetico per prepararsi all’incarico di commissario d’esame, lo conducono ad un forte esaurimento. Sindrome da Burn-out, diremmo oggi, che lo costringe ad interrompere gli esami. E poi un evento che lo segnerà per sempre: la morte della sorella più giovane Mary Sophia, all’età di diciannove anni.

La malattia, che egli descriverà come «tediosa e lacerante», colpisce ancora una volta Newman, com’era già accaduto nella sua adolescenza (vedi qui). Questa volta accompagnata da due dolorosi lutti. Un accenno nell’Apologia ci mette sulla strada per intuire quale peso ebbero questi eventi nella sua vita: «La verità è che stavo iniziando ad anteporre l’eccellenza intellettuale all’eccellenza morale; mi stavo infilando nella direzione del liberalismo del tempo. Fui bruscamente risvegliato dal mio sogno alla fine del 1827 da due duri colpi: la malattia e il lutto».

Il riposo impostogli dalla malattia ed ancor più la perdita di Mary Sophia lo scuotono da un cristianesimo assorbito dalla dialettica sottile, nel quale si era buttato a capofitto. Alcuni componimenti poetici e alcune lettere testimoniano che la sottrazione dell’amata sorella al suo sguardo umano lo aprono ad una nuova concezione della realtà sensibile. Newman viene come attratto dalla sorella nel mondo dell’eternità, così da comprendere la natura transitoria di questo mondo; ma non tanto per la consapevolezza che questo mondo passa, quanto perché inizia a percepire con estremo realismo che il mondo invisibile ci si fa presente mediante il velo del mondo visibile.

Ad una lettera indirizzata alla madre, consegna questa sua impressione, mentre si trovava nella campagna di Cuddesdon: «La cara Mary sembrava personificata in ogni albero, nascosta dietro ogni collina. Che velo, che sipario questo mondo dei sensi! Un bel velo, ma nient’altro che un velo». Parole che non devono essere liquidate come mere sensazioni o espressioni panteistiche, ma come consapevolezza percepita che il mondo invisibile, mondo caratterizzato da presenze personali, come quella della sorella, come quella di Dio, era solo nascosto dietro un velo. Nascosto, ma presente. E per la prima volta lo sguardo interiore di Newman trapassa la cortina.

Nello stesso periodo, Newman approccia in modo continuativo e diretto gli scritti dei Padri della Chiesa. Trentasei volumi rilegati di un’edizione francese del XVII secolo, che riuscì ad avere tramite l’amico Pusey e che completerà nel 1831, grazie ai suoi amici e ad alcuni allievi. Da quel momento, Newman condividerà il suo appartamento con questa presenza più che cartacea e la porterà con se anche a Birmingham, quando, molti anni dopo, vi fonderà l’Oratorio.

A partire dall’estate del 1828, Newman si tuffa nella lettura di questi volumi, uno dopo l’altro, rispettando l’ordine cronologico dei Padri. Nulla gli era divenuto più vitale che trovare il tempo per continuare questa frequentazione. L’immersione nella grandiosa visione filosofica di Clemente Alessandrino e Origene danno contenuto e radicano in lui la grande intuizione di Cuddenson; più tardi, nell’Apologia scriverà che alcuni punti del loro insegnamento «erano come musica per le mie orecchie interiori, come la risposta a delle idee che, con poche cose all’esterno per incoraggiarle, mi erano care da tempo. Esse riposano sul principio mistico o sacramentale, e parlano delle differenti economie o dispensazioni dell’eterno. Compresi questi passaggi come se significassero che il mondo esterno, fisico e storico, non fosse altro che la manifestazione ai nostri sensi delle realtà che lo oltrepassano».

Il principio sacramentale “percepito” lo distacca definitivamente da un cristianesimo emotivo, così come da un cristianesimo puramente speculativo e gli pone davanti la realtà della fede. La creazione percepibile non è una lettera spedita molto tempo fa da un Dio che abita altrove, ma un modo della sua presenza. E della presenza di quanti vivono in Lui. Dio è presente, realmente, ma non ancora nella visione. La fede lo afferra presente dietro il velo del mondo fisico e della storia umana. Il cristianesimo finisce di essere un’idea a priori, un sistema religioso razionalistico, chiuso in se stesso, e si rivela come una realtà. Non prende la strada di una fede irriflessa: tutto al contrario si rende conto dello spessore di realtà delle verità della fede, così come gli sono insegnate dai Padri. È qui che prende linfa la fecondità del pensiero cristiano.

E da qui prende l’avvio quella consapevolezza che verrà espressa nel noto epitaffio ex umbris et imaginibus ad veritatem. Ed inizia, in modo pieno, quella familiarità con i Padri che lo faranno cattolico.