Il diario del giovane Corti in attesa della grande epopea
Quattro anni fa moriva il geniale scrittore Eugenio Corti. La sua Brianza lo ricorda con uno spettacolo teatrale ricavato dai suoi diari inediti recentemente pubblicati in cui traspare l'uomo e il futuro scrittore.
Eugenio Corti è un classico del Novecento, da leggersi nelle scuole come testimonianza di grande letteratura e, nel contempo, come documento storico e umano di un pezzo della storia italiana e universale. Un classico sa raccontare la vita, intercettando le domande dell’uomo di ogni tempo, il suo anelito alla verità e alla bellezza, alla felicità e alla salvezza.
Le lettere scritte da Corti durante la guerra, dal 6 giugno 1942 al 29 gennaio 1943, sono state pubblicate da Ares tre anni fa col titolo «Io ritornerò» e rappresentano una vera e propria fucina di uno scrittore che ha già scoperto la sua vocazione.
A distanza di quattro anni dalla morte dello scrittore brianzolo, spentosi il 4 febbraio 2014, la casa editrice Ares, meritoria di aver colto la sua statura dello scrittore e di averne pubblicato l’intera produzione, manda alle stampe l’interessante diario redatto dal 18 novembre 1940 al 20 marzo 1948.
Qual è la genesi della sua pubblicazione? «All’inizio dell’estate» racconta la moglie Vanda «vennero a trovarmi alcuni amici della Fondazione “Il Cavallo rosso” e del Liceo Don Gnocchi di Carate. Mi chiesero se era possibile raccogliere inediti di Eugenio in un libro da dare come lettura ai giovani. […] Pensai subito ai diari. […] Subito mi vennero in mente i molti studenti che, accompagnati dai loro insegnanti, erano stati qui nella casa di Besana, per incontrare Eugenio, interrogarlo, ascoltarlo».
Il giornalista Giovanni Santambrogio incontra più tardi Vanda Corti per organizzare la struttura del lavoro e selezionare le pagine. Nel novembre 2017 il diario viene pubblicato. A vent’anni Corti sogna ad ogni istante l’amore, quello che durerà tutta la vita. Promette che parlerà della donna che ancora non ha incontrato, ma che il destino gli farà incontrare nelle pagine del diario. La dedica è indirizzata a lei:
A te
che ancora non conosco
e che un giorno diventerai
la compagna della mia vita,
ai tuoi grandi occhi
lucenti
questi diari,
sui quali certamente mi accadrà di narrare
il nascere del nostro amore.
Quando nel 1947 incontrerà Vanda, Corti non manterrà la promessa, facendo a lei solo un fugace accenno: «Dovrei ora parlare di V., più importante di quanto detto finora, ma non lo faccio». Sono parole appuntate nelle pagine di novembre. Poco tempo dopo Corti interrompe il diario e dedicherà all’amata lettere molto intense: «Cara Vanda, ho molta nostalgia di te, con cui sono stato così poco e quel poco tempo pieno di altre cose. Cresce costantemente in me il desiderio di averti sempre, così che ciò che in un momento affrettato non ti posso dire, o non posso rimirarti abbastanza […] lo possa far poi, a mio piacimento, avendone sempre il tempo. […] Quelle nostre preghiere in comune […] Veramente il simbolo della nostra azione comune. Ti sei accorta? Io ho bisogno di un’ancora».
Nelle sue memorie Corti si presenta fisicamente, descrive il disordine che caratterizza alcuni tratti della sua persona, emblema del temperamento artistico. Poi, si sofferma sull’inaugurazione dell’anno accademico all’Università Cattolica, aperto dal discorso del Rettore Padre Gemelli.
E ancora, come in uno Zibaldone, Corti riporta le citazioni selezionate dai libri letti. Sentiamo questo pensiero sulla scrittura, tratto da Bacche d’agrifoglio di Carlo Pastorino: «Ma anche per il racconto e per il romanzo non basta saper scrivere, occorrono gli argomenti. E questi ci sono dati dalla vita e dalla lunga esperienza. Solo a quarant’anni si è maturi per simili faccende. […] Anche Orazio dava questo consiglio: attendere. Il grano in erba non è necessario: necessarie sono le spighe». Già è qui presente il presagio di una missione, di un compito, di una responsabilità che si chiarirà di lì a poco: una chiamata a trasmettere la grandezza della vita, a rendere gloria a Dio per il dono del creato, conscio che non c’è nulla che non abbia senso. Se ogni circostanza ha senso, allora ogni momento ci chiama ad un compito e ad una responsabilità. E ancor più quando inizia la guerra, sopraggiungono i primi bombardamenti inglesi, trascorre il primo Natale sotto le armi e cresce il desiderio di pace.
Non possono mancare gli amici nelle pagine del diario: Serafino Viganò è il ragazzo dal volto e dal cuore sereno, intelligente, ma soprattutto molto buono. Seguono la notizia della morte di un vecchio compagno di scuola, la partenza per la Russia, il ritorno in patria e la guerra in Italia. E finalmente il ritorno a casa con la lettura dei grandi scrittori: «Ho letto Shakespeare che mai avevo letto. Ho riletto bene Dante. Sto rileggendo Omero. Presto m’arriverà Virgilio. […] Sto leggendo Stendhal, devo leggere Proust. […] Certo queste ultime letture sono necessarie, se devo tornare ai miei diletti Omero-Virgilio-Dante attraverso il superamento della cultura posteriore».
L’epopea della guerra vissuta in prima persona e letta nelle grandi opere della letteratura prepara l’uomo e lo scrittore al senso profondo di una missione culturale e storica, che non si traduce solo nella stesura di grandi opere, ma anche in una presenza attenta al mondo dei giovani e all’educazione.
Quando nel 1988, cinque anni dopo la pubblicazione del Cavallo rosso, Gianantonio Sanvito condivide con lui il desiderio che nasca una scuola cattolica animata dalla passione, lo scrittore brianzolo aderisce con entusiasmo al progetto, dando il suo brillante contributo e mostrandosi senza tentennamenti. Così, in poco tempo parte ufficialmente l’Istituto Don Gnocchi con un Liceo classico ed uno scientifico. A distanza di trent’anni, oggi sono cinque i corsi aperti e più di seicento gli studenti iscritti. «Se una cosa è vera» scrive oggi Sanvito nel «Ricordo di Eugenio agli studenti del “don Gnocchi”» (pubblicato a postfazione del diario) «catalizza uomini e si manifesta in opere (non in idee). […] Si trova la forza e il coraggio di combattere».
Ecco perché appare oltremodo significativa l’iniziativa che l’Istituto Don Gnocchi ha riservato a Corti in occasione del quarto anniversario della morte. L’attore Andrea Carabelli e il Laboratorio Teatrale Liceo Don Carlo Gnocchi realizzeranno la trasposizione scenica del libro «Il ricordo diventa poesia». Dai Diari, 1940-1948. L’appuntamento è per domenica 4 febbraio alle ore 17, presso l’Auditorium «Il parco» a Carate Brianza, via Garibaldi. L’ingresso è libero.
Se il termine «celebrazione» vuol dire in latino «rendere affollato, partecipare in maniera numerosa ad un evento», non c’è modo migliore per celebrare un autore che quello di diffondere e di far conoscere il valore della sua opera.