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IL FILM

Il Diabolik che scontenta i lettori storici

«L’unica in parte è Miriam Leone, alias Eva Kant, sia per physique du rôle che per espressività. Il resto è un esercizio registico di ricostruzione scenica degli Anni Sessanta. Il protagonista somiglia a Diabolik quanto io a Nembo Kid. Nemmeno le mitiche sopracciglia gli hanno truccato». Una recensione controcorrente dell'ultimo film sul personaggio dei fumetti diventato cult.

Cultura 29_03_2022

Sono stato un fan di Diabolik fin dal primo numero, quando le autrici A. e L. Giussani, proposero il «giallo a fumetti» (così sulla copertina) negli Early Sixties a imitazione del francese Fantomâs di Allain e Souvestre. I personaggi erano gli stessi, cambiavano solo i nomi. Poi, col tempo, il Fantomâs de noantri assunse una sua fisionomia con connotati meno feuilletoneschi. Non so nemmeno io quanti ne ho letti, centinaia? migliaia? Ma non tutti, e ciò mi costò una reprimenda da parte dell’attuale editore.

Era successo che, forte della mia cultura diabolika, avevo scritto un editoriale graffiante su «Il Giornale» richiamando la linea radical-chic del fumetto, linea impressa dalle creatrici e mantenuta fino ad allora (oggi non lo so, perché dopo la reprimenda di cui sopra sono passato a Batman). Pensate che, quando fu l’ora del referendum sul divorzio nel 1974, Diabolik si schierò per più numeri consecutivi, in seconda di copertina e in scritta rossa, invitando a mantenere la conquista civile dei pannelliani.

Poi, nella fondamentale avventura multipla «Diabolik in Oriente», elogiò, anche se non del tutto scopertamente, la Cina di Mao, dove a sentir lui ai criminali era stata tolta la ragione di esistere. Indi, su per li rami, tutti i temi via via politicamente corretti man mano che la sinistra italiana li assorbiva da quella americana: lgbt, femminimso, animalismo. Nel mio scanzonato pezzo insinuavo che ormai nella panoplia diabolika mancava solo l’eutanasia.

Ed ecco la reprimenda (per niente scanzonata): la puntata sulla «dolce morte» gli editori l’avevano già fatta e io non me ne ero accorto. E’ vero, quella me l’ero persa. Ripeto, non leggo più Diabolik da anni, perciò non so se il politicamente corretto sia proseguito, anche perché, tra gender, blm, trans, cancel, free mj e via devastando, temo che costruire trame con un Genio del Delitto macho ed etero finirà col diventare impossibile.

Ma è proprio per la nostalgia dei miei anni liceali che sono andato a vedere il nuovo film su Diabolik. Bene, hanno voluto farlo tutto made in italy e il risultato è che l’unica in parte è Miriam Leone, alias Eva Kant, sia per physique du rôle che per espressività. Il resto è un esercizio registico di ricostruzione scenica degli Anni Sessanta, punto. Il protagonista somiglia a Diabolik quanto io a Nembo Kid. Nemmeno le mitiche sopracciglia gli hanno truccato.

Per quanto riguarda la recitazione di tutti, be’, mi toccherà vederlo doppiato in lingua straniera (se lo venderanno all’estero) per capire, tra sussurri e concitazioni, quel che è stato detto. Il film predecessore, di Mario Bava, non era granché aderente al fumetto, ma almeno il protagonista era truccato a dovere. Ed era un marcantonio americano di tutto rispetto, John Phillip Law, perché in Italia di attori con tal prestanza non ce n’erano. L’ambientazione dell’attuale opera negli Anni Sessanta e la voluta aderenza della trama (ma solo quella) al terzo (mi pare) numero del fumetto («L’arresto di Diabolik») ci hanno almeno risparmiato quelle inutili scene di sesso bollente che i registi infilano per allungare il brodo.

Ci sarebbe infine da chiosare sulla famosa tuta nera di Diabolik, che nel film diventa una specie di boh, anche se è il secondo elemento di attrattiva del personaggio. Niente, l’avessero intitolato Eva Kant avrebbero centrato meglio il prodotto. Sono andato a scorrere le recensioni del pubblico. Solo un paio centrano il mio avviso (e in modo talmente icastico da essere qui irriferibile), gli altri sono entusiasti, e sono tanti. Solo che leggendoli si evince che elogiano un film d’essai, non d’avventura. E temo che il lettore medio di Diabolik, qual io ero, non voglia esercizi di stile ma suspence, mozzafiato, geniali trovate, paura e colpi di scena. Più Houdini, insomma, e meno Cahiers du Cinéma. Ma, come è stato autorevolmente detto, chi sono io per giudicare?