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Ora di dottrina / 130 – La trascrizione

Il decreto sulla giustificazione (II parte) – Il testo del video

Nel De iustificatione, il Concilio di Trento spiega le cause della giustificazione del peccatore «che non è una semplice remissione dei peccati», ma una guarigione dell’uomo mediante la grazia. Le cause: finale, efficiente, meritoria, strumentale e formale. La grazia e l’osservanza dei comandamenti.

Catechismo 22_09_2024

Oggi proseguiamo e concludiamo le nostre catechesi di presentazione del Decreto del Concilio di Trento sulla giustificazione. La scorsa volta abbiamo presentato le coordinate generali della disputa tra lo scisma protestante e i cattolici su questo tema, così importante, della giustificazione dell’empio. Abbiamo visto come nell’ottica protestante ci sia stata una lettura unilaterale, parziale, delle epistole di san Paolo, in particolare della Lettera ai Romani, e di sant’Agostino. Questa lettura ha fatto sì che si creasse in qualche modo l’accusa di pelagianesimo nei confronti della dottrina cattolica.

Abbiamo visto inoltre come in realtà l’esposizione di questa dottrina, fatta dogmaticamente e solennemente dal Concilio di Trento, è tutt’altro che ascrivibile all’impostazione del pelagianesimo antico, così come lo conosciamo storicamente. E già, a dire il vero, nella dottrina di san Tommaso d’Aquino († 1274) abbiamo potuto verificare come ci sia in realtà una grande armonia tra l’opera divina della giustificazione e la corrispondenza umana. È assai probabile – accenniamo a una questione di storia della teologia – che nel contesto della Germania del XVI secolo San Tommaso non fosse giunto, almeno non nella sua purezza espressiva, ma vi fossero una serie di contaminazioni di alcuni commentari, oltre a delle impostazioni filosofiche non più radicate nella prospettiva di san Tommaso, che è colui che meglio ha saputo rendere conto del reale, in tutta la sua estensione: del reale conoscibile dai nostri sensi e dalla nostra intelligenza e del reale soprannaturale.

Quindi, oggi proseguiamo e concludiamo questa disamina del Decreto sulla giustificazione. La scorsa volta eravamo partiti dal primo grosso blocco che include i primi nove capitoli e i canoni 1-17. Ricordo che questo decreto, e in generale i decreti del Concilio tridentino, hanno una parte espositiva, divisa in capitoli abbastanza brevi, e una parte di anatemi, cioè di condanne, che sono appunto i canoni. Ho spiegato l’ultima volta la lungimirante pedagogia di questo approccio.

Se diamo un’occhiata al capitolo 7, troviamo un tema importante, che ci aiuta anche a introdurre la sezione che inizieremo nella prossima Ora di dottrina, che riguarderà la persona di Nostro Signore Gesù Cristo e la Redenzione. Nel cap. 7 del Decreto sulla giustificazione, il Concilio spiega le cause della giustificazione del peccatore: «A questa disposizione o preparazione [di cui si parlava nel capitolo precedente] segue la stessa giustificazione, che non è una semplice remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore, mediante la libera accettazione della grazia e dei doni che l’accompagnano, per cui da ingiusto diviene giusto e, da nemico, amico, così da essere erede secondo la speranza della vita eterna». Questo primo paragrafo ha già sullo sfondo, in qualche modo, la polemica con il mondo protestante. Cioè, la giustificazione equivale realmente a rendere giusti, e non ad attribuire la giustizia di Cristo al peccatore, che resta peccatore; è una reale trasformazione dell’uomo interiore, un reale rinnovamento dell’uomo interiore che veramente da ingiusto diviene giusto, da nemico di Dio e della grazia diventa amico.

Ora entriamo nella questione delle cause. «Cause di questa giustificazione sono: la causa finale, la gloria di Dio e del Cristo e la vita eterna». Cos’è la causa finale? È ciò a cui è finalizzata la giustificazione. Perché è una causa? Perché il fine ha una causalità attrattiva. Qual è la causa finale della giustificazione? Come tutto, è chiaramente la gloria di Dio e di Gesù Cristo e la vita eterna. Quindi, la giustificazione del peccatore va a gloria di Dio, a gloria di Cristo, in quanto Redentore, «primogenito di molti fratelli» come dice san Paolo (Rm 8,29). Il fine della giustificazione è proprio questo essere partecipe della vita divina, già in questa vita e poi pienamente, senza veli, senza limiti, nella vita eterna. Questa è la causa finale.

Poi abbiamo la causa efficiente. Dice il Concilio: «Causa efficiente [è] la misericordia di Dio, che gratuitamente ci purifica e ci santifica, segnando e ungendo con lo Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità». All’interno (in corsivo) ci sono delle citazioni delle epistole di san Paolo. Causa efficiente: ciò che fa “scattare”, che provoca la giustificazione è la misericordia di Dio. Quindi, la misericordia di Dio è la causa efficiente della giustificazione, cioè del passaggio dall’empietà alla giustizia, mediante una purificazione, una santificazione gratuita. Che cosa vuol dire “gratuita”? Vuol dire che non avviene grazie a dei nostri meriti. Come abbiamo visto, il primo passo della giustificazione è un passo che compie Dio. E lo compie a prescindere da qualsiasi atto o predisposizione umana: è realmente un atto gratuito.

Attenzione, il discorso non finisce qui, perché c’è anche una causa meritoria. Spiega il Concilio: «Causa meritoria è il suo dilettissimo Unigenito e Signore Nostro Gesù Cristo, il quale, pur essendo noi suoi nemici, per il grande amore con il quale ci ha amati, ci ha meritato la giustificazione con la sua santissima Passione sul legno della croce e ha soddisfatto per noi Dio Padre». Quindi, chi ha meritato questa giustificazione? Gesù Cristo, con la sua Passione. Non mi soffermo su questo punto perché avremo poi una serie di ore di dottrina dedicate.

«Causa strumentale è il sacramento del Battesimo, che è il sacramento della fede, senza la quale nessuno ha mai ottenuto la giustificazione». Dunque, abbiamo una causa finale; poi abbiamo una causa efficiente, la grazia di Dio, la misericordia di Dio; una causa meritoria, la Passione di Cristo; e ora una causa strumentale, cioè la giustificazione viene conferita mediante lo strumento sacramentale del Battesimo.

«Infine, unica causa formale è la giustizia di Dio, non certo quella per cui Egli stesso è giusto, ma quella per cui ci rende giusti. Infatti, ricolmi del suo dono, veniamo rinnovati nello spirito della nostra mente [qui si cita san Paolo, la Lettera agli Efesini] e non solo veniamo considerati giusti, ma siamo chiamati tali e lo siamo realmente, ricevendo in noi ciascuno la propria giustizia nella misura in cui lo Spirito Santo la distribuisce ai singoli come vuole e secondo la disposizione e la cooperazione propria di ciascuno».

Cos’è la causa formale? Essa è in fondo la grande dimenticata nella controproposta del protestantesimo, cioè della visione della giustificazione che ha il protestantesimo. Questa causa formale ci indica appunto la forma che viene data alla persona destinataria della giustificazione. È una nuova forma che viene acquisita nell’anima del giustificato, per cui il Concilio di Trento ci dice: «Veniamo rinnovati nello spirito della mente». Non siamo solo considerati giusti, ma siamo realmente tali, ricevendo ciascuno di noi la propria giustizia. La riceviamo, non è frutto delle nostre forze, delle nostre capacità, ma è un dono reale, non è semplicemente un cartello che viene posto su di noi, per la serie: va bene, da oggi lo chiamiamo giustificato, scamperà all’ira divina. Un po’ come il sangue sullo stipite delle porte: l’Angelo vendicatore sarebbe passato e non li avrebbe colpiti. Non è un segno esterno, per così dire, è un reale rinnovamento interiore che lo Spirito Santo «distribuisce ai singoli come vuole»: quindi c’è una liberalità divina nella distribuzione della grazia, ma anche «secondo la disposizione e la cooperazione propria di ciascuno». Il Concilio dice anche che c’è una cooperazione: et et, l’uno e l’altro. L’eresia nasce proprio nel momento in cui noi isoliamo una delle due polarità e la scagliamo contro l’altra.

I canoni corrispondenti a questo aspetto sono diversi: ci soffermiamo sul canone 11 e sul 12. Il canone 11 dice così: «Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo o per la sola remissione dei peccati, esclusa la grazia e la carità che è riversata nei loro cuori per mezzo dello Spirito Santo e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio, sia anatema». È un canone articolato, che chiude tre porte, molto simili tra loro, ma fondamentali da chiudere, perché, come spesso accade in queste dispute, si finisce con il dire: ma io non ho detto questo, non ho detto che sono giustificati solo per l’imputazione di Cristo, ho detto che sono giustificati per la remissione dei peccati. Ma neanche solo questo va bene. Il Concilio ci dice che è insufficiente dire che gli uomini sono giustificati solo perché gli viene imputata la giustizia di Cristo, senza quindi alcun reale cambiamento interiore. Così come non va bene dire che la giustificazione è la sola remissione dei peccati, escludendo però la grazia e la carità, che realmente abitano i nostri cuori, che realmente agiscono dall’interno, ci rendono nuovi, ci rendono figli.

E parimenti, è insufficiente sostenere che la giustificazione sia la grazia come puro favore di Dio. Cioè Dio che ci dice “va bene tutto, cancelliamo tutto, facciamo finta di niente”, ma, di nuovo, senza una reale rinascita interiore che porti i famosi frutti della grazia, i frutti della carità, che san Paolo elenca.

Il successivo canone, il 12, dice: «Se qualcuno afferma che la fede che giustifica non è altro che la fiducia nella divina misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo o che questa fiducia sola giustifica, sia anatema». Di nuovo, questo canone denuncia una visione incompleta, insufficiente, della giustificazione: per la giustificazione non basta la fiducia nella misericordia divina. Prima di tutto perché abbiamo visto che c’è una grazia preveniente; e secondariamente perché, dal punto di vista del merito, la fiducia nella divina misericordia e la fede, in senso più completo, operano, devono operare per mezzo della carità, perché appunto è proprio questo fruttificare che ci dice questa rinascita, questo rinnovamento interiore.

Quindi, vediamo che il cap. 7 e questo gruppo di canoni vanno a spiegare, precisare le cause della giustificazione e il senso pieno della giustificazione come reale cambiamento, reale guarigione, reale risanamento del peccatore che diventa realmente giusto. In questo senso, giustificazione non è da intendere in senso lato, è da intendere nel senso pieno di questo termine: rendere giusti.

Un altro capitolo importante, per quel che interessa il percorso che stiamo facendo, è il cap. 11 del Decreto del Concilio di Trento, nel quale si tocca un punto delicatissimo, ossia la questione dell’osservanza dei comandamenti, resa possibile dalla grazia. Leggiamo questo capitoletto, vedendo poi i canoni collegati: «D’altra parte, nessuno, quantunque giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti. Nessuno deve fare propria quella temeraria espressione, colpita dai Padri con l’anatema, secondo la quale i comandamenti di Dio sono impossibili da osservarsi per l’uomo giustificato. “Dio infatti [qui c’è una citazione importantissima di sant’Agostino, dal De natura et gratia] non comanda l’impossibile, ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi, di chiedere quello che non puoi”, e ti aiuta perché tu possa; “i suoi comandamenti non sono gravosi”, “il suo giogo è dolce e il carico leggero”. Quelli infatti che sono figli di Dio amano il Cristo; quelli che lo amano, come Lui stesso testimonia, osservano la sua Parola, cosa senz’altro possibile con l’aiuto di Dio».

Qui, il punto centrale è proprio questa citazione tratta dall’opera di sant’Agostino: Deus impossibilia non iubet, «Dio non comanda cose impossibili». Ma attenzione: sed iubendo monet et facere quod possis et petere quod non possis et adiuvet ut possis. Bellissima questa musicalità della lingua latina. Cioè, sta dicendo che Dio non solo non comanda l’impossibile, «ma quando comanda, ti ammonisce di fare quello che puoi, di chiedere quello che non puoi e ti aiuta perché tu possa». Ecco perché i comandamenti di Dio non sono impossibili da osservare per chi vive in grazia. Pensare che questi comandamenti siano troppo gravosi vuol dire davvero bestemmiare contro Dio, il quale ci comanderebbe delle cose che poi non siamo in grado di fare e che Lui non ci aiuta a fare… questa è la conseguenza.

Ora, i canoni corrispondenti sono il 18, il 19 e il 20. Il 18 è essenziale, chiarissimo: «Se qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia, i comandamenti di Dio sono impossibili da osservare, sia anatema». Non abbiamo dubbi che i comandamenti non si riescano a osservare se non si è in grazia: abbiamo visto che la grazia è necessaria per vivere secondo Dio. E tuttavia Dio non trattiene dal dare la sua grazia; non è un problema di Dio che non dà la grazia: è un problema nostro quando non osserviamo i comandamenti, è un problema nostro perché vuol dire che non stiamo chiedendo a Dio che ci aiuti, cioè non stiamo prendendo quei mezzi che Dio stesso ci dà – la vita sacramentale, la preghiera, le buone opere che possiamo fare, di cui siamo capaci – cioè tutto quello che ci serve precisamente per poter osservare i comandamenti. Se noi non lo facciamo, siamo noi che non abbiamo utilizzato i mezzi che Dio ci dà, ci siamo chiusi alla grazia che Dio ci vuole dare. Non è un problema di Dio e dunque non possiamo dire che Dio comanda cose impossibili; certo, comanda cose impossibili all’uomo senza la grazia, ma Dio la grazia la vuole dare ed effettivamente la dà e muove l’uomo perché la chieda. La nostra resistenza, invece, è solo nostra e dunque la responsabilità è nostra.

Vediamo il canone 19: «Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere, o che i dieci comandamenti non riguardano i cristiani, sia anatema».

Il canone 20: «Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo fosse solo una semplice e assoluta promessa della vita eterna non condizionata dall’osservanza dei comandamenti, sia anatema». Qui c’è lo sfondo luterano della sola fede che salva: anche se non osservi i comandamenti di Dio, l’importante è che creda; questa idea è entrata moltissimo nel nostro contesto per cui sembra che il cristiano non sia tenuto ad osservare i comandamenti, l’importante è che creda. Ed è entrata nel nostro contesto anche l’altra affermazione per cui si dice: come si fa al giorno d’oggi, nel nostro tempo, ad osservare tutti i comandamenti di Dio? Ci sono delle cose che oggi obiettivamente non sono più possibili da osservare. Pensiamo a tutta la polemica che c’è stata intorno al capitolo 8 di Amoris Lætitia, dove un passo molto problematico lascia proprio intendere questo: siccome l’osservanza dei comandamenti è difficile e in certi casi sembrerebbe addirittura impossibile, allora non bisogna pensare a un’imputabilità, a una colpa vera e propria, ma trovare delle strade, dei “percorsi” alternativi. Non è così. Il Concilio di Trento chiude la questione in modo molto semplice. Il punto non è se l’uomo oggi sia più o meno disposto alla virtù rispetto a una volta; e non è neanche una questione se oggi la società sia più o meno favorevole. La questione è che la grazia di Dio continua a esserci, e non diminuisce perché i contesti esterni e interni dell’uomo diventano più problematici o più avversi, anzi aumenta. Il problema, di nuovo, è dalla nostra parte, cioè se noi realmente, come ci dice sant’Agostino, facciamo quello che possiamo e chiediamo nella preghiera quello che non possiamo: Dio lo dà, lo elargisce.

Diamo altri flash, senza nessuna pretesa di completezza. Il canone 24 di questo Decreto sulla giustificazione parla del merito, del vero e proprio merito dell’aumento della grazia. Ricordiamo che san Tommaso spiega che l’aumento della grazia si può meritare perché la vita eterna si può meritare; se posso meritare la vita eterna, posso anche meritare quel percorso che mi porta alla vita eterna. E cosa vuol dire meritare? San Tommaso l’ha spiegato magistralmente: non si parla di un merito delle sole forze umane, si parla di quel merito che nasce dalla vita nuova che è stata data al cristiano. Proprio perché è vita nuova, proprio perché il cristiano è stato realmente giustificato, sempre con l’aiuto della grazia, con il sostegno e l’ispirazione della grazia, egli compie opere realmente meritorie. E questo canone 24 dice appunto: «Se qualcuno afferma che la giustizia ricevuta non viene conservata e nemmeno aumentata davanti a Dio con le buone opere, ma che queste sono solo un frutto e segno della giustificazione ottenuta e non anche causa del suo aumento, sia anatema». Certamente le opere sono il frutto di questa vita: l’albero lo riconosciamo dal frutto; questo non è sbagliato, ma non deve portare a dire che allora le opere non sono causa di merito. Sono realmente causa, come abbiamo detto prima, cioè nell’opera stessa della grazia che agisce in noi e con noi.

Sempre sul merito, questa volta il merito della vita eterna, abbiamo il canone 26: «Se qualcuno afferma che i giusti non devono, per le buone opere compiute in vita,   aspettare e sperare da Dio l’eterna ricompensa, a ragione della sua misericordia e dei meriti di Gesù Cristo, qualora operando il bene e osservando i divini comandamenti abbiano perseverato fino alla fine, sia anatema». Dunque, vediamo come la vita eterna è chiamata anche «eterna ricompensa», non perché non sia frutto della misericordia divina: è frutto della misericordia divina, è frutto dei meriti di Gesù Cristo (ricordiamo la causa efficiente e la causa meritoria). E tuttavia l’una e l’altra concorrono con il libero arbitrio umano, che dunque pone opere buone in Dio. E queste opere buone, osservando i comandamenti e operando il bene, ottengono la vita eterna, che appunto viene chiamata ricompensa eterna. È quello che dice san Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede», per poi aggiungere di aspettare la «corona» che Dio, «giusto giudice», darà a lui e a tutti quelli che, etc. (cfr. 2Tm 4,7-8). San Paolo parla di giusto giudice, quindi vuol dire che c’è un merito reale.

Ancora su questo tema, leggiamo il canone 32: «Se qualcuno afferma che le opere buone dell’uomo giustificato sono doni di Dio al punto da non essere anche meriti di colui che è giustificato [vedete la polarità: certo che sono un dono di Dio; che noi possiamo operare il bene è un dono di Dio e tuttavia è realmente anche un’azione nostra con Dio, e dunque è anche un merito] o che questi, con le buone opere da lui compiute per la grazia di Dio e i meriti di Gesù Cristo, di cui è membro vivo, non merita realmente l’aumento della grazia, la vita eterna e, posto che muoia in grazia, il conseguimento della stessa vita eterna così come l’aumento della gloria, sia anatema». Di nuovo, è grazia? Sì. Ma è grazia che esclude la libertà dell’uomo? No. E allora non esclude nemmeno il merito. Perché, cosa c’è dietro? C’è quella visione diversa della giustificazione. È chiaro che se l’uomo resta peccatore e la giustificazione è solo un appiccicare in qualche modo l’etichetta di “salvato” o della “giustizia di Cristo che ci copre”, ma senza farci rinascere, senza rigenerarci, se fosse questa la prospettiva, è chiaro che sarebbe inutile parlare del merito. Ma poiché la prospettiva è invece quella di una vera rinascita, opera della grazia, questa rinascita che la grazia opera in noi fa nascere in noi, con noi, delle opere buone, che dunque diventano meritorie.

Questo argomento è molto vasto, molto bello, molto importante. E ci aiuta anche ad acquisire un metodo, un metodo teologico, un metodo che in fondo è un modo di pensare che un cristiano deve avere: quel Dio che ci ha creato senza di noi, non ci salva senza di noi. E dunque, realmente l’opera della salvezza è opera divina? Sì. Le nostre stesse opere buone sono un dono divino? Sì. Ma manca una parte, cioè la nostra parte, che ci deve essere; senza però cadere nel versante pelagiano, che ritiene che queste opere – senza la grazia, senza questa reale rinascita, reale rigenerazione – sono sufficienti per ottenere la vita eterna, per compiere il bene.

Bisogna quindi fare sempre molta attenzione anche nell’approccio alle Sacre Scritture: le Sacre Scritture sono un tesoro, sono la Parola di Dio, ma vanno prese nella loro completezza. E da qui capite l’opera preziosissima, insostituibile di lavori – come quello per esempio della Somma Teologica – che ci permettono proprio di mantenere l’insieme della Rivelazione senza prendere un passo o una lettera o un Vangelo e andare per la tangente, isolandolo da tutto il resto. Questa è una tentazione assolutamente comune e sempre attuale, dalla quale dobbiamo guardarci. Quando si prende solo una parte del discorso e la si porta avanti e la si estremizza, isolandola dal resto, si creano dei problemi enormi, si creano poi concretamente degli scismi anche all’interno della Chiesa.

La prossima volta inizieremo un enorme capitolo, commentando un altro passo del Credo, che riguarda la persona del Figlio di Dio incarnato, Nostro Signore Gesù Cristo.



Ora di dottrina / 130 – Il video

Il decreto sulla giustificazione (II parte)

22_09_2024 Luisella Scrosati

Nel De iustificatione, il Concilio di Trento spiega le cause della giustificazione del peccatore «che non è una semplice remissione dei peccati», ma una guarigione dell’uomo mediante la grazia. Le cause: finale, efficiente, meritoria, strumentale e formale. La grazia e l’osservanza dei comandamenti.

Ora di dottrina / 130 – Il supplemento

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22_09_2024 Luisella Scrosati

Prima della polemica foziana, la dottrina legata alla processione dello Spirito Santo anche dal Figlio e il suo inserimento nel canto del Credo erano realtà sostanzialmente pacifiche. Viaggio nel primo millennio cristiano.

Ora di dottrina / 129 – La trascrizione

Il decreto sulla giustificazione – Il testo del video

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Approvato dal Concilio di Trento nel 1547, il decreto De iustificatione rispose alle obiezioni dei protestanti confermando l’insegnamento cattolico sul tema centrale della salvezza: la giustificazione dell’empio. I canoni antipelagiani, la necessità della grazia e il rapporto con il libero arbitrio.