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INTERVISTA / CAVALLO

«Il Ddl Bazoli vuole introdurre la morte di Stato»

Il Ddl sul suicidio assistito non vuole introdurre «un’assistenza dignitosa negli ultimi momenti di vita, ma la morte di Stato, cioè la possibilità che l’ordinamento eroghi, su richiesta, la morte». Ma così lo Stato lascia solo chi soffre, come mostra anche il non voler investire sulle cure palliative. La Bussola intervista l’avvocato Francesco Cavallo.

Vita e bioetica 03_06_2022

Non era iniziato sotto i migliori auspici l’iter del Ddl Bazoli-Provenza, approdato alla Camera lo scorso 13 dicembre in un’aula semivuota. Il Ddl, che tiene insieme varie proposte di legge presentate sull’argomento, in realtà trae le mosse da quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale sul caso di Marco Cappato, il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni rinviato a giudizio e poi assolto per aver aiutato Dj Fabo a sottoporsi al suicidio assistito in una clinica svizzera.

Cappato, secondo quanto previsto dall’articolo 580 del Codice penale (“Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni”), era stato accusato di istigazione al suicidio.

Tuttavia, con la sentenza n. 242 del 2019, la Corte costituzionale aveva dichiarato la parziale illegittimità dell’articolo 580 Cp, escludendo la punibilità di chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio” di “una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili”. Tutti casi in cui, secondo la Consulta, il reato non sussiste, purché la persona sia pienamente libera e consapevole. Come se non avesse fatto già abbastanza danni, la Corte ha chiesto anche al Parlamento di colmare il “vuoto normativo” sul suicidio assistito.

Tuttavia, questo disegno di legge non ha avuto vita facile, evidentemente perché la questione non è percepita esattamente come un’“emergenza” in un momento storico-sociale in cui i cittadini, già duramente colpiti dalla gestione del Covid e dalla conseguente crisi economica, forse sono più preoccupati di come continuare a vivere, anziché di come scegliere di morire.

Pensiamo alla battaglia sugli emendamenti, avvenuta a marzo in Parlamento, che ha visto la bocciatura di diverse proposte del centrodestra e il licenziamento del testo alla Camera con 253 voti favorevoli e 117 contrari. Ora il Ddl è incardinato in Senato e si preannuncia una dura battaglia. La Nuova Bussola ne ha parlato con l’avvocato Francesco Cavallo, membro del Centro Studi Livatino.

Avvocato Cavallo, il Ddl Bazoli non sta avendo vita facile: secondo lei perché?
Voglio sperare che magari ci si stia rendendo conto che non è poi proprio così scontato che “serva una legge” e che questa legge ci è richiesta dalla Corte Costituzionale. Non è così, non questa legge. In realtà quello che si introdurrebbe con questa norma non è certo un’assistenza dignitosa negli ultimi momenti di vita, ma la morte di Stato, cioè la possibilità che l’ordinamento eroghi, su richiesta, la morte. Quindi anche in questo caso non c’entra nulla il legittimo rifiuto delle cure che è già garantito oggi dall’ordinamento, addirittura in via anticipata con il discutibile testamento biologico; non c’entra niente nemmeno con l’accanimento terapeutico che è già dalle prassi e dalla deontologia medica vietato; ma la legge che si vuole introdurre ha a che fare con la possibilità di richiedere la morte, di obbligare il medico e l’ordinamento a erogare un “servizio morte”, su richiesta. Né il disegno di legge è la trasposizione necessitata e fedele di quella sentenza 242 del 2019 con cui la Corte Costituzionale ha parzialmente depenalizzato l’aiuto al suicidio di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, con patologia irreversibile, capace di prendere decisioni libere e consapevoli, nel rispetto del consenso informato, dopo le cure palliative e previa verifica del Servizio Sanitario Nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente.

Questo Ddl, in effetti, va ben oltre. Forse qualcuno se ne sta cominciando ad accorgere.
Così come forse qualcuno sta cominciando a realizzare che la risposta che lo Stato deve dare alla sofferenza non è certo quella di spingere verso la morte, ma di finanziare le cure palliative e la terapie del dolore per le quali esiste una legge già da dieci anni, ma non è stata mai finanziata, né viene coltivata nelle facoltà di medicina, tant’è che abbiamo pochissimi medici palliativisti, non abbiamo nemmeno strutture sufficienti per la presa in carico dei malati terminali, né viene potenziata l’assistenza domiciliare o le reti di cura dei caregiver familiari che si fanno carico di questi bisogni. È chiaro che se tutto questo non c’è, la sofferenza può portare un individuo lasciato solo a chiedere la morte. Lo Stato non può però lavarsi le mani sbrigativamente erogando la morte, ma dovrebbe farsi carico di tutta questa sofferenza e organizzare una rete di welfare che se ne prenda cura.

I sostenitori della legge parlano di teso annacquato, per quale motivo?
Semplice: perché molti di loro vorrebbero semplicemente che il Servizio Sanitario Nazionale erogasse “un servizio morte”, come qualunque altro servizio. Senza condizioni e possibilmente rapidamente: vuoi mai che il malcapitato cambi idea e rimanga a sollecitare la nostra esistenza mettendoci davanti la sua sofferenza. Del resto siamo noi “sani” che pressiamo per il “servizio morte”, perché ci costa troppo tempo, troppa fatica, troppi denari, prenderci cura di malati gravi, disabili gravi, anziani…

Chi parla di “testo annacquato” non fa mistero di volere l’introduzione di tempistiche stringenti e perentorie per l’erogazione del “servizio morte” e soprattutto l’estensione del diritto all’aiuto al morire anche a chi non è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, ma che è ugualmente in condizioni di sofferenza insopportabile e malattia irreversibile, come i malati di cancro. Ecco, costoro vorrebbero che tutti i malati di cancro potessero accedere liberamente al “servizio morte”… Infine, “ovviamente”, non vogliono in alcun modo che sia fatta salva la libertà del personale medico e sanitario attraverso la previsione del diritto fondamentale all’obiezione di coscienza: secondo costoro la libertà vale solo per alcuni, medici e operatori sanitari dovrebbero essere obbligati a fare qualunque cosa. È una prospettiva aberrante: il suicidio di Stato per chiunque abbia una patologia cronica, indipendentemente dalla gravità del male e da qualunque altra condizione. Non vogliono nemmeno l’obbligo di previe cure palliative…

Secondo lei, come evolverà la situazione in Senato, tenendo conto che a Palazzo Madama gli equilibri numerici sono ben diversi rispetto alla Camera, ma considerando anche, per contro, le ostinate posizioni ideologiche di alcuni schieramenti politici?
Com’è noto, dopo il passaggio in Commissione, il testo è stato approvato in prima lettura alla Camera ed è oggi all’esame del Senato, dapprima delle commissioni Giustizia e Sanità. Solo dopo, eventualmente, potrebbe approdare in aula. Cosa sarà? Solum tempus narrabo.