Il Davide penitente e la scomparsa del senso del peccato
Avrebbe oggi Mozart composto una cantata come Davide penitente oggi che una certa «teologia cattolica» vuole bandire dal vocabolario cattolico parole come penitenza, contrizione e peccato? Istruzioni per l'ascolto.
Avrebbe oggi Mozart composto una cantata come Davide penitente, K.469?
Eseguita per la prima volta il 13 Marzo 1785 al Burgtheater di Vienna con buon successo, fu presto dimenticata. Per un concerto quaresimale di beneficenza la Società dei Musicisti di Vienna (Wiener Tonkünstler-Societät), un fondo pensioni istituito nel 1771 per aiutare le vedove e gli orfani dei suoi membri deceduti, a cui aderirono anche altri famosi musicisti, chiese a Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) «la preparazione di nuovi cori ed eventualmente aggiungervi arie con recitativo» (in W. A. Mozart, Neue Ausgabe sämtlicher Werke, I/4/3, ed. Monika Holl, Kassel, 1987, p. XI).
Reimpiegando materiale della mai completata Messa in Do minore K.427 ma aggiungendovi due nuove arie, una per tenore (n. 6) e una per soprano (n. 8), e una cadenza finale di oltre 40 battute per i cantanti solisti (n. 10), Mozart mette in musica alcuni versetti dei Salmi (119,1a; 33,1; 99,1; 4,2; 67,1; 4,1; 6,1-2; 96,12-13; 7,1; 33,22) nella traduzione poetica del letterato napoletano Saverio Mattei (I libri poetici della Bibbia tradotti dall’ebraico originale, e adattati al gusto della poesia italiana, vol. 1-5, Napoli 1766-1774) che, pur non menzionando mai il nome di Davide (circa 1000-961 a. C.), si riferiscono a una sua dolorosa vicenda familiare: il secondo re d’Israele è sollecitato alla penitenza dalle parole severe del profeta Natan (cfr. 2Sam 11-12; Salmo 51), che gli rimproverava l’adulterio commesso con Betsabea e la morte da lui provocata del marito di lei, Uria, suo ufficiale allora in guerra.
Ne risulta la cantata Davide penitente, K.469, circa 45 minuti di musica, dalle melodie tenere e commoventi, dalle interessanti armonie e contrappunti, scritta per due soprani e un tenore soli, coro misto e orchestra (flauto, due oboi, un clarinetto, due fagotti, due corni, due trombe, tre tromboni, timpani e archi).
Le due arie composte ex novo per il tenore e per il soprano I sono la parte più interessante di tutto il lavoro. «A te fra tanti affanni / Pietà cercai Signore, / Che vedi il mio bel core, / Che mi conosci almen. / Udisti i voti miei: / E già godea quest’alma / Per te l’usata calma / Delle tempeste in sen», (S. Mattei, ibidem, vol. 2, p. 40) canta il tenore in un’aria impegnativa, in si bemolle maggiore, dalla prima parte supplicante (Andante) e la seconda robusta e florida (Allegro), con accompagnamento di flauto solo, oboe, clarinetto, fagotto, con due corni e archi. Il soprano I, con flauto, oboi, fagotti, corni e archi, canta un’aria in do minore, che inizia in modo minaccioso e cromatico (Andante) e prosegue in modo brillante (Allegro) con molta coloratura e salti di ampi intervalli: «Tra l’oscure ombre funeste / Splende al giusto il ciel sereno, / Serba ancor nelle tempeste / La sua pace un fido cor. / Alme belle, ah! sì godete, / Né alcun fia, che turbi audace / Quella gioja, e quella pace, / Di cui solo è Dio l’autor» (ibidem, vol. 4, p. 116).
È ancora carico di attualità il clima di penitenza che qui si respira? Una certa «teologia cattolica», ben diffusa dagli strumenti di comunicazione sociale cattolici, vuole bandire dal vocabolario cattolico parole come penitenza, contrizione e peccato. Il concetto della penitenza, quel cammino di conversione a Dio e verso gli altri? Inutile. La saggia recita dell’atto di dolore, quel dispiacere di aver offeso Dio con il proposito di «fuggire le occasioni prossime di peccato»? Messo in stato di accusa. Il senso del peccato? Eclissato.
Una mozione di impeachment nei confronti dell’atto di dolore è stata avanzata recentemente da un «teologo», persuaso di aver «infangato molto il termine e concetto di peccato» e di averlo «pensato anzitutto come una trasgressione, come infrazione a una norma, a un comandamento e quindi come un’offesa fatta a Dio. Tutto questo è rimasto in quella tremenda preghiera che purtroppo viene ancora usata, so, da alcuni catechisti, che è l’Atto di dolore, "perché con il peccato ho offeso te, infinitamente buono, e per questo merito i tuoi castighi”. È una preghiera che non ha nulla di cristiano perché Dio non si può offendere e poi Dio non castiga, perché Gesù è venuto a rivelarci un altro tipo di Dio, di Padre».
La parola «fragilità», che ha «un senso esistenziale piuttosto vago», rimpiazza la parola «peccato», dal «significato biblico e teologico chiaro e confermato dalla tradizione», nell’ottavo capitolo di Amoris lætitia, l’Esortazione Apostolica sull’amore nella famiglia, che ormai gode di qualche notorietà: «Accompagnare, discernere e integrare la fragilità» (cfr. S. Fontana, Esortazione o rivoluzione? Tutti i problemi di Amoris lætitia, Fede & Cultura, Verona 2019).
Molto saggiamente ammoniva Pio XII: «Il più grande peccato di oggi è che gli uomini hanno perduto il senso del peccato» (Radiomessaggio a chiusura del Congresso catechistico nazionale degli Stati Uniti in Boston, 26 ottobre 1946). Infatti, del peccato, che secondo le Scritture è la causa profonda di ogni male, si evita di parlare in nome di una diversa visione religiosa del mondo e dell’uomo. «Se si elimina Dio dall’orizzonte del mondo, non si può parlare di peccato. Come quando si nasconde il sole, spariscono le ombre; l’ombra appare solo se c’è il sole; così l’eclissi di Dio comporta necessariamente l’eclissi del peccato. Perciò il senso del peccato – che è cosa diversa dal “senso di colpa” come lo intende la psicologia – si acquista riscoprendo il senso di Dio. Lo esprime il Salmo Miserere, attribuito al re Davide in occasione del suo duplice peccato di adulterio e di omicidio: “Contro di te – dice Davide rivolgendosi a Dio – contro te solo ho peccato” (Sal 51,6)» (Benedetto XVI, Angelus del 13 Marzo 2011).
Se ci rattrista ogni confusione e ambiguità, ci consola ogni nota del Davide penitente di Mozart.