Il Covid e l'incertezza fanno scoppiare lo scontro Stato-Regioni
L’avvicinarsi dell’autunno, con i paventati rischi di una seconda ondata di pandemia, sta facendo riesplodere le tensioni tra Stato e Regioni. Il cortocircuito tra rivendicazioni di competenze territoriali e interventi autoritativi del governo centrale potrebbe accrescere la confusione negli italiani, chiamati ad affrontare la ripresa post-vacanze più incerta degli ultimi anni o forse decenni.
L’avvicinarsi dell’autunno, con i paventati rischi di una seconda ondata di pandemia, sta facendo riesplodere le tensioni tra Stato e Regioni. Il cortocircuito tra rivendicazioni di competenze territoriali e interventi autoritativi del governo centrale potrebbe accrescere la confusione negli italiani, chiamati ad affrontare la ripresa post-vacanze più incerta degli ultimi anni o forse decenni.
L’incognita numero uno rimane quella della riapertura in sicurezza delle scuole, che avrà contraccolpi sull’organizzazione dell’intera società, considerati i condizionamenti che gli eventuali contagi degli studenti produrrebbero inevitabilmente sulle giornate lavorative dei rispettivi genitori e famigliari. Nelle ultime settimane abbiamo avuto conferma della babele di linguaggi e decisioni da parte delle regioni, che si muovono in ordine sparso su ogni questione, sfruttando i margini di autonomia concessi dall’ordinamento giuridico e strappando di tanto in tanto rispetto ai protocolli e alle ordinanze nazionali.
Già nella gestione dei tamponi e delle azioni di tracciamento del virus assistiamo a venti strategie diverse, una per regione. Ognuna si muove per conto suo e con suoi metodi e numeri, facendo affluire alla centrale nazionale di raccolta dati le proprie cifre. Risultato: ogni pomeriggio, tra le 17 e le 18, milioni di italiani attendono con ansia i numeri della pandemia. Si tratta di numeri che lasciano il tempo che trovano, proprio perché fotograno in modo improprio e infedele la reale situazione dei singoli territori e perché enfatizzano il numero dei contagiati, senza minimamente descrivere la tipologia di contagiati, che in moltissimi casi non sono malati ma solo positivi al Covid-19. Il fatto che continuino ad essere rassicuranti le cifre relative a ricoveri e decessi conferma che l’attuale situazione non ha nulla di paragonabile a quella dei primi quattro mesi dell’anno, quando il Sistema sanitario nazionale combatteva contro un nemico del tutto sconosciuto e affrontato con le armi sbagliate. Nessuno è in grado di stabilire quando siano avvenuti i contagi e se i contagiati abbiano contratto il virus in discoteca, in viaggio o a una cena apparentemente innocua ma alla quale magari ha partecipato un asintomatico. Nessuno è in grado di stabilire se gli italiani andati in vacanza in Grecia, Spagna, Croazia e altrove abbiano portato il virus in Italia oppure fossero già positivi prima di partire. Magari in quegli Stati nessuno ha fatto il tampone ai turisti italiani oppure il tampone è risultato negativo, ma se fatto due giorni dopo avrebbe potuto dare un altro esito. Considerati i 14 giorni di incubazione del virus, non possono esserci certezze né in un senso né nell’altro.
Lo stillicidio quotidiano dei dati alimenta però preoccupazioni, tensioni sociali, sofferenze emotive, crisi di coppia, degenerazione complessiva della società e delle relazioni, panico generalizzato. Tanto che due giorni fa si è registrato il suicidio di un ristoratore fiorentino, che temeva un nuovo lockdown e il fallimento della sua attività. Il capoluogo toscano è sotto shock perché in questi casi il rischio di azioni emulative legate a condizioni di particolare fragilità è elevatissimo. Come l’imprenditore suicida ci sono centinaia di migliaia di italiani che temono di non farcela. Ogni prospettazione di scenari apocalittici, ogni proclama catastrofista da parte di virologi o di governanti ed esponenti delle istituzioni rischia di produrre danni incalcolabili all’economia e alla psiche delle persone. I mercati vivono di annunci, di aspettative, di proiezioni. Ogni imprenditore investe sulla base della categoria della fiducia. Se in generale manca fiducia nel futuro, sono in pochi ad investire, assumere, rischiare. E, di riflesso, la disoccupazione cresce e i consumi calano. E’ un circolo vizioso che distrugge dal profondo l’economia e la società. Continuare a iniettare dosi massicce di paura e di incertezza è una pratica che potremmo pagare a caro prezzo già nell’immediato futuro. Anche in termini di sicurezza e di incolumità personale. Oltre che di tenuta emotiva e psicologica.
Gli esempi di “secessione” nell’affrontare la pandemia sono pressochè quotidiani: l’ordinanza del governatore siciliano, Nello Musumeci sui migranti e il suo braccio di ferro con il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese; le minacce del suo collega campano, Vincenzo De Luca di richiudere i confini tra le regioni in caso di escalation di contagi; l’irritazione del presidente della Sardegna, Christian Solinas, che all’inizio dell’estate predicava tamponi e schedature per tutti i vacanzieri in arrivo nella sua regione e ora deve difendere i sardi dall’etichetta di “untori”.
Occorre spiegare all’opinione pubblica che la convivenza con il virus potrà essere più o meno lunga. Nessuno è in grado di fare previsioni certe. Ma il tenore di questa convivenza sarà decisivo per il futuro del Paese. Convivenza operosa e costruttiva è un conto, convivenza passiva e disfattista è un altro. Siamo a un bivio. Se il governo non si dimostrerà all’altezza cresceranno le spinte regionalistiche e sarà difficile frenare la disgregazione del Paese.