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AMMINISTRATIVE

Il centrodestra vuole perdere e tenersi Renzi

Nella scelta dei candidati per le elezioni amministrative nelle grandi città, il centrodestra pare avere una strategia masochistica, dettata dalla inconfessata volontà di perdere. Per non provocare la caduta del governo Renzi, che al centrodestra va benissimo per tutta una serie di ragioni. Gli indizi sono tanti.

Politica 02_03_2016
Silvio Berlusconi

Nella scelta dei candidati per le elezioni amministrative, osservando i comportamenti dei leader del centrodestra, si fa davvero fatica a comprenderne il significato e soprattutto gli obiettivi. Probabilmente la strategia non c'è o è una strategia masochistica, dettata dalla inconfessata volontà di perdere, al fine di non provocare la caduta del governo Renzi, che al centrodestra va benissimo per tutta una serie di ragioni.

Potrà sembrare una lettura stravagante dei fatti politici, ma non lo è.  A Milano nessun politico di punta del centrodestra (né  Salvini, né Gelmini, nè  Romani, nè altri) ha voluto candidarsi a sindaco per sfidare Sala. Nessun rappresentante dei partiti del centrodestra, come si suol dire in questi casi, ha voluto metterci la faccia. L'incombenza è piovuta addosso a un tecnico come Parisi che, in caso di sconfitta, dal giorno dopo tornerebbe a fare l'imprenditore e il professionista nel settore delle telecomunicazioni, senza alcun trauma. Ma la verità è che uno come Sala rappresenta, secondo i bene informati, la prima scelta di Berlusconi e della sua galassia aziendale, tanto più che un uomo vicinissimo all'ex Cavaliere, Bruno Ermolli, intrattiene da sempre intense e cordiali relazioni con il "conducator" di Expo 2015 e che molti rappresentanti del centrodestra hanno fatto apertamente campagna per lui alle primarie del centrosinistra.

La situazione a Roma è ancora più paradossale e disarmante per il popolo del centrodestra. Dopo i disastri della giunta Marino, il centrodestra, candidando Marchini, avrebbe ottime chances di vittoria, ma gli preferisce Bertolaso, che inevitabilmente toglierà voti allo stesso Marchini, rendendo probabile un ballottaggio tra il candidato Pd (Giachetti? Lo sapremo dopo le primarie di domenica prossima) e la candidata pentastellata (l'avvocatessa Raggi, peraltro dello studio legale Previti). Non sarà mica che anche a Roma il centrodestra preferisce perdere perché considera la conquista del Campidoglio come una "polpetta avvelenata", viste le difficoltà oggettive di amministrare una capitale dissestata o, come ha detto con un’espressione infelice lo stesso Bertolaso, «terremotata»? 

E, più in generale, lo schieramento berlusconiano non pensa che, se Renzi perdesse le amministrative, la minoranza dem chiederebbe la sua testa e il governo si indebolirebbe? Se succedesse questo, a trarne beneficio non sarebbe di sicuro un centrodestra a brandelli, rissoso al suo interno e privo di leadership, bensì un Movimento Cinque Stelle considerato da gran parte dell'elettorato l'unica vera opposizione antisistema. Ecco perché a Berlusconi e ai suoi conviene tenersi il governo Renzi fino alla fine della legislatura e darsi ancora due anni di tempo per provare a costruire un'alternativa, oppure, più realisticamente, per tentare di aggregare un'area moderata composita e vasta che rappresenti una componente consistente del Partito della Nazione. Il referendum costituzionale costituirà la prova del nove per Renzi e il suo disegno neocentrista. Le amministrative sono solo una tappa intermedia, ma Renzi ha bisogno di non sfigurare e di portare a casa almeno Milano (con Sala), visto che a Roma, Torino, Bologna e Napoli l'esito è incerto. 

In tutte queste città-capoluogo chiamate al voto la sinistra è divisa e i grillini potrebbero prevalere al ballottaggio, raccogliendo voti di protesta di leghisti e post-fascisti desiderosi di indebolire il governo. Nel centrodestra, inoltre, Salvini gioca una partita tutta sua. Spariglia le carte a Roma per strappare al tavolo di trattativa con gli alleati qualche altro candidato sindaco del Carroccio da collocare alla guida di città medio-piccole. Il potere locale ha, infatti, da sempre rappresentato per la Lega un elemento importante di radicamento sul territorio, che, per Forza Italia, partito ormai evanescente, appare secondario.