Il caso Mila, segno di una Francia in mano agli islamisti
Dall’inizio del 2020, Mila, paladina dei diritti Lgbt, vive sotto scorta per le sue parole contro il Corano dopo che un coetaneo le aveva fatto delle avance e maledetta in nome di Allah. Da allora trentamila minacce, e nessuna scuola la vuole. Ségolène Royal la biasima e nessuna femminista la difende. È il cortocircuito del politicamente corretto, soggiogato dall’islamismo.
Dall’inizio del 2020, Mila, liceale sedicenne francese, paladina dei diritti Lgbtq, vive sotto scorta. Come i giornalisti di Charlie Hebdo. Anche Mila vive in libertà vigilata, per aver offeso Allah. Solo che la sedicenne, a gennaio, non scriveva in prima pagina sulla stampa nazionale. Ma, sul suo profilo privato su Instagram, si dilettava in una diretta con i suoi amici.
Questa la cronaca di quei fatti. Un coetaneo le fa delle avance sessuali, respinto, l’accusa di essere lesbica e invoca per questo su di lei la solenne punizione e maledizione di Allah. Non tarda la reazione di Mila che si scaglia contro il Corano, Maometto e l’islam in maniera certamente colorita. Da quasi un anno la sedicenne è ostaggio della comunità islamica non solo francese. Ha dovuto cambiare molte scuole - nessun istituto della Repubblica ha accettato di sfidare l’islam - ha cambiato indirizzo ed è sotto scorta ventiquattro ore su ventiquattro. Da allora ha ricevuto trentamila minacce di morte, torture e stupro: “Ti violenteremo in uno scantinato insieme a tua madre”.
Pochi giorni fa anche l’ultima scuola in cui si era iscritta, un liceo militare tenuto segreto e che l’aveva accettata a sorpresa, le ha chiesto di andare altrove, perché “non possiamo garantire la sua sicurezza e rischiamo anche la nostra”. La Francia è completamente intimidita dal movimento islamico e non sa come reagire se non sottomettendosi alle sue volontà. Nella capacità unica di minacciare chiunque si permetta di criticare l’islam, i maomettani hanno acquisito la capacità d’imporre la propria legge sul territorio.
Il papà della ragazzina non s’era mai espresso pubblicamente, ma dopo l’espulsione dall’ultimo liceo ha scritto una lettera aperta pubblicata da Le Point. “Sono devastato da tanta codardia e rassegnazione. Dopo la National Education, è l’esercito che smette di proteggere ed educare una ragazza di 17 anni”, si lamenta. Di fronte a questa nuova svolta nel famigerato “affare Mila”, il governo ha tentato di esprimere la propria solidarietà. A Radio Sud, venerdì, Marlène Schiappa - ministro delegato responsabile della cittadinanza - ha promesso un esposto alla Procura perché le minacce di morte non possono essere tollerate.
Sono mesi che le denunce si moltiplicano e dall’Isère, dove viveva Mila, si muovono ovunque la ragazza venga spostata, da bunker a bunker. Le autorità francesi dell’Isère non sono nuove alle minacce di morte: è una delle regioni più islamizzate e meno sicure del Paese. La polizia è la prima vittima e recentemente persino il sindaco è stato aggredito da bande di immigrati clandestini. Eppure nessuno è capace di reagire a dovere.
La ragazzina non sembra voler cedere, e nelle scorse settimane ha voluto anche diffondere gli screenshot delle minacce di morte che, nonostante tutto, continua a ricevere quotidianamente. In molte di queste si possono leggere anche riferimenti al professore Samuel Paty recentemente decapitato, promettendole la medesima fine.
Anche il famosissimo Idriss Sihamedi, predicatore islamico e presidente della Ong BarakaCity - che Darmanin ha appena reso fuori legge -, s’è scagliato contro la sedicenne, incitando i suoi seguaci a fare lo stesso. Sihamedi è sotto indagine per minacce all’ex giornalista di Charlie Hebdo Zineb El Rhazoui, ma questo non l’ha frenato dall’istruire i suoi sull’affaire Mila, dedito com’è alla battaglia contro la legge sul separatismo voluta da Macron. Il predicatore è diventato veramente famoso in Francia quando si occupò del caso Asia Bibi, chiedendo ai francesi pieno sostegno al governo pakistano contro l’infedele.
Mila forse dovrà lasciare la Francia per poter tornare a scuola, vittima com’è delle leggi riguardanti l’islamofobia. In questi mesi, la Procura della Repubblica francese aveva anche aperto un’indagine contro la ragazzina per verificare se non avesse ella per prima commesso il reato di incitamento all’odio razzista. Ovviamente chiusa in breve e senza seguito, la vile iniziativa è riecheggiata in tutto il Paese, suonando come un processo contro la blasfemia e quindi galvanizzando tutta la comunità musulmana che, rimasta delusa, ha trovato l’occasione per gridare più forte.
Quel che ha stupito parte dell’opinione pubblica francese è stato l’assoluto silenzio delle femministe in una storia che ha svelato il cortocircuito del politicamente corretto. Anche Ségolène Royal ha voluto dire la sua sul caso Mila: “È inaccettabile che un’adolescente priva di rispetto venga posta ad esempio della libertà di espressione”. L’ex moglie di Hollande, l’ex candidata all’Eliseo, ex ministro ed ex ambasciatrice di Francia per i Poli, s’è scagliata duramente contro l’hashtag (poco diffuso) #JeSuisMila. La paladina del femminismo ha detto che non c’è niente da supportare. La ragazzina ha sbagliato. Ignorando le minacce di stupro e omicidio, e pure quelle realmente razziste, ha chiuso la storia con un secco “se l’è cercata e nient’altro”.
Per Le Figaro, la Royal è un’“islamogauchista”, e denuncia con le sue esternazioni la pericolosa infiltrazione dell’ideologia islamista oggi egemone nel mondo intellettuale e accademico. Per Renée Fregosi “l’islam ha ormai creato legami in tutto il mondo e trasformato la ricerca accademica in una lotta politica contro l’Occidente, l’universalismo e l’uomo bianco”. Era il 1989 quando, con la fatwa pronunciata dall’ayatollah Khomeiny contro lo scrittore Salman Rushdie, la dhimmitudine prendeva casa in Europa. L’autore dei Versetti satanici è stato minacciato di morte per trent’anni, e ha portato il messaggio per tutti: quel che scrivete, quel che dite e quel che rappresentate è sotto la censura islamica.
D’altronde il “doppio standard” è evidente: si può essere spietati quando il colpevole è un maschio bianco occidentale, e stranamente frenati quando c’è di mezzo la minoranza musulmana. L’hanno chiamata “la sindrome di Colonia” - quella della famosa notte di Capodanno 2016 e del famoso silenzio antirazzista che cadde per giorni sulle violenze sessuali perpetrate da immigrati clandestini.
La vicenda Mila mostra infatti i limiti del femminismo e dell’antirazzismo. E se nessuno intende erigere a modello la volgarità impulsiva di un’adolescente, resta evidente che di fatto la sedicenne francese oltre ad infrangere tutte le regole del dhimma e a ricordarci quel che si può dire e quel che non si può, pena la morte, ci ha insegnato che in Occidente si può sostenere il diritto di caricaturare Cristo, ma non Allah. E che esiste il diritto di portare al gay pride o rappresentare su Netflix Gesù come omosessuale, ma non Maometto.