Il caso Flynn dimostra che gli Usa sono cambiati. In peggio
Appena tornato in libertà, dopo la grazia presidenziale, il generale Michael Flynn, già Consigliere per la sicurezza nazionale all’inizio dell’amministrazione Trump, spara a zero contro i Democratici, con toni apocalittici, che gli Usa possono perdere la loro libertà. Il generale, magari, esagera. Ma la sua vicenda giudiziaria è già la dimostrazione che l'America è davvero cambiata in peggio
Appena tornato in libertà, dopo la grazia presidenziale, il generale Michael Flynn, già Consigliere per la sicurezza nazionale all’inizio dell’amministrazione Trump, spara a zero contro i Democratici nella sua prima intervista televisiva, concessa ad una piccola emittente cristiana evangelica. Secondo il generale, pluridecorato ed ex Democratico, gli Usa sono ad un “crocevia della storia”, in cui si deciderà se rimarranno un Paese libero, o diventeranno qualcosa di “irriconoscibile”.
Flynn è assolutamente convinto che Biden stia “rubando” le elezioni, attraverso brogli massicci. Ma soprattutto è allarmato dall’atteggiamento dei media che, per la prima volta si sono mossi come un esercito, usando una strategia di guerra di informazione analoga a quelle che si studiano nella dottrina della Cina. “L’intera questione delle operazioni psicologiche si risolvere nella scelta di un obiettivo e poi ripetere lo stesso messaggio ancora, ancora e ancora. Devi avere i media dalla tua parte. Tutti sanno che i media mainstream sono un gruppo di organizzazioni piuttosto solido e includono anche i giganti del Web, come Facebook, Twitter e Instagram. Stanno tutti cercando di controllare la narrazione, invece di dare semplicemente le informazioni e lasciare che ciascuno decida per sé”.
Flynn, che tende spesso a parlare in termini apocalittici, ritiene che “Questo è un momento della nostra storia in cui, se non facciamo la scelta giusta, perdiamo il Paese. Sarà la fine, per come lo conosciamo. Adesso sono qui a parlare a lei, ma non parlo per me, ma per i miei figli, i miei nipoti e, sinceramente, per il faro della libertà che siamo noi, come nazione”. Molti suoi oppositori, per non parlare dei media mainstream, ritengono che il suo modo di essere “visionario” sia in realtà un “delirio” e lo associano spesso e volentieri alla setta millenarista Qanon. Purtroppo, però, la vicenda stessa che ha riguardato il generale, è forse peggio dei peggiori incubi enunciati dal generale: indagini senza indizi, accuse senza prove, uso politico dell’Fbi, politicizzazione della magistratura e violazione del principio fondamentale della separazione dei poteri. Probabilmente sono elementi sufficienti per affermare che l’America di oggi, quella dell’era post-Obama, sia già quel “qualcosa di irriconoscibile” di cui il generale parla.
Flynn, accusato di avere mentito all’Fbi riguardo ad una sua conversazione con l’ambasciatore russo a Washington, si è dichiarato colpevole. Ma quando è emersa tutta la verità, dai documenti declassificati la primavera scorsa (di cui abbiamo parlato su queste colonne), ha ritrattato la sua dichiarazione di colpevolezza. Di fatto, dalla documentazione fatta declassificare dal suo avvocato d’assalto Sidney Powell, si era scoperto che l’Fbi avesse deciso di proseguire l’indagine sul generale, anche se non c’erano elementi per farlo. Dalle email fra i funzionari e i vertici dell’Fbi si comprende che la pressione per proseguire l'inchiesta sia partita dall’alto e si può sospettare che lo stesso presidente uscente Barack Obama ne fosse al corrente. Inoltre, da quanto si è riuscito a ricostruire degli incontri fra funzionari prima dell’interrogatorio a Flynn, quello per cui poi è stato accusato di aver detto il falso, si capisce anche come gli agenti dell’Fbi avessero tutta l’intenzione di incastrare il generale, ad ogni costo, non tanto per ottenere informazioni, quanto per indurlo deliberatamente nell’errore. Considerando che tutto ciò è avvenuto nel gennaio del 2017, dunque dopo le elezioni vinte da Donald Trump, il sospetto più grave è che si sia trattato di un’operazione politica, gestita da Obama, per minare sin dalle origini la legittimità della nuova amministrazione.
Uscito scagionato dalla nuova indagine, il generale Flynn non ha comunque ottenuto giustizia. Il Dipartimento di Giustizia ha deciso di proscioglierlo, ma il giudice del Tribunale di Washington DC, Emmet Sullivan, ha emesso una sentenza contraria, per cui il generale non è stato scagionato. E’ ricorso in appello al Tribunale Federale, ma ha perso: con una decisione di 8 voti a 2 i giudici federali hanno dato ragione al magistrato di primo grado. Anche in questo caso si tratta di decisioni ai limiti (o oltre) della costituzionalità, perché solo il potere esecutivo (il presidente e i suoi ministri) ha la facoltà di dichiarare che un caso è chiuso. Una volta presa questa decisione, è irreversibile. E’ dunque un caso rarissimo e controverso quello della sentenza di Sullivan. E l’atteggiamento dei due tribunali coinvolti (a livello di distretto e di circuito federale) si spiega solo come l’ennesimo atto di “resistenza” al presidente Donald Trump, con una forzatura abbastanza palese della Costituzione.
Il presidente Trump ha dunque posto fine al caso, concedendo la grazia presidenziale al generale Flynn. Giustizia è fatta? Non troppo, considerando che il Dipartimento di Giustizia aveva già scagionato il generale, è come graziare un innocente. I conservatori plaudono al ripristino del principio della separazione dei poteri. Ma giustizia non è fatta, comunque.