Il cardinale Van Thuán, vent'anni dopo
Il 16 settembre 2002 moriva il primo cardinale vietnamita della storia, vittima della persecuzione comunista, collaboratore di San Giovanni Paolo II, testimone della Verità. «Ha preferito il carcere ed il martirio piuttosto che cedere ed abbandonare la sua fede», così lo ricorda mons. Giovanni D’Ercole.
Vent’anni senza François-Xavier Nguyên Van Thuán, primo cardinale vietnamita della storia. Ieri ricorreva l’anniversario del suo ritorno alla Casa del Padre al termine di una lunga malattia alla cui comparsa contribuirono i tredici anni di carcere senza processo – di cui nove in isolamento – a cui i comunisti lo condannarono una volta preso il potere a Saigon nel 1975. Colpevole di essere stato nominato arcivescovo coadiutore da Paolo VI. Rilasciato nel 1988 ed esiliato a Roma dove venne chiamato da Giovanni Paolo II alla guida del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Scelto per predicare gli Esercizi spirituali quaresimali alla Curia romana nell'anno del Giubileo, Van Thuán fu creato cardinale nel 2001 e morì poco più di un anno dopo. Durante il suo periodo romano, il porporato vietnamita raccontò la sua esperienza anche ai microfoni di una trasmissione televisiva all'epoca condotta da monsignor Giovanni D'Ercole. Da quell'intervista nacque una frequentazione che ancora oggi il vescovo emerito di Ascoli Piceno porta nel cuore e che ha accettato di raccontare alla Nuova Bussola Quotidiana.
Eccellenza, avrete parlato spesso dei tredici anni di prigionia. Qual è il racconto che le è rimasto più impresso?
Per i primi nove anni lui era in una cella di isolamento, piccolissima, buia, le guardie lo osservavano continuamente lasciandogli sempre la luce accesa. In questo modo puntavano a stordirlo ma lui non ha ceduto. La cosa interessante è che gli cambiavano i carcerieri continuamente perché lui li trattava con un amore tale che questi non si capacitavano e gliene chiedevano conto. «Perché Gesù mi dice di amarvi» questa era la sua risposta. Ad un certo punto hanno capito che qualsiasi cambio sarebbe stato inutile ed hanno lasciato che a sorvegliarlo ci fossero sempre gli stessi.
Ci racconti il vostro incontro.
All’epoca facevo la trasmissione su Raidue che poi si sarebbe chiamata "Sulla via di Damasco" e l'ho intervistato più di qualche volta. In queste interviste emergeva la sensazione di un uomo che aveva raggiunto una condizione di pace dopo aver sofferto tantissimo in carcere. Di grandissima umiltà e disponibilità, aveva il sorriso delle persone che avevano sofferto enormemente ed avevano recuperato tanta pace dentro al cuore.
Raccontò che mentre era in cella si lamentava dentro di sé perché non accettava l'idea che il popolo di Saigon potesse rimanere solo, senza il suo pastore. Si chiedeva: "Perché Dio permette questo? Che io sia in carcere quando la mia gente è abbandonata a sé stessa?". Una notte vide Gesù che gli disse: "François, ma tu sei venuto qui per me o per la gente? Allora preoccupati di me". E da quel momento riacquistò la pace. Questa è la sua lezione: nella vita noi cristiani ci dobbiamo affidare totalmente al Signore.
Lei vide il cardinale il giorno prima della sua morte. Come si preparava all’incontro con il Signore?
Con un grande abbandono nel Signore. Verso la fine era solo, poca gente andava a fargli visita. Io sono andato il giorno prima che morisse e ricordo quando venne il cappellano a portargli l’Eucarestia. Lui era già in una specie di coma, ma ebbe la forza di aprire gli occhi e li spalancò davanti al Corpo di Cristo. Questa è l'ultima immagine che ho di lui, poi morì il giorno dopo. Mi ha dato una grande lezione. Ho visto come si è risvegliato per ricevere il Signore Gesù e poi è rimasto con gli occhi fissi guardando il crocifisso del cappellano.
Si avvicinano le elezioni. Da presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace realizzò un decalogo di “beatitudini dei politici” nel quale si indicava tra le virtù anche quella di non avere paura di dire prima di tutto la verità e di non avere paura dei media perché al momento del giudizio bisognerà rispondere solo a Dio. Sono punti ancora validi?
Il decalogo era per i politici, ma lui quelle cose le diceva per tutti. La sua lezione è proprio quella di non avere paura della verità. Lui non parlava mai male di coloro che gli avevano fatto tanto male. Mai. Però ci teneva a ricordare che non aveva mai ceduto e si era sempre proclamato cristiano. La forza del coraggio della fede che aveva gli dava anche quella serenità interiore di mantenersi costante nella sua professione di fede.
Quale insegnamento lascia?
Un esempio di fede, speranza e pace. Quando parlavi con lui ti diceva con una calma così profonda una verità semplice che oggi per noi cristiani andrebbe riscoperta: bisogna avere il coraggio della nostra fede, proclamandola senza gridare, con la nostra vita. Questo è il messaggio che la figura del cardinale Van Thuán ci dà oggi: la libertà della nostra fede va difesa, non barattata con nulla. Il suo è un esempio di fedeltà per questo nostro tempo in cui si scende, purtroppo, troppo facilmente al compromesso, spesso per paura. Lui ha sfidato il regime, non si è piegato, ha preferito il carcere ed il martirio piuttosto che cedere ed abbandonare la sua fede.