Il cardinal Simoni “incontra” santa Caterina da Bologna
Ernest Simoni, il cardinale albanese sopravvissuto a 28 anni di lavori forzati e torture sotto il regime comunista di Hoxha, è finalmente riuscito a recarsi nella chiesa dov’è custodito il corpo, incorrotto e seduto su un trono, di santa Caterina da Bologna, protettrice degli esorcisti. Un desiderio che si realizza per il novantatreenne prelato dalla fede granitica, e lui stesso esorcista.
Alla fine ce l’ha fatta: il cardinale albanese Ernest Simoni, 93 anni compiuti il 18 ottobre, il “martire vivente” come lo definì Papa Francesco ascoltando commosso nel 2014 a Tirana la sua testimonianza di 28 anni di lavori forzati, torture e vessazioni di ogni genere da parte del regime comunista del dittatore albanese Enver Hoxha, è riuscito finalmente (dopo che l’anno scorso aveva dovuto rimandare per via del Covid) ad andare a Bologna, domenica 3 ottobre, per visitare santa Caterina detta appunto “da Bologna”, nella cappella a lei dedicata nella Chiesa del Corpus Domini.
Unico nel suo genere, com’è noto, il corpo della nobile Caterina de’ Vigri - che lasciò una vita agiata alla corte degli Estensi per professare la regola di Santa Chiara prima nel monastero del Corpus Domini di Ferrara e poi a Bologna, dove nel 1456 venne chiamata per fondare il primo convento di suore clarisse della città - è dalla data della sua morte (9 marzo 1463) incorrotto e seduto su un trono riparato solo da un vetro attraverso cui santa Caterina guarda, spesso in modo diverso (a volte apre di più un occhio a volte un altro), tutte le persone che vanno a chiederle di intercedere per loro o a ringraziarla. Fra questi molti esorcisti di cui “la Santa”, come viene familiarmente chiamata a Bologna, è protettrice perché lei stessa, per cinque anni disturbata da forti tentazioni diaboliche, così come scrive nel libro “Le sette armi spirituali”, combatté e vinse il demonio.
Anche il cardinal Simoni, che quest’anno, oltre ai 65 dall’ordinazione, si prepara a festeggiare, il 19 novembre, i primi cinque anni della porpora cardinalizia, è un esorcista. E pure lui, come santa Caterina, di vocazione francescana, dato che abbracciò la regola dei Frati Minori e, col nome di “fra Enrico”, studiò fino ai vent’anni presso il “Serafico”, il convento francescano di Scutari, fino a quando cioè non venne chiuso insieme con tutti i conventi, le chiese e qualsiasi altro luogo di culto dal regime comunista dell’Albania che si vantava di essere il primo Stato al mondo a dichiararsi ateo già nella Costituzione.
Appoggiandosi appena un po’ a Vieri Lascialfari, il segretario della diocesi fiorentina che lo segue ovunque, perché la sua seconda patria è oramai Firenze, dov’è canonico onorario del capitolo della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, padre Ernest, come ama essere chiamato, accolto con gioia dalle Clarisse di Santa Caterina, che fu la prima abbadessa del convento del capoluogo felsineo, di cui è compatrona, ha concelebrato la Messa e tenuto un’omelia a braccio in cui parole latine (la lingua universale della Chiesa pre-conciliare) si mischiavano con quelle italiane; d’altra parte se poté continuare a celebrare la Messa anche durante la sua lunga detenzione nelle miniere e poi nelle fogne albanesi, consacrando molliche di pane e acini d’uva, fu proprio grazie al latino che i suoi carcerieri non capivano, tanto da pensare che fosse impazzito.
In realtà, non solo le sue parole ma la sua stessa persona trasudano quella fede granitica che ogni credente cerca nel proprio pastore. Oramai unico testimone sopravvissuto di quella “Chiesa del Silenzio” che in Albania fece strage di consacrati e fedeli, dal modo leggero in cui racconta le atroci sofferenze subite nelle quali non si è mai sentito abbandonato dal Signore, il cardinal Simoni ha fatto capire in modo tangibile a tutti i presenti che gremivano la chiesa del Corpus Domini cosa sia l’affidamento totale al Signore e in ultima sintesi cosa sia il “Gesù, confido in Te” della rivelazione fatta a santa Faustina. E forse non sarà un caso se il giorno in cui padre Ernest celebrò la sua prima Messa, l’8 aprile 1956, fosse proprio una Domenica della Divina Misericordia, così come lo è stata l’11 aprile scorso quando ha festeggiato le “nozze di pietra” con la Chiesa.
Il motto scritto nella cappella della Santa: “Et gloria eius in te videbitur”, “in te (Caterina) si vedrà la Sua gloria (di Dio)” vale quindi un po’ anche per questo anziano sacerdote albanese, ora principe della Chiesa, che è riuscito a curare e proteggere il gregge a lui affidato anche durante l’assalto dei lupi. D’altra parte, anche il beato padre Olinto Marella, altro pastore che si è consumato per il suo gregge, aveva scritto: “Serviti di me e del mio Ministero o Signore, Padre Onnipotente, affinché ogni uomo veda la Tua gloria, ritrovi la gioia della Fede e della Speranza…”.