Il canto del cigno del Cav e il Trump che non c'è
Prigioniero dei suoi interessi personali e aziendali, Berlusconi oggi dovrebbe rendersi conto di non poter più sprigionare la forza carismatica. I veri statisti sono quelli capaci di uscire di scena, invece ora gioca due partite opposte in vista del referendum. E un Trump italiano oggi non è per nulla all'orizzonte.
Chi l’avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato indispensabile rottamare Silvio Berlusconi per far risorgere il centrodestra? Probabilmente nessuno, ma la cronaca politica degli ultimi giorni ci sta regalando la rappresentazione plastica dello psicodramma che quello schieramento sta vivendo da anni. Un leader che per oltre un ventennio ha tentato di cambiare il Paese in senso liberale senza riuscirci e che ha incarnato un sicuro riferimento per le tante coscienze moderate oggi appare il principale ostacolo sulla strada del rinnovamento della politica e delle istituzioni.
Prigioniero dei suoi interessi personali e aziendali, l’ex Cavaliere, cui va il merito innegabile di aver impedito per anni che l’Italia finisse nelle mani delle frange più estreme della sinistra statalista, oggi dovrebbe rendersi conto di non poter più sprigionare quella forza carismatica che gli ha consentito di diventare uno dei leader della cosiddetta seconda Repubblica.
I veri statisti sono quelli capaci di uscire di scena al momento giusto e di preparare una successione indolore per amore di una nobile causa. Berlusconi si sta dimostrando tutto fuorchè questo, sta trascinando il centrodestra in un pantano devastante e rovinoso, non rendendosi conto che la sua epoca è finita da tempo e che soltanto un rinnovato slancio riformatore e un serio investimento su soggetti nuovi e non compromessi potrebbero garantire a quell’area politica di tornare ad avere ambizioni di governo.
Ma il fondatore di Forza Italia ha deciso di giocare un’altra partita in vista del referendum: dichiarare di votare “no” ma non precludersi la possibilità di trattare con Renzi in caso di vittoria del “si”. Affermare, come ha fatto due giorni fa il Cavaliere, che l’unico leader in circolazione è l’attuale premier significa in qualche modo legittimarlo, aiutarlo e mantenere un canale aperto con Palazzo Chigi. Se la riforma Boschi superasse la prova del 4 dicembre, tornerebbe d’attualità il “Partito della Nazione” e molti forzisti vicini a Berlusconi potrebbero prendere in seria considerazione l’ipotesi di aderirvi, insieme con Alfano, Verdini e altri centristi pronti a saldare il loro futuro politico con quello dell’ex sindaco di Firenze. Un’ipotesi del genere taglierebbe le ali estreme dai giochi e marginalizzerebbe la Lega.
Come ha ricordato un altro dissidente come Raffaele Fitto, il centrodestra ha perso dieci milioni di voti in pochi anni e la sua proposta politica è diventata sterile ed evanescente. Servirebbe un nuovo collante, che non può essere Berlusconi. L’unico modo per decretare l’uscita di scena dell’ex Cavaliere sarebbe quello delle primarie, non a caso sponsorizzate da tutti quelli che vorrebbero liberarsene una volta per tutte (Meloni, Salvini, lo stesso Fitto).
Velleitari sono i tentativi che molti settori del centrodestra stanno portando avanti negli ultimi giorni per sfruttare il vento “trumpista” che soffia dagli Usa. Da noi non esiste un vero Trump. Né Grillo né Salvini possono minimamente essere paragonati a lui perché entrambi provengono già dal sistema e sono già “vecchi” sulla scena politica. Peraltro l’Italia continua ad avere un baricentro culturale di natura moderata e quindi proposte estremiste non hanno storicamente mai attecchito nel nostro Paese.
Lo sport preferito ad Arcore sembra però quello di incoronare e impallinare delfini del capo e la sorte di Fini, Alfano, Fitto sembra ormai dover toccare anche a Stefano Parisi. Il candidato sindaco di Milano, sponsorizzato da Letta e Confalonieri, era partito con grandi aspettative ma qualche giorno fa è stato lo stesso Berlusconi a scaricarlo e a dire che, senza un accordo con Salvini, l’ex manager Fastweb non potrebbe mai diventare leader del centrodestra. Si è trattato chiaramente di un gesto tattico per tenere unita la coalizione almeno fino al 4 dicembre, prima di decidere se dare la spallata definitiva a Renzi, in caso di vittoria dei “no”, o se avviare una nuova stagione riformatrice nel segno di un nuovo “Patto del Nazareno”, in caso di risicata vittoria dei “si”.
Paradossalmente a Berlusconi converrebbe più questa seconda ipotesi. Lui l’ha capito e non vuole mollare il suo pupillo e amico Matteo. Ma i sempre più disorientati elettori del centrodestra apprezzeranno?