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IL LAICO DELL'ANNO

Il califfo Flores mette le manette anche a Dio

Il cenacolo dei soliti noti, quelli con la puzza sotto il naso e la sinistra ai piedi, i quattro aristogatti del “meno siamo, meglio stiamo”, i tromboni della banda di Repubblica che se la cantano e se la suonano. Tutti insieme, interessatamente, a festeggiare uno di loro, l’esimio Paolo Flores d’Arcais eletto all'unanimità  "Laico dell'anno". 

Editoriali 11_03_2015
Paolo Flores  d'Arcais

Il cenacolo dei soliti noti, quelli con la puzza sotto il naso e la sinistra ai piedi, i quattro aristogatti del “meno siamo, meglio stiamo”, i tromboni della banda di Repubblica che se la cantano e se la suonano. Tutti insieme, interessatamente, a festeggiare uno di loro, l’esimio Paolo Flores d’Arcais salito in cattedra per la sua lectio magistralis. Impartita al mondo (meno di così lui non si disturba) con la compiacenza del rotary club della sinistra professorale e nobiliare che lo ha eletto (all’unanimità, off course) “Laico dell’anno”, cioè quello che nel 2014 l’ha sparata più grossa su Dio, lo Stato, la ragione e la democrazia.

Con il parterre de roi delle piccole occasioni riservate dall'esclusivo clubino rosso antico e dai doppi cognomi,  come la fantozziana contessa Serbelloni Mazzante Vien dal Mare. La sinistra baronale, quella dei De Benedetti, degli Asor Rosa, del conte Caracciolo e della marchesina Borromeo, associata alle più belle griffe repubblichine: Corrado Augias, Stefano Rodotà, Chiara Saraceno, Gustavo Zagrebelski, Giulio Giorello, Gian Enrico Rusconi. Riuniti a fare la claque e giuria, come all’Isola dei Famosi solo che qui non c’è il televoto perché già sanno il nome del vincitore. Del resto, tutte quelle persone sono state a loro volta winner con lo stesso titolo: dunque, una sorta di voto di scambio tra i miglior laici del bigoncio ateo-sinistro. 

Ma quella di Flores, più che una lectio magistralis era una repetita infernalis, un copia e incolla per l’occasione del suo ultimo libro da titolo: La democrazia ha bisogno di Dio. Falso! Vabbè, manco la suspense di saper come va a finire, però ci evita la spesa del comprarlo. Repubblica ha anticipato di un giorno la lectio (risparmiandoci così anche il biglietto per Torino) del dottor Flores, titolandola così: “La democrazia deve chiedere l’esilio di Dio”. Se non è zuppa è pan bagnato, ma l’omelia recitata ai confratelli dal “Laico del 2014”, contiene passaggi così paradossali che valgono qualche minuto di attenzione. Se non  altro, per farsi un’idea a quali paradossi possono arrivare di questi maître-à-penser sedicenti eredi di Benedetto Croce ma più spesso di Marx e Trotzskij. «La democrazia è atea, imprescindibilmente».  

Questa l'originale tesi che Flores sventola su Repubblica e sul muso di chi, da Tocqueville in giù, sostiene che la democrazia non sta in piedi senza Dio. Invece no. Dio può sopravvivere alla democrazia, secondo lui, solo accettando l’«esilio dorato nella sfera privata della coscienza» e ingiungendo ai suoi rappresentanti in terra di non interferire con il potere. Non ci sono santi e nemmeno dei: «O l’esilio di Dio dall’intera sfera pubblica», sentenzia il magistrale, «o l’irruzione del Suo volere sovrano — dettato come sharia o altrimenti decifrato — in ogni fibra della vita associata. Aut aut. Ecco perché è inerente alla democrazia l’ostracismo di Dio, della sua parola e dei suoi simboli, da ogni luogo dove protagonista sia il cittadino: scuola compresa, e anzi scuola innanzitutto, poiché ambito della sua formazione. Al fedele restano chiese, moschee, sinagoghe, e la sfera privata».

Il Flores è così, figura scelta del forcaiolismo nostrano, comunista poi craxiano, infine convertito alle manette da Di Pietro, appartiene alla categoria degli atei molesti e invadenti: non si limita a fare il mestiere dell’onesto miscredente, ma vorrebbe mettere al rogo chi non la pensa come lui. Nel nome dell’Io, per lui unico e vero Dio. Dunque, lezioneggia il magister, «la religione è compatibile con la democrazia solo se disponibile e assuefatta all’esilio di Dio dalle vicende e dai conflitti della cittadinanza, solo se pronta a praticare il primo comandamento della sovranità repubblicana: non pronunciare il nome di Dio in luogo pubblico. (…) Le religioni compatibili con la democrazia sono dunque religioni docili, che hanno rinunciato a ogni fede militante (di sharia e martiri o di legionari di Cristo e altre comunioni e liberazioni) che intenda far valere nel secolo la morale religiosa. Sono religioni sottomesse». Nella versione di Flores, il credente è «civicamente minus habens perché incapace di interiorizzare autonomamente la scelta pro-democrazia e in grado di riconoscerla solo affidandosi all’autorità religiosa di riferimento» . Se vuole integrarsi nel sistema democratico, egli deve pertanto appendere Dio all’attaccapanni, come fa lo scienziato prima di entrare in laboratorio: uscendo così dalla propria «condizione permanente di minorità».

Insomma, sistemato Dio ai piedi del potere come docile cagnolino da compagnia, il, compagno Paolino Fiorellino  indica quali sono i nemici da abbattere: i cattolici. Devono starsene buoni e a cuccia, senza resistere e protestare. A leggere la magistrale lectio flordarcaista c’è da restare spaventati: pare di venire scaraventati nell’Urss di Stalin o nella Cambogia di Pol Polt e nella Cina della Guardie Rosse della Rivoluzione culturale. Tutti regimi rigorosamente atei, che di preti, suore e credenti ne ha fatti i pubblici nemici, dunque genuinamente “democratici”, secondo la stralunata logica del filosofo dell’anno. Lo sradicamento di Dio e della religione perseguito scientificamente e militarmente è costato milioni di morti ammazzati, distruzioni e saccheggi, campi di concentramento e lager che oggi hanno nella teo-follia dell’Isis e nei tagliagole del Califfo nero il loro orribile replay. Il giacobino Flores d’Arcais come al Baghdadi: i cattolici vannno chiusi in una riserva e se insistono a opporsi al laicissimo pensiero unico esiliati altrove. Ecco, questa è la gente che procura materia grigia e armi alla rivoluzione fondamentalista e radicale. Ed è qui, nell’attacco alla religiosità e all’identità cattolica, che oggi la jihad islamica trova docile sponda nelle jihad laiciste e nichiliste. Per questo gli ammazza cristiani salafiti del Califfo e l’ateo Flores, il fanaticissimo “Laico dell’anno”, mica sono poi così lontani.