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GUERRA ALL'ISIS

Il Califfato sconfitto a Fallujah, ma in Siria vince

Fallujah è stata liberata dalla presenza dell’Isis, che l’aveva occupata nel gennaio del 2014. La  sua caduta umiliò l’esercito iracheno che registrò oltre 10 mila disertori in poche settimane, anticipazione di quanto sarebbe accaduto a Mosul e Tikrit. Non così in Siria, invece, dove  Califfato è al contrattacco.

Esteri 29_06_2016
Milizie dell'Isis in Siria

Fallujah è stata «completamente liberata» dalla presenza dell’Isis, che l’aveva occupata nel gennaio del 2014. Lo ha annunciato trionfalmente alla tv irachena il generale Abdul-Wahab al-Saadi, capo delle forze antiterrorismo dell’operazione militare iniziata oltre un mese fa. 

«Dal centro del quartiere al Julan, ci congratuliamo col popolo iracheno e con il Comandante in capo», ha detto il generale, attorniato da alcuni ufficiali, mentre diversi soldati sparavano raffiche di mitra in aria, in segno di giubilo rivolgendosi al premier iracheno Haidar al-Abadi, andato di persona a Fallujah a celebrare la vittoria. Lo stile mediorientale un po’ kitsch che caratterizza proclami roboanti e lunghe raffiche di k-47 sparate in aria non deve ingannare circa la portata, reale e simbolica, del successo conseguito a Fallujah.

La città venne occupata nel gennaio 2014, ben sei mesi prima di Mosul e della proclamazione del Califfato, e la sua caduta umiliò l’esercito iracheno che registrò oltre 10 mila disertori in poche settimane, anticipazione di quanto sarebbe accaduto a Mosul e Tikrit. La sua riconquista, come quella di Ramadi (nella stessa provincia di al-Anbar) era diventata un punto d’onore per l’esercito iracheno che voleva lavare l’onta di quelle sconfitte. Ma la vittoria a Fallujah ha anche un importante significato tattico. La città si trova, infatti, sulla strada che conduce da Baghdad in Giordania e dista appena 50 chilometri dalla capitale contro la quale  l’Isis ha spesso lanciato puntate offensive.

«La battaglia per Falluja è finita», ha detto ancora il generale, aggiungendo che circa 1.800 miliziani dell’Isis sono stati uccisi (cifra forse gonfiata a fine propagandistici) molti altri sono fuggiti e che è già iniziata la bonifica delle trappole esplosive che i miliziani del Califfato si sono lasciati alle spalle in vari quartieri. Secondo fonti governative irachene, le condizioni generali a Fallujah non sembrano drammatiche come in altri centri liberati dalle forze irachene, come Ramadi. Lo ha riferito anche il ministro della Difesa iracheno, Khalid al Obeidi, secondo il quale il 90 per cento della città è ora «sicuro e abitabile».

Non è però ben chiaro quante delle oltre 85 mila persone che secondo l’Onu sono fuggite sin dall’inizio dell’operazione torneranno alle loro case poiché in molti temono le rappresaglie dei militari governativi, per lo più sciti, e delle milizie Badr di mobilitazione popolare. Rappresaglie già registrate nelle scorse settimane nei primi quartieri liberati dalle milizie scite che, infatti, avevano l’ordine di consegnare le aree urbane conquistate alla polizia irachena. Del resto, la guerra in corso è anche e forse soprattutto un conflitto tra sciti e sunniti e ben difficilmente potranno venire rimarginate le fratture venutesi a creare fin dalla guerra degli anglo-americani del 2003 tra le due parti della popolazione irachena, anche indipendentemente dalle violenze reciproche e dalle rappresaglie scite sulla popolazione sunnita.

Quest’ultima del resto ha sostenuto in gran parte lo Stato Islamico così come in passato si alleò di al-Qaeda pur di combattere il governo di Baghdad espresso con l’arrivo dalla democrazia con il concetto “un uomo, un voto” che ha favorito la maggioranza scita degli iracheni. La liberazione di Fallujah rende forse più vicina l’offensiva contro Mosul, città più grande, da un milione di abitanti, e in cui le difficoltà a costituire un’alleanza concreta tra milizie scite, curdi, forze irachene regolari e iraniani potrebbe dare ancora respiro allo Stato Islamico. Mosul è una città di un milione di abitanti e se l’Isis decidesse di barricarsi e vendere cara la pelle le perdite tra gli attaccanti potrebbero risultare spaventose.

Le milizie scite filo uraniane sono considerate pericolose per la popolazione sunnita della città, i curdi non intendono combattere e morire per una città che non è e non sarà mai parte del Kurdistan, mentre l’esercito di Baghdad da solo non ha la forza per condurre una simile operazione nonostante l’appoggio aereo della Coalizione e l’arrivo di uno squadrone di elicotteri da attacco statunitensi Apache. Inoltre l’Isis, non sembra sul punto di crollare: perde terremo ma combatte in modo composto battaglie difensive in Iraq come nella città libica di Sirte, e i suoi miliziani sfuggono in buona parte all’accerchiamento nemico mischiandosi tra i civili.

In Siria il Califfato è addirittura al contrattacco non solo lungo il confine turco, ma anche nel settore di Raqqah, la “capitale” dello Stato Islamico, dive nelle ultime ore è riuscito a respingere un’offensiva delle milizie curde appoggiate dagli Stati Uniti sulla città di Minbaj, nella provincia di Aleppo, frenandone l’avanzata. Secondo quanto riferisce l’inviato dell’emittente televisiva “al Jazeera”, i jihadisti hanno distrutto una serie di mezzi delle milizie siriane vicino al villaggio di al Daifa, a nord di Minbaj, notizia diffusa anche dall’agenzia di stampa del gruppo islamico “Amaq”.

I jihadisti hanno inoltre ammesso la morte di numerosi dei loro uomini nella battaglia intorno alla città. Lo Stato islamico è ancora asserragliato all’interno del centro urbano e lancia contrattacchi contro le forze curde. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha riportato che le forze curde hanno condotto ieri una violenta battaglia a sud di Minbaj coadiuvate dalla copertura aerea dei caccia della Coalizione internazionale guida Usa. La settimana scorsa le truppe del Califfato avevano respinto con successo anche le forze regolari siriane che avanzavano verso Raqqah da Sud obbligandole a ritirarsi di almeno 40 chilometri da Tabqa, la cittadina sull’Eufrate la cui conquista è fondamentale per alimentare il supporto logistico che dovrebbe sostenere l’offensiva delle forze di Bashar Assad verso Raqqah. Nonostante alcuni successi la guerra all’Isis sembra promettere un’altra estate molto calda.