LA RIVISTA
Il business del fotovoltaico
I pannelli fotovoltaici per l'energia solare non sono nè efficienti, nè rispettosi dell'ambiente come dicono.
Cultura
10_03_2012
Per gentile concessione, dall'ultimo numero in uscita di «Vita e Pensiero», bimestrale culturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, pubblichiamo ampi stralci di questa riflessione firmata dagli agronomi Marco Trevisan e Gabriele Sacchettini.
I pannelli fotovoltaici considerati sempre di più come strumento principe per la produzione di energia rinnovabile, in realtà sono più un sistema per far cassa che per salvaguardare l’ambiente. La Commissione europea ha presentato il 23 gennaio 2008 il “Pacchetto cambiamenti climatici ed energia” (comunemente definito “20-20-20”) che prevede, tra le altre cose, l’impegno di raggiungere a livello comunitario la quota del 20 per cento di energie rinnovabili nel totale dei consumi energetici entro il 2020. Per questa ragione, in questi ultimi anni e in tutti gli Stati membri, si sono intensificati sovvenzioni e finanziamenti in modo da raggiungere tali obiettivi e rendere così l’Unione europea più “sostenibile” nel settore energetico.
Il risultato è stato l’aumento rilevante del peso delle fonti energetiche rinnovabili. In particolare sono stati adottati diversi strumenti d’intervento che possiamo classificare in due grandi tipologie: finanziamenti diretti e indiretti. Nei primi lo Stato prevede un sussidio iniziale, che copre una percentuale dell’importo dell’investimento necessario alla realizzazione di un impianto, mentre nei secondi si prevede una tariffa incentivante, cioè lo Stato si impegna ad acquistare l’energia prodotta da una fonte rinnovabile a un prezzo maggiorato, che viene “trasferito” direttamente nella bolletta. In Italia si è deciso di puntare soprattutto sulla seconda tipologia di intervento (finanziamenti indiretti), che vengono gestiti attraverso il sistema del Cip6 (delibera del Comitato interministeriale prezzi adottata il 29 aprile 1992 a seguito della legge n. 9 del 1991). Per dare qualche numero in merito basta pensare che l’anno scorso il Cip6 ha comportato un onere complessivo scaricato in bolletta di 1,8 miliardi di euro (dato fornito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, nella relazione sullo stato del mercato nazionale dell’elettricità e del gas, trasmessa al Parlamento come richiesto dalla legge sviluppo del 2009). Secondo l’ultimo “Conto energia 2011/2013” (DM 6 agosto 2010 del ministro dello Sviluppo economico) la tariffa per il fotovoltaico può arrivare addirittura fino a 0.402/kWh, garantendo di fatto il recupero dell’investimento iniziale in pochi anni.
Questo sistema d’incentivi per l’energia rinnovabile rappresenta quindi un sistema tra i più profittevoli al mondo, con un impatto sempre maggiore sulle bollette degli italiani che, secondo la stessa Authority, sono aumentate da un valore complessivo di 2,5 miliardi di euro del 2009 ai 3,4 miliardi del 2010; nel 2011 si può arrivare, in assenza di interventi, fino a 5,7 miliardi. Gli incentivi al fotovoltaico sono aumentati da 300 milioni di euro del 2009 a 826 milioni nel 2010 e inoltre, secondo il Gestore dei servizi energetici (Gse), a fine 2011 la potenza installata in Italia dovrebbe essere di circa 12 Gw, così da avviarsi a diventare il Paese con il più alto tasso di potenza fotovoltaica installata nel mondo. Cioè si potrebbero raggiungere in tempi non molto lontani, secondo le stime del Kyoto Club, circa il 5,5 per cento dei consumi energetici nazionali (attualmente la Germania, Paese leader del fotovoltaico, produce il 3,5 per cento dei consumi energetici nazionali). In pratica, la sfida della sostenibilità in ambito energetico è affrontata in Italia attraverso lo sviluppo dei pannelli fotovoltaici.
La domanda che ci si deve porre è: sono sostenibili i pannelli fotovoltaici? Da un punto di vista di efficienza energetica, studi recenti hanno dimostrato che tenendo conto di tutto il ciclo produttivo, l’energia solare è in generale sensibilmente meno efficiente rispetto ad altre alternative, come l’eolico e l’idroelettrico. Per dimostrarlo è stato utilizzato il cosiddetto “Ritorno energetico sull’investimento energetico” (Eroei) che è il rapporto fra l’energia che un impianto produrrà durante la sua vita attiva e l’energia consumata (cioè di fatto quella che è necessaria per costruire, mantenere e poi smantellare l’impianto). Ovviamente più alto è l’Eroei e maggiore è l’efficienza tecnologica dell’investimento; viceversa, se una tecnologia ha un Eroei minore di 1, deve essere scartata. Calcolare l’Eroei di un sistema energetico nella pratica non è una cosa semplice, in quanto è necessario tenere conto di tutto il ciclo di vita dell’impianto: per esempio, considerare l’energia necessaria alla costruzione dell’impianto, al suo futuro smantellamento, a tutte le lavorazioni e i trattamenti, alla formazione di tutte le strutture ausiliarie, a tutti i consumi riferiti alle persone che ci lavorano (per esempio l’energia dei tecnici usata per venire nell’impianto…). Per questa ragione in letteratura troviamo diversi valori e metodi che possono essere discordi in base alle assunzioni e alle tecnologie prese in considerazione.
In ogni caso la graduatoria tra le diverse fonti energetiche, qualunque sia il metodo scelto, è di solito la stessa. Secondo la versione più aggiornata, l’energia solare può raggiungere valori massimi di Eroei di circa 6-8 a differenza dell’energia eolica che può raggiungere un valore di Eroei pari a 18, e dell’idroelettrico che può invece raggiungere valori di Eroei addirittura maggiori di 100. Da questi studi emerge come l’efficienza energetica del fotovoltaico non sia elevata, anche se implementato nella giusta posizione e nell’ambiente appropriato, e quindi sia poco giustificato un suo supporto economico.
Un discorso simile può essere fatto anche da un punto di vista ambientale. La Commissione europea dal 1991 ha finanziato una serie di ricerche nell’ambito del progetto ExternE (External cost of energy) che ha come obiettivo quello di quantificare gli impatti negativi sull’ambiente delle varie fonti energetiche. Questi impatti sono comunemente definiti esternalità negative o costi esterni poiché generano dei danni non per il produttore, ma per la società in generale (per esempio la perdita di biodiversità, il riscaldamento globale...). È stato quindi sviluppato un indice che rappresenta il costo esterno per ogni fonte energetica (External cost resulting from environmental damage). I dati elaborati dal progetto indicano, ancora una volta, che eolico (con indice pari a 0,1) e idroelettrico (indice a 0,4) hanno un costo esterno associato inferiore a quello del fotovoltaico (indice a 0,6) e ovviamente del carbone (indice a 5,7). Questo valore è dovuto ai maggiori costi esterni associati alla costruzione e allo smaltimento dei pannelli fotovoltaici e la rilevante occupazione di suolo agricolo. Il fotovoltaico potrebbe avere un impatto ambientale nettamente minore se fosse applicato solo sulle aree urbanizzate (sui tetti degli edifici, in strade e parcheggi), ma questo non è incentivato dal sistema del Cip6 che concede la tariffa incentivante a tutta l’energia solare prodotta con differenze minime a seconda di dove e come questa viene generata.
Quindi, in conclusione, l’energia solare non è molto efficiente ed è rispettosa dell’ambiente solo a determinate condizioni che però non sono di fatto promosse. Il risultato è che, con la scusa della salvaguardia ambientale e dello sviluppo sostenibile, è stato creato un business notevole pagato dai “tanti” cittadini a favore dei “pochi” operatori del settore. Naturalmente la questione non riguarda solo il territorio italiano, ma tutto il mondo: secondo la decima edizione di un importante Rapporto curato dall’Institute for Energy and Transport – uno dei sette istituti scientifici del Joint Research Centre della Commissione europea – la produzione di pannelli solari è aumentata di cinquecento volte dal 1990 (ovviamente partendo da numeri iniziali molto bassi) ed è raddoppiata nel 2010.
Sempre secondo il Rapporto, l’Europa ha il 70 per cento degli impianti, mentre i maggiori produttori mondiali di celle solari e pannelli fotovoltaici sono nell’ordine: Cina, Taiwan, Germania e Giappone. Tra le venti più grandi industrie mondiali di produzione di pannelli e celle solari, quattro hanno stabilimenti in Europa: First Solar (Germania), Q-Cells (Germania), Rfec (Norvegia) e Solarworld (Germania). Si prevede che gli investimenti nel fotovoltaico passeranno dai 35-40 miliardi di dollari del 2010 a oltre 70 miliardi nel 2015, mentre i prezzi dei pannelli continueranno a calare. Il settore è quindi in forte crescita e si sta diffondendo in maniera sempre maggiore rispetto alle altre fonti rinnovabili, essendo realizzabile quasi ovunque, con la garanzia di un profitto sicuro.
Certamente la scelta di sfruttare l’acqua, il vento o il sole dipende fortemente dalle caratteristiche morfologiche e ambientali di ogni Paese ed è impensabile poter applicare la stessa soluzione in tutto il territorio di una nazione. L’energia solare può rappresentare una soluzione interessante, ma solo in alcune zone e solo se sono fissati e rispettati determinati criteri. Ovviamente la scelta di incrementare la produzione energetica da fonti rinnovabili è un obiettivo che merita di essere seguito con attenzione e impegno; sarebbe tuttavia preferibile definire caso per caso la soluzione da implementare, e non concentrarsi a priori e indiscriminatamente su soluzioni che hanno ancora delle prestazioni basse o almeno discutibili, magari con il solo scopo di favorire delle lobby commerciali e politiche.