Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
POLITICA

Il bipolarismo è morto, ma nessuno se n'è accorto

Si comportano come se ci fosse il bipolarismo, in realtà stanno facendo i conti senza l’oste. Pd e Movimento Cinque Stelle duellano su tutti i fronti e senza esclusione di colpi, convinti di essere gli unici a potersi contendere la guida del Paese. E in entrambi i partiti scoppiano liti. Il centrodestra però può riservare sorprese.

Politica 14_04_2017
Grillo contro Renzi

Si comportano come se ci fosse il bipolarismo, in realtà stanno facendo i conti senza l’oste. Pd e Movimento Cinque Stelle duellano su tutti i fronti e senza esclusione di colpi, convinti di essere gli unici a potersi contendere la guida del Paese, ma alcuni sondaggi riservati svelano che un centrodestra unito potrebbe spuntarla sia ai ballottaggi in alcuni Comuni sia alle politiche, che al massimo entro un anno arriveranno.

Fa peraltro sorridere che le dispute più veementi tra grillini e dem avvengano sul terreno giudiziario, a colpi di carte bollate, denunce, inchieste, avvisi di garanzia, quando normalmente a finire nel ciclone delle procure erano soprattutto esponenti del centrodestra. Di Maio e soci agitano lo spettro del mega-appalto che il governo Renzi avrebbe in qualche modo tentato di pilotare secondo l’accusa nel processo Consip. L’ex premier annuncia querele nei confronti di Marco Travaglio e del Fatto Quotidiano, considerati megafoni del pensiero pentastellato. 

Anche il Movimento Cinque Stelle, dopo le burrascose vicende del Campidoglio, con il sindaco Raggi al centro di oscure trame dai possibili risvolti giudiziari, ha le sue gatte da pelare. L’ultima in ordine di tempo è quella che arriva da Palermo, dove la Procura chiede un processo per lo stato maggiore dei grillini in Sicilia (ci sono anche tre parlamentari), accusato di aver falsificato le firme necessarie per la presentazione della lista alle comunali 2012. Senza dimenticare il pasticcio di Genova, dove i Cinque Stelle non sanno ancora se parteciperanno alla corsa per il sindaco, vista la guerra a suon di carte bollate con la candidata esclusa da Grillo dopo aver vinto le primarie on line.

Nel Pd il tasso di litigiosità ha raggiunto i livelli di guardia, dopo l’esclusione di Michele Emiliano dalle primarie Pd in Liguria e Lombardia da parte della Commissione Congresso del partito per insufficienza di firme. I sostenitori del governatore pugliese hanno già preannunciato ricorso. Con un’atmosfera così avvelenata appare evidente che l’appuntamento del 30 aprile sarà per i dem una sorta di resa dei conti. Il favorito è Renzi, destinato a riprendersi in mano il partito, ma con un successo che potrebbe rivelarsi la classica “vittoria di Pirro”, soprattutto se i sondaggi su un Pd al 26% fossero confermati. 

L’ex premier, che aveva annunciato agli italiani di voler lasciare la politica in caso di sconfitta al referendum del 4 dicembre e che, venendo meno a quella promessa, anziché lasciare, intende raddoppiare, cioè riconquistare la guida del Pd e tornare a Palazzo Chigi, sta facendo tutte le varie simulazioni per capire quale sistema elettorale possa consentirgli di realizzare le sue ambizioni di rivincita.

Purtroppo per lui, sembra avere pochi margini di scelta. Non solo perché alla presidenza della Commissione Affari Costituzionali del Senato non è stato eletto un suo fedelissimo. Ma soprattutto perché, sceso anche Salvini dal carro del Mattarellum, appare ormai inesorabile un voto politico col sistema proporzionale, il che favorirà la polverizzazione della rappresentanza. Sia a sinistra che a destra nasceranno formazioni nuove, che punteranno a raggiungere un numero anche minimo di seggi per poi essere determinanti nella formazione di un probabile governo di larghissime intese. E questa tendenza a recuperare le identità, anche piccole, danneggerà i partiti maggiori, che subiranno emorragie.

Si sa che nei casi di alleanze bipartisan occorrono uomini di mediazione e certamente Renzi non lo è, soprattutto perché si accinge a ridiventare segretario del Pd. Potrebbe, quindi, candidarsi solo a capo di un governo di centrosinistra, non alla guida di un variegato rassemblement con spezzoni di centrodestra.

I grillini, da questo punto di vista, si presentano più coesi e, qualora non raggiungessero la fatidica soglia del 40%, potrebbero comunque rivendicare l’affidamento dell’incarico a un loro uomo. A quel punto tutto potrebbe accadere, anche qualche intesa insolita e innaturale (con la Lega? Con gli scissionisti Pd?) in grado di offrire ai grillini i voti mancanti per poter governare.

Ma, come si diceva, occorre guardare con interesse a ciò che succede nel centrodestra. In una fase in cui la parola dominante a sinistra è disgregazione (gli scissionisti Pd e la sinistra ideologica di Boldrini e Pisapia appaiono difficilmente riconducibili al recinto renziano), una ricomposizione del centrodestra sul modello lombardo e ligure, con anima centrista e anima leghista tenute insieme da una leadership forte, potrebbe scompaginare il quadro e rimettere in discussione gli attuali rapporti di forza.

E poi l’autunno sarà comunque decisivo, considerato che la manovrina da 3,4 miliardi sbandierata ai quattro venti due giorni fa dal governo Gentiloni non aiuterà la crescita e che quindi occorrerà una massiccia manovra d’autunno (si stima di circa 30 miliardi), destinata a rivelarsi impopolare e quindi a sottrarre altri voti ai partiti che sostengono l’attuale governo, in primis il Pd. Alfano l’ha capito e cerca pretesti per marcare la distanza o addirittura per far cadere l’esecutivo prima che l’elettorato identifichi anche Alternativa popolare tra i partiti responsabili di rincari, nuove tasse e altre misure vessatorie. Lo scontro continuo tra Renzi, interessato a un sonoro successo elettorale che lo riporti alla guida del governo, e i ministri tecnici, sempre meno disposti ad assecondarlo, sarà la cartina al tornasole della politica italiana dei prossimi mesi.