Il berlusconismo nella storia d'Italia
Per capire il berlusconismo bisogna tornare alla sua origine, alla lotta contro l'invadenza dello Stato nella vita della società.
Si scrive molto in queste settimane e mesi della fine di un ciclo della storia politica italiana, un tempo segnato dalla figura di Silvio Berlusconi, l'imprenditore che nel 1994 vinse le elezioni politiche e divenne Presidente del consiglio dopo poche settimane dalla fondazione di un nuovo movimento politico, Forza Italia.
A prescindere dal fatto che sia Berlusconi sia la sua creatura politica sono "ancora in campo" e paiono lontani dalla "pensione", rimane la necessità di comprendere questo fenomeno culturale e politico che ha caratterizzato la recente storia italiana. Per farlo bisogna tornare indietro di qualche anno per trovare le ragioni che negli anni Novanta vedranno il successo del cavaliere.
Gli anni Ottanta del secolo scorso sono decisivi per capire ciò che accadrà da lì a pochi anni in tutto il mondo. Con la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, certamente l'evento decisivo per comprendere i grandi cambiamenti avvenuti a cavallo del XXI secolo, cambia la geopolitica mondiale nel senso che il conflitto fino ad allora dominante, fra il mondo occidentale e quello comunista, cessa di essere il punto di riferimento di ogni analisi e interpretazione. Emergerà così in tutta la sua importanza la questione islamica, in particolare dopo la rivoluzione in Iran nel 1979, ma anche l'espansione del neocomunismo cinese e delle altre civiltà emergenti, come quella indiana. Il mondo diventerà sempre più un villaggio globale interdipendente, soprattutto dopo l'inizio, nel 1991, dell'era di internet e dei socialforum.
In Italia, negli anni Ottanta, si percepisce sempre di più una diversa atmosfera culturale e politica. Provo a descriverla, senza scoprire nulla di nuovo né dare particolari giudizi di valore, ma semplicemente per rendere conto di un cambiamento che presenta luci e ombre.
L'esaurirsi a livello internazionale della spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre, come dirà il segretario del Pci Enrico Berlinguer, spingono quest'ultimo a tentare una nuova strada per portare i comunisti alla guida dei governi nel mondo occidentale. Si tratta di tentare un compromesso culturale e politico col mondo cattolico, provato prima in Cile e quindi in Italia nel triennio 1976-1979 con i governi di compromesso storico fra la Dc e il Pci. Ma lo stesso Berlinguer pone fine a questo tentativo riportando il Pci all'opposizione, temendo il logoramento della tensione rivoluzionaria del suo partito. Inizia così nel 1980 la stagione politica dominata dal tentativo di Bettino Craxi di guidare l'Italia a capo di una forza politica di sinistra, il PSI, non più subalterna ai comunisti, ma alleata alla Dc, su posizioni molto anticomuniste e legate all'Occidente.
Da un punto di vista culturale, gli anni Ottanta vedono la progressiva scomparsa del rilievo pubblico dell'ideologia comunista, che aveva contrassegnato l'epoca successiva alla seconda guerra mondiale e ancora dopo il Sessantotto. Si può dire che negli anni Ottanta si assiste alla vittoria definitiva dell'anima radicale e trasgressiva del Sessantotto, su quella politica e terroristica.
Berlusconi è amico di Craxi e durante i governi di quella stagione politica ottiene il superamento del monopolio della televisione pubblica, che permette alle sue tv commerciali, a noi ormai abituali, di concorrere con quelle dello Stato quasi su un piano di parità. Se è vero che le tv commerciali porteranno un notevole contributo al degrado morale e culturale del mezzo televisivo, e in conseguenza dei costumi, è anche vero che la loro liberalizzazione segna una svolta politica e culturale importante nella storia del Paese, sottraendo allo Stato un potere di controllo dell'informazione e della cultura assolutamente contrario alla giustizia e alla sussidiarietà.
Per capire il berlusconismo bisogna tornare qui, alla sua origine, alla lotta contro l'invadenza dello Stato nella vita della società, al tentativo di restituire a quest'ultima una libertà concreta che in nome della liberté astratta e rivoluzionaria le era stata negata per decenni. Si crea una solidarietà formidabile fra una parte degli italiani e l'imprenditore di successo, che ha il culto del lavoro, che ha ottenuto i risultati grazie al suo impegno e che disprezza e viene disprezzato dalla vecchia politica dei partiti. Una specie di populismo nazionalpopolare, che in parte ricorda il qualunquismo del secondo dopoguerra, ma che non sarà effimero come quest'ultimo e non è stato riassorbito nei partiti, come avvenne col movimento di Guglielmo Giannini. Un movimento che incontra il consenso di un blocco sociale, composto dalle famose partite IVA ma non soltanto da loro: imprenditori e operai, gli artigiani e i commercianti, rimarranno sempre molto ostili invece gli insegnanti e i dipendenti pubblici, che si sentiranno minacciati dall'avanzare di una rivoluzione antistatalista.
Sul piano internazionale, per comprendere questo fenomeno culturale e politico, bisogna tenere presente ciò che ha significato per l'Italia quanto accadeva in quegli anni in Inghilterra con Margaret Thatcher e negli Usa con Ronald Reagan, ossia i profondi cambiamenti in senso antistatalista introdotti nei rispettivi Paesi, accanto a una politica estera profondamente anticomunista.
Un altro grande protagonista della vita pubblica di quegli anni, che è necessario avere presente per capire che cosa accadde, è Papa Giovanni Paolo II. Egli darà ai cattolici la fierezza dell'essere cristiani in un mondo sempre più secolarizzato, ponendo così le premesse per una nuova evangelizzazione, la seconda in Occidente dopo quella che generò la cristianità medievale. Con Giovanni Paolo II la Chiesa avrà un ruolo da protagonista nelle vicende internazionali, soprattutto relativamente alla caduta e alla ricostruzione dei regimi comunisti europei. Analogamente in Italia, la Chiesa ritornerà protagonista grazie ai nuovi movimenti ecclesiali e alle associazioni nate dopo il Concilio Vaticano II, che assumeranno i connotati culturali di un movimento impegnato nella nuova evangelizzazione, animato soprattutto da laici e rivolto a recuperare gli ambienti, in particolare giovanili, che in seguito al processo di secolarizzazione si erano distaccati dalla Chiesa. Il momento emblematico di questo nuovo atteggiamento sarà il Convegno della Chiesa italiana organizzato a Loreto nel 1985, che segnerà il tramonto del cattolicesimo democratico e della sua "scelta religiosa".
Così, quando dopo il 1989, scompaiono prima il Pci, che viene trasformato in una forza politicamente indefinibile comunque costretta a prendere le distanze dal suo passato, e la Dc, oltre che al PSI dell'amico Craxi, entrambi travolti da Tangentopoli, Berlusconi si trova di fronte al dilemma se entrare o no nella lotta politica diretta. Lo farà e vincerà inaspettatamente le elezioni nel 1994, sconfiggendo la "gioiosa macchina da guerra " dell'ultimo segretario comunista Achille Occhetto.
Il mutamento nel quadropolitico introdotto da Berlusconi è stato notevole. Una forza politica emarginata dal 1945, il MSI, giunge addirittura a governare l'Italia con i suoi dirigenti, ma soprattutto abbandona definitivamente il suo legame ideologico col fascismo diventando un partito di destra, con la trasformazione in Alleanza Nazionale, che cerca nella dottrina sociale della Chiesa e nelle radici cristiane dell'Europa le principali ragioni del suo impegno politico.
Un'altra forza politica, La Lega nord, nata al di fuori dallo schema delle ideologie con lo scopo di rappresentare gli interessi di una parte importante della popolazione italiana, quella che abita le regioni del Nord, viene anch'essa coinvolta nel governo del Paese.
Gli eredi della Dc sono costretti a rinunciare al ruolo centrista, anche grazie al cambiamento del sistema elettorale, e si dividono: per la prima volta una parte di ex democristiani si sposta a destra, alleandosi con Berlusconi e in qualche caso entrando a fare parte del suo partito.
Quest'ultimo, Forza Italia prima, poi Popolo della libertà in seguito alla fusione con Alleanza Nazionale e altre formazioni minori, è un insieme di ex democristiani, ex socialisti, e molti funzionari delle aziende di Berlusconi.
Non è un partito, e anche questa è una novità importante, nel senso che non esprime una ideologia, ma una serie di atteggiamenti culturali legati al carisma, e alla importante indipendenza economica, di Berlusconi.
Fra questi atteggiamenti bisogna ricordare un modo non ideologico di guardare alla dottrina sociale della Chiesa e ai principi non negoziabili. Indubbiamente sia il partito che i governi di Berlusconi hanno avuto parole di apprezzamento nei confronti di quei valori che stanno a cuore a un cattolico, relativamente a vita, famiglia e libertà di educazione, anche se le parole sono rimaste quasi sempre tali, raramente si sono trasformate in fatti.
Forse è proprio in questo aspetto che il movimento di Berlusconi rischia il fallimento. Dopo 17 anni dalla discesa in politica, dopo aver vinto per tre volte le elezioni politiche ed aver resistito a una immensa campagna contraria mediatica e soprattutto giudiziaria, dopo aver guidato il governo nazionale per tre volte, ben poche delle sue promesse sono state realizzate. Sarebbe falso dire che nulla è cambiato in questi non pochi anni, ma certamente il periodo di Berlusconi non viene percepito come un tempo che abbia introdotto i cambiamenti che aveva promesso. Se era ed è impossibile attuare quella rivoluzione promessa, una rivoluzione liberale e liberista, antistatalista, di fronte a "poteri forti" veramente "troppo forti" per un governo nazionale, è domanda alla quale dovrà rispondere lo studioso.
Posso soltanto accennare ai limiti che appaiono a una prima analisi del berlusconismo, limiti che si riducono principalmente a un deficit culturale. Berlusconi non ha saputo, o non ha voluto, tentare di costruire un consenso che andasse al di la della simpatia, dell'interesse o della rivolta contro l'invadenza dello Stato. Forse perchè non ha quei principi di riferimento, forti e capaci di resistere anche nel tempo della sconfitta e delle difficoltà, oppure perchè il suo movimento tiene insieme forze molto diverse quanto ai principi e scegliere significherebbe dividere. Fatto sta che oggi rischia di non essere in grado di lasciare ai suoi successori un movimento che riesca a non perdere pezzi e contemporaneamente a darsi una identità un poco più condivisa. È il compito, difficile, del primo segretario politico del Popolo della libertà, l'on. Angelino Alfano.