Ieri manettari, oggi garantisti. I sinistri di Riace
Nel caso Riace, l'aspetto più prevedibile è il sindaco che si auto-assolve, ma il più stucchevole di tutti appare la rapidità con cui certa sinistra “manettara” e giustizialista si è convertita ad un garantismo che in questo caso appare pericoloso per gli effetti che può avere sulle istituzioni.
Al netto delle implicazioni di natura umanitaria, che pure ad alcuni sembrano prevalenti, la vicenda del sindaco di Riace, sospeso dalla carica e spedito agli arresti domiciliari con l’accusa di aver favorito l’immigrazione clandestina combinando matrimoni irregolari, e di aver affidato in maniera irregolare il servizio di raccolta rifiuti nel suo Comune, chiama in causa in primo luogo il diritto e il rispetto delle regole.
C’è più di qualcosa che non torna nelle reazioni del diretto interessato, ma soprattutto di chi, in omaggio a un fastidioso buonismo, prende le sue difese e tende a considerarlo un martire di leggi inique. Partiamo dalle dichiarazioni di Domenico Lucano, che ieri si è presentato al Tribunale di Locri, accompagnato dal suo legale e dal fratello, per l’interrogatorio di garanzia. «C’è chi mi accusa di non aver rispettato le regole – si è difeso il primo cittadino di Riace - ma forse la Costituzione italiana la rispetto più io di molti che si nascondono dietro “le regole”. La prima regola della Costituzione italiana che nasce dalla Resistenza è il rispetto degli esseri umani. E non hanno colore della pelle o nazionalità». E ancora: «E’ tutto assurdo, tutto questo è assurdo. Anche gli inquirenti durante l’interrogatorio hanno riconosciuto che quello che mi contestano è il reato di umanità».
Non fa il nome del Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ma evidentemente si rivolge a lui quando ricorda le ragioni per le quali ha celebrato quel matrimonio: «A questa gente io vorrei chiedere se è giusto quello che è successo a Becky Moses... Io da sindaco ricordo come un incubo di quello che è successo a quella ragazza». La 27enne nigeriana è morta bruciata mesi fa nel rogo della sua tenda a San Ferdinando, nei pressi di Rosarno, dove era finita dopo essere stata allontanata dal Cas di Riace in seguito al diniego della richiesta d'asilo. «Ma chi ha pagato per questo?», polemizza Lucano. «Io quello che ho fatto è evitare che ci fossero tante Becky. Salvare una sola persona dalla strada vale fare il sindaco, dà significato ad un'intera vita», chiosa.
Fin qui il suo sfogo, che però evidenzia un modo di pensare sovversivo e improntato alla logica del fine che giustifica i mezzi. Se tutti facessero come ha fatto il sindaco di Riace e se la magistratura non intervenisse, avremmo tante forzature delle norme vigenti in materia di immigrazione e si legittimerebbero prassi contrarie alla legge e solo apparentemente coerenti con il buon senso.
Ma il problema è che queste visioni così distorte della realtà giuridica e dei principi democratici vengono avallate da consistenti porzioni di intellighenzia e da esponenti politici di primo piano. Roberto Saviano, ad esempio, si lamenta perché ritiene che Mimmo Lucano sia una vittima della criminalizzazione della solidarietà. «Mimmo Lucano – scrive Saviano su Repubblica - è stato il primo a essere attaccato da Matteo Salvini ed è oggi il primo a cadere sotto la scure di una legge iniqua come la Bossi-Fini che nessun governo, nemmeno quelli che hanno fatto dell'anti-berlusconismo la propria bandiera, ha voluto cambiare. Fanno sorridere i Di Maio, stolti e pilateschi, che credono di poter archiviare con un post su Facebook il modello Riace come una bad practice targata Pd. La loro incapacità di leggere il presente è solo pari alla rabbia che covano verso un alleato di governo che li ha completamente tagliati fuori da quella comunicazione becera di cui si sentivano padroni». E aggiunge: «Mimmo Lucano ha fatto politica nell’unico modo possibile in un Paese che ha leggi inique. Mimmo Lucano ha fatto politica disobbedendo. Disobbedienza civile: questa è l’unica arma che abbiamo per difendere non solo i diritti degli immigrati, ma i diritti di tutti».
Parole di una gravità inaudita, che si traducono in un incitamento alla disobbedienza dagli esiti imprevedibili, soprattutto in terre difficili come quelle della Calabria. In più, si segnalano le reazioni di alcuni politici di sinistra, che dopo aver difeso a oltranza in passato la magistratura da qualsiasi attacco provenisse da avversari politici di centrodestra, ora ne contestano l’operato, addirittura mentre c’è ancora un’inchiesta in corso. Per l’ennesima volta, quindi, prevalgono i due pesi e le due misure, in nome di un modello, quello di Riace, che dovrebbe, non si capisce perché, essere avulso dalla cornice statuale del rispetto delle leggi, in nome di un umanitarismo becero e diseducativo.
Un conto è manifestare solidarietà al sindaco, che sta vivendo un momento difficile a livello personale, altra cosa è organizzare manifestazioni contro la magistratura e orchestrare una protesta anti-toghe. La cosa più stucchevole di tutte, quindi, appare la rapidità con cui certa sinistra “manettara” e giustizialista si è convertita ad un garantismo che in questo caso appare pericoloso per gli effetti che può avere sulle istituzioni, sul rapporto tra potere politico e potere giudiziario, sull’amministrazione della giustizia e sul sentire comune. Questo di Riace, se accettato come eccezione alla regola del rispetto delle norme in materia di immigrazione, costituirebbe un pericoloso precedente e finirebbe per minare l’ordine pubblico e la sicurezza.