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POLITICA E SINDACATI

Idillio Conte-Landini, è il ritorno del collateralismo

A Lecce, nel fine settimana, sono andate in scena le prove di un dialogo stretto tra governo e Cgil. Era dal 1996 che un premier non andava a casa del primo sindacato italiano. La strategia di Conte è chiara: vuole fare proseliti tra le parti sociali. Mentre per la Cgil, mai indulgente con il primo ministro quando governava con Salvini, le ragioni appaiono principalmente ideologiche.

Politica 24_09_2019

Mentre si discute di manovra finanziaria e nuove tasse, anche sulle merendine e le bibite, sul contante e sugli aerei, scoppia la pace tra governo e sindacati e si pongono le premesse per una sorprendente riedizione del collateralismo del sindacato con i partiti di governo. E pensare che solo pochi mesi fa l’istituto Ipsos, all’interno della Scuola di alta formazione dei pensionati dello Spi Cgil, sosteneva che fosse nato un idillio tra il sindacato rosso e la Lega di Matteo Salvini.

Invece, il nuovo idolo della comunità cigiellina sembra il premier in carica, ospite a Lecce alle Giornate del Lavoro del sindacato, dove ha avuto un cordialissimo confronto con il leader della confederazione, Maurizio Landini. Nella città salentina, durante il fine settimana, sono dunque andate in scena le prove di un dialogo stretto tra governo e Cgil.

Dal 1996 un premier non andava a casa del primo sindacato italiano. «Presidente», ha detto Landini rivolgendosi a Conte, «qui siamo totalmente d’accordo sulla lotta all’evasione, sul taglio delle tasse sul lavoro, sulla progressività dell’imposizione fiscale, sull’aumento degli asili nido. Capisco che non si può fare tutto e subito, però c’è bisogno di fare presto, bisogna mandare subito qualche segnale. Se la gente vede che aumenta il netto in busta paga, allora sì che capisce le parole cambiamento e svolta, altrimenti...».

Il rapporto fra il primo sindacato italiano e il governo sembra improntato a fiducia sincera, anche se il Conte bis è atteso alla prova della manovra, con il taglio del cuneo fiscale per lasciare più soldi nelle buste paga dei lavoratori.

Rispetto al 1996, quando fu l’allora premier Romano Prodi ad accettare l’invito dell’allora leader Cgil, Sergio Cofferati, ne è passata di acqua sotto i ponti, ma il clima di distensione e armonia che si respirava nell’aria di Lecce era molto simile a quello di 23 anni fa. Ed era un clima decisamente diverso rispetto a quello dei mesi scorsi, con un governo gialloverde pronto al muro contro muro con la Cgil pur di non cedere ai ricatti e di puntare dritto alla crescita economica e agli aiuti alle imprese.

L’idillio tra Giuseppe Conte e la platea della Cgil era palpabile e lui si è mostrato a dir poco mieloso: «Sono qui perché riconosco il ruolo sociale della Cgil: cinque milioni di iscritti vogliono pur dire qualcosa. Infatti sono molto sorpreso ad essere stato il primo premier dopo tanto tempo ad accettare il vostro invito. Vuol dire che sappiamo rompere gli schemi. Sono convinto che è impossibile fare scelte senza un confronto, star chiusi nei palazzi e non dialogare è una iattura, invece voi mi aiutate a calibrare le decisioni».

D’altra parte, quest’atteggiamento di apertura nei riguardi del sindacato trova conferma anche nel fatto che i ministri Nunzia Catalfo (Lavoro e politiche sociali) e Roberto Speranza (Salute) hanno già convocato Landini per discutere della sicurezza nei posti di lavoro. Si profila dunque una saldatura, come durante la Prima Repubblica, tra il principale sindacato e la sinistra di governo, che si tradurrà, come già successo, in un appoggio incondizionato della Cgil alle scelte governative e, al momento delle elezioni, in sostegni concreti in termini di voti ai partiti dell’attuale maggioranza. Collateralismo bello e buono, mascherato da sintonia e convergenze sui temi economici.

La strategia di Conte è chiara: fare proseliti tra le parti sociali, scongiurare al massimo il rischio di scioperi e agitazioni di piazza, addolcire le pillole più indigeste in materia di nuove tasse e porre le premesse per il consolidamento del suo consenso personale in vista della costituzione di un suo partito o della sua candidatura alla presidenza della Repubblica.

L’ormai ex avvocato del popolo è diventato a tutti gli effetti un “primus inter pares”, un leader politico che gode di appoggi importanti negli Usa, in Europa, in Cina, al Quirinale e negli ambienti che contano, in Italia e all’estero. Dunque può lavorare in proprio per un disegno di consolidamento della sua leadership.

Ma se il popolo della Cgil non è mai stato indulgente nei suoi confronti quando governava con Salvini e due giorni fa a Lecce è stato a dir poco caloroso, le ragioni di tale repentina metamorfosi non saranno davvero soltanto di natura ideologica? In effetti il governo appare sempre più fortemente sbilanciato a sinistra e, se in ambienti sindacali viene visto bene, suscita invece reazioni preoccupate nel mondo imprenditoriale. In particolare i ceti produttivi del Nord sono sempre più insofferenti alla burocrazia e all’assistenzialismo e decisamente proiettati verso l’internazionalizzazione del business e fanno molta fatica a ritrovarsi nelle linee programmatiche di un esecutivo che è assai condizionato dai bacini elettorali degli azionisti di maggioranza.

C’è dunque attesa per quanto il premier Conte dirà la prossima settimana, alla Scala di Milano, all’assemblea annuale di Assolombarda, dove interverrà alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Riuscirà a rassicurare gli industriali, dopo aver dato l’impressione di voler assecondare una rinnovata spinta verso il collateralismo sindacale?