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SINDACI

Icone, ma disastrose alle urne: storie di personalismi

Media ed elettori non hanno le stesse idee. Capita così che Giuseppina "Giusi" Nicolini, sindaco di Lampedusa, celebrata in patria e all'estero, venga sonoramente bocciata dai suoi elettori. Una brutta sconfitta anche per Renzi, che perde anche il "feudo" familiare di Rignano sull'Arno. I modelli personalistici funzionano altrove, nei casi di Pizzarotti a Parma e della Bisinella, moglie di Tosi a Verona

Politica 14_06_2017
Nicolini e Renzi

E’ stato uno dei sindaci più celebrati che la storia ricordi. Si è guadagnato le copertine di importanti testate internazionali. Ha ricevuto a nome della cittadinanza il premio Unesco per la pace. Ha ispirato il pluripremiato Fuocoammare, ha accolto Papa Francesco durante la celebre messa dei barconi ed è stata una delle quattro donne che l’allora premier Matteo Renzi ha portato con sé alla Casa Bianca come simbolo delle eccellenze italiane. 

Eppure Giuseppina “Giusi” Maria Nicolini - per cinque anni sindaco di Lampedusa – ha clamorosamente perso il suo “trono”. Alle amministrative di domenica è arrivata addirittura terza, sconfitta dall’ex primo cittadino Totò Martello (che godeva dell’appoggio di un pezzo del Pd) e dal giovane Filippo Mannino, iscritto fra le fila del Movimento 5 Stelle, ma in corsa con una civica. Saranno questi due, infatti, fra 10 giorni, a sfidarsi nel ballottaggio. Lei farà da sofferente e affranta spettatrice.

Solo pochi giorni fa Renzi aveva nominato la Nicolini nella segreteria nazionale del partito garantendole una collocazione direttamente nell’olimpo del Pd. “La gente qui si aspettava molto di più da Giusi”, ha detto senza mezzi termini Pietro Bartolo, medico chirurgo, protagonista proprio di quel film, Fuocoammare, che ha fatto conoscere l’ultima frontiera dell’Europa in tutto il mondo. “Molta apparenza e poca sostanza” mormorano i suoi detrattori. 

Perché mentre Giusi rimbalzava da una copertina all’altra e faceva conoscere al mondo le meraviglie di Lampedusa, le condizioni della gente che vive lì sono rimaste immutate. Anzi, sono peggiorate. L’acqua – raccontano le cronache locali – è sempre troppo poca e arriva con le cisterne. I collegamenti sono insufficienti, l’assistenza sanitaria è appena a un filo. I pescatori, i piccoli imprenditori e i commercianti in crisi non riescono più ad andare avanti.

E così, se il sindaco di Lampedusa vedeva crescere giorno dopo giorno la sua popolarità in Italia e all’estero diventando un’icona dell’accoglienza, i suoi cittadini covavano insofferenza. E se mai ci fosse bisogno di una dimostrazione pratica di quanto media e politica non vadano di pari passo, la storia di Giusi Nicolini sarebbe certamente la più rappresentativa. 

Al punto che alla fine, per cambiare rotta, nell’isola siciliana sono andati a votare in quattromila, con una percentuale simil-bulgara del 79 per cento. Con l’esito che oggi sappiamo. Gli elettori di quell’isola si sono sentiti traditi da una politica dell’accoglienza troppo sregolata oppure sono semplicemente nauseati dall’effetto-Renzi, che si è riversato sul primo cittadino lampedusano con un effetto respingente? Non lo sapremo mai. Di sicuro, l’elettorato ha sempre l’ultima parola. E quello che è successo nell’isola siciliana non è stato un caso isolato. 

Oltre a Lampedusa, c’è stato un altro simbolo del “renzismo” ad essere rovinosamente caduto. Si tratta di Rignano sull’Arno, paese natìo della famiglia Matteo Renzi e “feudo” di papà Tiziano. 

Prima di autosospendersi per via del coinvolgimento nell’inchiesta Consip, infatti, il padre di Matteo Renzi era segretario del Pd cittadino e Daniele Lorenzini era un caro amico della famiglia Renzi, che, guarda caso, lo candidò a sindaco. Una volta eletto, Lorenzini ha deposto come teste nell’inchiesta Consip, rilasciando dichiarazioni a proposito di una cena con Babbo Renzi e il Generale dei Carabinieri Saltalamacchia. Da quel momento, è terminata la sua amicizia con i Renzi. Il Pd cittadino l’ha sfiduciato, lui si è ripresentato senza simboli di partito e con una lista civica, il Pd gli ha contrapposto un proprio candidato ma a prevalere è stato comunque lui. Ennesima dimostrazione che troppa visibilità e troppa commistione fra politica e “affari di famiglia” non portano mai fortuna. 

I modelli “personalistici” , invece, funzionano altrove. E’ il caso di Federico Pizzarotti, espulso in malo modo dal Movimento 5 Stelle, che però è stato in grado in questi anni di farsi apprezzare come primo cittadino di Parma, tanto da riuscire a guadagnarsi una riconferma alle urne. Infatti, al ballottaggio parte in vantaggio nella sfida contro il candidato sindaco del Pd.

Ed è anche il caso di Francesca Bisinella, compagna dell’attuale sindaco di Verona, Flavio Tosi, ufficialmente in corsa ai ballottaggi per la poltrona di primo cittadino proprio nella città veneta. 

Ma con loro la regola per il successo è un’altra, ed è ben chiara: poca ribalta mediatica e tanto, tantissimo, radicamento nel territorio. Perché i voti non si conquistano con il marketing, ma con “le suole delle scarpe”. Renzi, evidentemente, la lezione del 4 dicembre non l’ha capita affatto.