I vescovi inglesi condannano l'aborto dei disabili. E Alfie?
Nel Regno Unito, il 27 aprile 1968 si incominciarono a praticare i primi aborti legali. Cinquant'anni di aborto significano 9 milioni di bambini soppressi nel grembo materno. La Chiesa cattolica inglese ha ribadito l'inviolabilità della vita umana e dei disabili. Ma nello stesso tempo ha condannato Alfie.
Nel Regno Unito, il 27 aprile 1968 si incominciarono a praticare i primi aborti legali, a seguito dell'approvazione dell'Abortion Act il 27 ottobre 1967. Cinquant'anni di aborto significano 9 milioni di bambini soppressi nel grembo materno. Quest'anno la Marcia per la Vita del 5 maggio a Londra farà memoria della strage. Domenica 29 aprile circa 30mila cattolici hanno preso parte in oltre 400 punti di preghiera al “Rosario sulla costa”, per “la fede, la vita e la pace nelle Isole britanniche” (vedi le immagini sul Catholic Herald).
La Chiesa cattolica inglese ha pubblicato una Dichiarazione sull'aborto nella quale si legge: “La sfida che oggi la nostra società affronta è quella di recuperare la consapevolezza dell'incommensurabile bene costituito da ogni bambino non nato e di considerare la sua vita con rispetto sempre maggiore. C'è una peculiare contraddizione rispetto alla legislazione che permette l'aborto di un bambino non nato cui è diagnosticata una disabilità. La legge del Regno Unito consente l'aborto di un bambino con disabilità fino alla nascita e si colloca in netto contrasto con la protezione e il rispetto mostrati per le persone che sperimentano disabilità dopo che sono nati. Gli ultimi cinquant'anni attestano una crescita nel rispetto e nella comprensione per le persone con disabilità, e la legislazione ha aiutato le persone disabili a vivere un'esistenza appagante".
E ancora: "Ci auguriamo che una più profonda attenzione nell'accostare i bambini non nati affetti da disabilità conduca a una mutata consapevolezza, cosicché una maggiore tutela sia assicurata da una legislazione rinnovata”. Affermano inoltre i vescovi: “Contro la tendenza dominante che spesso ritiene che l'aborto riguardi “il diritto a una scelta ovvia e libera” c'è un'urgente necessità di insegnare l'inviolabilità della vita umana dal concepimento al termine naturale, e di aiutare ciascuno ad apprezzare il valore di ogni vita umana, senza eccezioni”.
C'è qualcosa che non torna, però, in queste parole della conferenza episcopale inglese. Esattamente cinquant'anni dopo il primo aborto legale, il 28 aprile 2018, nell'ospedale Alder Hey di Liverpool è morto un bambino disabile di 23 mesi, ucciso con i crismi della legalità da medici che gli hanno sottratto il sostegno vitale necessario, attuando un vero e proprio protocollo di eliminazione. Alfie Evans è senza dubbio il prototipo del soggetto per il quale la suddetta, recentissima Dichiarazione dei vescovi inglesi invoca protezione incondizionata: un bimbo disabile, e in quanto tale – scrivono i presuli – una persona la cui vita è “inviolabile” e va tutelata “senza eccezioni” fino al “termine naturale”.
Eppure i vescovi inglesi non si sono indignati per la soppressione di Alfie. Tutt'altro: hanno difeso e difendono pervicacemente l'operato dei giudici e dei medici (vedi qui, qui e qui). L'unico vescovo che ha pronunciato qualche parola in difesa della vita di Alfie e a sostegno della battaglia dei suoi coraggiosi genitori è stato mons. Philip Egan di Portsmouth, che il 23 aprile ha twittato così: “Offriamo preghiere sincere per il piccolo Alfie Evans - ora cittadino italiano - e per i suoi coraggiosi genitori. Se c'è qualcosa che può essere fatto, che il Signore ci consenta con il suo amore e la sua grazia di farlo”.
Non c'è da meravigliarsi, pertanto, che i cattolici inglesi avvertano l'incoerenza dei loro Pastori e che qualcuno la deplori pubblicamente. Già, perché una cultura di morte intrinsecamente anticristiana è il filo rosso che unisce l'aprile 1968 all'aprile 2018. Che molti Pastori della Chiesa fatichino a ravvisarlo indica dolorosamente quanto sia ancora penetrante e seducente questa disperata cultura del nulla.