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CROAZIA

I vescovi contro l'obbligo vaccinale (anche fittizio)

Mentre il governo croato estende l’obbligo del Certificato Covid, i vescovi condannano il clima di ricatto e ricordano che il vaccino deve essere una scelta libera. Non così è stato per l’immunodepresso Josip Ružić, costretto a vaccinarsi per ricevere cure salvavita e morto dopo la prima dose. L’ospedale ha tentato di insabbiare il caso, senza riuscirvi.
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Attualità 16_11_2021

La situazione epidemiologica in Croazia è assai grave, ogni giorno si registrano infatti tra i seimila e i settemila casi di contagio (su 3.800.000 abitanti), numero cui abbondantemente contribuiscono persone vaccinate. Nella conferenza stampa del 5 novembre, infatti, il direttore dell’Istituto croato per la sanità pubblica, Krunoslav Capak, ha affermato che il 75% dei neo-contagiati e quasi il 50% dei ricoverati in ospedale del giorno prima erano vaccinati; non sorprende quindi che negli ultimi giorni i media non riportino più numeri e percentuali suddivisi per persone vaccinate o meno.

Incurante del fatto che la vaccinazione non rappresenti una garanzia di immunizzazione, il governo croato ha adottato nuove misure epidemiologiche che prevedono l’obbligo del “Certificato Covid” (con possibilità di tampone per chi non ce l’abbia) per tutti i dipendenti pubblici e per gli utenti che si rechino di persona in scuole, uffici postali, uffici pubblici. Ciò ha causato la durissima reazione di una parte dell’opinione pubblica (in Croazia la percentuale di vaccinati con entrambe le dosi è solamente del 55%), quasi ogni giorno si svolgono manifestazioni in più di 50 città in tutto il Paese, e alcune categorie di lavoratori pubblici, poliziotti inclusi, sono sul piede di guerra; ad esempio, tremila insegnanti di ogni ordine e grado affermano che non rientreranno nelle scuole fino a quando non verrà abolito l’obbligo del Certificato Covid o del tampone.

La massiccia presenza di cattolici a queste manifestazioni, in occasione delle quali quasi sempre si è pregato collettivamente il Rosario, ha spinto i vescovi croati a uscire dalla loro posizione di riserbo e a fare udire la loro voce in difesa della libertà di coscienza. In un comunicato del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale croata si afferma che «tutte le misure e le decisioni per prevenire la diffusione del contagio da Coronavirus devono essere prive di coercizione e condizionamento, come sottolineato dalla Congregazione [per la Dottrina delle Fede nella sua nota del 21 dicembre 2020, ndr], in particolare per quanto riguarda il diritto al lavoro, ai servizi e alla partecipazione alla vita sociale».

L’intervento dei vescovi, apprezzabile seppur tardivo, rappresenta una condanna del clima di ricatto e di intimidazione esistente a ogni livello della società croata messo in atto dal governo e dagli organi dello Stato, e appoggiato dai media asserviti a questo sistema. Tali intimidazioni assumono un carattere particolarmente odioso quando vengono ricattati pazienti in gravi condizioni di salute, cui vengono rifiutate le cure che essi necessitano condizionandole alla vaccinazione. In Croazia questa è ormai una situazione assai frequente e, talvolta, come nel caso di Josip Ružić, 57 anni, originario di Castel San Giorgio (Kaštel Sućurac), nei pressi di Spalato, la vicenda finisce tragicamente.

Lo scorso 10 novembre la famiglia Ružić, accompagnata da un avvocato, ha tenuto una conferenza stampa di fronte all’ospedale Rebro di Zagabria, nel corso della quale ha denunciato i fatti che hanno portato alla morte del congiunto. La figlia Ivana racconta che il 16 aprile di quest’anno suo padre si recò all’ospedale Rebro per una seduta di immunoterapia già programmata; tuttavia, il medico si rifiutò di eseguire la cura poiché il paziente non era vaccinato. La cura, affermò il medico, sarebbe proseguita solamente dopo la vaccinazione. Il paziente, prosegue la figlia, si trovò quindi a scegliere tra una morte certa, se la cura fosse stata interrotta, e una morte probabile a causa della reazione al vaccino del suo corpo debilitato, se si fosse vaccinato: «Mio padre voleva vivere, quindi scelse di farsi vaccinare». La famiglia scrisse al Ministero della Salute e all’Istituto croato per la sanità pubblica sottolineando i rischi cui Josip andava incontro in caso di vaccinazione, ma non ottenne alcuna risposta, e ancora oggi è in attesa di una presa di posizione con riferimento alla sua morte. Il 23 aprile il paziente ricevette la prima dose del vaccino Pfizer, e in seguitò il medico di Rebro fissò una nuova seduta di immunoterapia per il 7 maggio, che non ebbe luogo. Quel giorno, invece, furono celebrate le esequie di Josip Ružić.

Il 27 aprile il paziente si sentì male, manifestando sintomi di paralisi. Al pronto soccorso dell’ospedale di Spalato gli fu diagnosticata solamente un’afasia e, nonostante la paralisi e l’afasia fossero chiari sintomi di un ictus cerebrale, non gli fu fatto alcun esame, neppure una Tac cerebrale. Dodici ore dopo il suo stato di salute peggiorò e fu trasportato in terapia intensiva, dove Josip Ružić morì otto giorni dopo senza riprendere conoscenza. Al delitto - non possiamo definirlo diversamente - seguì l’inganno, nel tentativo disperato di inquinare le prove e di nascondere la realtà. Come racconta Ivana Ružić, l’ospedale rilasciò tre lettere di dimissioni fornite di dati totalmente inventati che indicavano falsamente il contagio da Covid-19 come causa della morte. Solamente dietro insistenza della famiglia l’ospedale alla fine rilasciò una lettera di dimissioni veritiera.

La morte di Josip Ružić appare come un assassinio di Stato, perpetrato da una serie di persone ed enti che vi hanno partecipato attivamente o che con il loro silenzio hanno lasciato che si giungesse a questa tragica conclusione. Anzitutto il medico di un nosocomio pubblico ha costretto l’uomo a vaccinarsi, condizionando alla vaccinazione, poi rivelatasi fatale, la prosecuzione di una cura indispensabile per la sua vita, pur sapendo che l’uomo, a motivo della sua malattia, era un soggetto fortemente a rischio. Il Ministero della sanità e l’Istituto croato per la sanità pubblica non sono intervenuti pur essendo a conoscenza del caso, a tutt’oggi non hanno preso posizione su quanto è accaduto, né hanno preso alcun provvedimento nei confronti del medico ricattatore, dandogli così un senso di impunità che sicuramente lo ha portato e lo porterà ad agire allo stesso modo nei confronti di altri pazienti. Il medico curante dell’uomo ha prescritto a Josip Ružić l’impegnativa per la vaccinazione pur conoscendo il suo stato di salute senza farlo sottoporre a esami che verificassero se vi fossero rischi nell’assumere il vaccino.

E infine c’è il comportamento dei sanitari del pronto soccorso dell’ospedale di Spalato. C’è il concreto sospetto che, più che un caso di malasanità, si sia trattato di un tentativo, tragicamente goffo, di nascondere l’ictus perché provocato dal vaccino, come del resto conferma la redazione di false lettere di dimissioni che riportavano come causa della morte un contagio da Covid-19 mai avvenuto.

Il modo di agire dello Stato e dei suoi rappresentanti verso questo paziente e verso i suoi familiari - minacce, ricatto, prepotenza, falsità, malizia e assassinio - e più in generale il modo di gestire questa campagna di vaccinazione non sono degni di uno Stato che ha cura dei suoi cittadini. In questo modo si provoca il sorgere di rabbia e risentimento tra i suoi cittadini e i frutti velenosi di questo modo di fare non tarderanno a manifestarsi.
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