I venezuelani dicono "No" a Maduro Referendum dell'opposizione e violenza di regime
Venezuela: una consultazione popolare per dire “No” alla riforma costituzionale del Venezuela. Si è votato in patria e all’estero (anche in Italia) in circa 2000 seggi. Hanno partecipato al voto più di 7 milioni di venezuelani. I vescovi sostengono il referendum, vinto in modo quasi unanime dall'opposizione. I colectivos fedeli a Maduro reagiscono con violenza: spari sui votanti in una chiesa di Catia, due morti.
Una consultazione popolare per dire “No” alla riforma costituzionale del Venezuela, chiedere alla forze armate di essere fedeli alle istituzioni vigenti e la formazione di un nuovo governo di unità nazionale. Si è votato in patria e all’estero (anche in Italia) in circa 2000 seggi. Hanno partecipato al voto più di 7 milioni di venezuelani. Il 98,4% ha votato contro il presidente Maduro. Ma il successore di Hugo Chavez resta saldamente aggrappato al potere e nel corso delle proteste dell’opposizione, i paramilitari a lui fedeli fanno due morti e quattro feriti attaccando un seggio allestito presso una chiesa a Catia.
E’ stata una giornata di fuoco nel paese sudamericano, al culmine di una protesta giunta al suo secondo anno. Le condizioni di base in cui si è votato sono disastrose. Il Venezuela è in piena depressione economica, i beni di prima necessità scarseggiano, le code di fronte ai negozi di alimentari così come i saccheggi sono entrati nella quotidianità. La borsa nera è ormai il principale mercato da cui i cittadini si riforniscono del necessario per vivere, come in tempo di guerra. Il tasso di povertà tocca ormai il 52% della popolazione. L’opposizione, costituita dalla coalizione Mud (formata da partiti socialdemocratici e liberaldemocratici) controlla la maggioranza del Parlamento, ma è stata di fatto esautorata dal presidente Maduro, che ha costituito un “suo” organo legislativo parallelo, rappresentativo di comuni e associazioni della società civile controllati dai bolivariani. La riforma costituzionale prevista dal presidente dovrebbe, prima di tutto, partire dall’elezione di una nuova Assemblea Costituente, entro fine luglio. Ma l’elezione stessa sarà tutt’altro che democratica: 500 membri nominati da consigli comunali, associazioni della società civile, sindacati, corporazioni. Di fatto, considerando che i “socialisti del XXI Secolo”, o “bolivariani”, fedeli al presidente Maduro, controllano ormai tutto il mondo associazionista, si tratterà di un organo di regime che scriverà una nuova carta suprema per prolungare a tempo indeterminato il proprio potere.
L’opposizione denuncia che si tratta di un’elezione incostituzionale. Ma i giudici della Corte Suprema, allineati al presidente, hanno però emesso una sentenza che dà ragione a Maduro e conferma l’elezione indiretta della prossima Assemblea. Che si tratti di un pronunciamento contro la democrazia lo afferma la sentenza stessa. Per i giudici supremi, infatti, è una “nuova visione del concetto di sovranità, e il superamento storico dello Stato di diritto della democrazia rappresentativa”. Di fatto, i giudici hanno seppellito, anche formalmente, quel poco che era rimasto dell’ordinamento democratico e liberale del Venezuela. Puntando al “funzionamento efficace della democrazia sociale e partecipativa”, eufemismo per chiamare la vera e propria dittatura del proletariato.
E’ in questo contesto che l’opposizione ha tentato la carta del referendum, puramente simbolico, per mostrare al paese e al presidente quanto sia impopolare il suo progetto. Il risultato è plebiscitario, più del 98%, quasi unanime. Il numero di votanti, però, è inferiore alle previsioni del Mud. Tuttavia vanno considerate le circostanze, quasi da tempo di guerra e i tempi molto ristretti per l’organizzazione del referendum. Che si trattasse di un voto molto pericoloso è pienamente dimostrato dall’episodio di Catia, nel Nordest del paese. I paramilitari bolivariani, fedeli al presidente Maduro, non hanno esitato a sparare alla gente in coda per votare, di fronte a una chiesa. I “collectivos” sono giunti in moto e hanno aperto il fuoco sugli elettori, indiscriminatamente. Due sono morti, quattro feriti gravi, circa cinquecento persone hanno trovato rifugio all’interno della chiesa.
Anche le settimane e i mesi precedenti a questa consultazione popolare dell’opposizione sono stati preceduti da una violenta repressione, da una grande purga seguita a uno strano “golpe” (ma non c’è più traccia di “golpisti”) e da scontri fra militari, forze dell’ordine e paramilitari contro l’opposizione, con più di 90 morti. In queste circostanze da guerra civile, l’opposizione è riuscita ad allestire un numero di seggi 10 volte inferiore rispetto a quello normalmente previsto per elezioni e referendum. E aver raccolto più di 7 milioni di votanti, 7 milioni di persone che rischiano la vita, la perdita del lavoro e le vendette postume dei bolivariani, è un risultato notevole. E’ un segnale di una popolazione stanca del presidente populista e del suo disegno rivoluzionario che ha portato il paese al collasso. “Con i voti espressi dal popolo venezuelano Maduro è matematicamente revocato oggi stesso: era per questo che temeva il referendum, per questo che il governo non vuole più fare elezioni” ha dichiarato Julio Borges presidente dell’Assemblea Nazionale (il parlamento venezuelano).
Il referendum è anche un ulteriore segnale che il dialogo fra presidente e opposizione, promosso da Papa Francesco, si è completamente arenato. Anche i vescovi venezuelani lo ritengono ormai fallito. In un comunicato la conferenza episcopale venezuelana ha sottolineato il suo sostegno al referendum: “La consultazione popolare di oggi 16 luglio gode di piena legittimità. Il paese continua a esigere il rispetto per la dignità e i diritti”. All’Angelus di domenica 16 luglio, il Papa rivolgendosi alla comunità cattolica venezuelana, ha rinnovato “la preghiera per il vostro amato paese”.