«I russi volevano ucciderci perché preti cattolici»
Nelle mani dei separatisti filo russi che li minacciavano di ucciderli e inscenavano finte esecuzioni. Don Victor, don Segej e don Pavel, rapiti nel luglio scorso in Ucraina, raccontano quei terribili undici giorni di torture e sofferenze. «Ci accusavano di essere spie, ma sapevano benissimo che eravamo preti cattolici. Per loro eravamo nemici della Nuova Russia».
«Ma durante la notte un angelo del Signore aprì le porte della prigione, li condusse fuori». At 5, 19. Un angelo ha liberato gli apostoli dalla prigione.
Quando ho parlato con i tre sacerdoti rapiti in Ucraina tra luglio e agosto, ognuno di loro mi ha confidato di credere di essere stato liberato grazie alle preghiere di tante persone, giunte non soltanto dall’Ucraina ma da tutto il mondo. Perché non esistono confini né barriere che la preghiera non possa oltrepassare. Innanzitutto voglio ringraziare chiunque preghi per la pace in Ucraina e per chi è accanto alle tante persone in difficoltà. Grazie al loro aiuto noi possiamo compiere la nostra missione ed essere quell’angelo per chi soffre, per chi è incarcerato. «Andate, e mettetevi a predicare al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita» (At 5, 20). Con queste parole si rivolge l’angelo agli apostoli e perciò, in queste poche righe, voglio scrivere quanto è accaduto a questi tre sacerdoti cattolici, due di rito romano ed uno di rito greco bizantino, due dei quali ho conosciuto personalmente. Oggigiorno ci siamo purtroppo “abituati” alla sofferenza, alla persecuzione. Quanti cristiani subiscono violenze ogni giorno soltanto perché, come noi, appartengono alla famiglia che si chiama Cristianesimo.
Questi sacerdoti sono stati rapiti perché volevano pregare per la pace in Ucraina, o forse perché rappresentavano un ostacolo per chi vuole “pulire” la società da ogni cosa estranea, da ogni fede diversa dalla propria. Due di loro servivano nelle città in cui oggi continuano i combattimenti. La parrocchia che guidava don Victor comprende la città di Gorlivka e altri centri dell’area circostante, mentre don Sergej era parroco nella città di Donetsk. Entrambi sono stati fermati dai separatisti mentre viaggiavano nella loro macchina ed hanno riconosciuto nelle divise militari indossate dai propri rapitori, quelle del gruppo Nuova Russia. Il terzo sacerdote rapito, don Pavel, è polacco e fino al suo sequestro operava in Kazakistan. È stato rapito ad agosto sulla strada per Donetsk, mentre si recava alla piazza in cui in quei giorni aveva luogo una “Maratona della preghiera” per la pace in Ucraina, cui hanno aderito fedeli di ogni confessione religiosa.
Quando i rapitori si sono resi conto che don Pavel era polacco, hanno immediatamente pensato che lui fosse una spia, travestita da prete. Lo hanno anche schernito dicendo che chiunque può indossare un abito talare e travestirsi da sacerdote. Ad un attento controllo, si sono accorti del callo che don Pavel ha sulla mano. È dovuto all’assidua recita della coroncina del rosario, ma i suoi rapitori hanno visto in quel callo la prova che il sacerdote fosse in realtà un cecchino e lo hanno rinchiuso con forza nel bagagliaio della macchina. Quando sono giunti al covo dei separatisti, dove vi erano anche altri ostaggi, don Pavel ha sentito i suoi rapitori dire agli altri: «Il pacco è arrivato, prendetelo».
I tre sacerdoti sono stati accusati di aver pregato per la pace in Ucraina e quindi contro gli interessi della Nuova Russia. Purtroppo nel territorio in cui hanno luogo gli scontri, in molti credono che la Chiesa cattolica e quella greco-cattolica rappresentino un pericolo per l’Ucraina e per il suo popolo, perché ritengono che in quell’area ci sia spazio unicamente per la fede ortodossa. Quando vedevano che i sacerdoti pregavano costantemente, i separatisti si prendevano gioco di loro dicendo che le loro preghiere erano vane: «Solo i “giusti” pregando vengono ascoltati da Dio». Per ognuno dei sacerdoti sono stati giorni di grande prova, di riflessione e di crescita nel ministero sacerdotale. Don Victor ha detto che sono stati i più grandi esercizi spirituali nella sua vita. Lui è stato tenuto in ostaggio per 11 giorni. In quel lasso di tempo nella stanza in cui si trovava sono passate più di 50 persone, molte delle quali si sono rivolte a lui per essere confessate o semplicemente per porgli delle domande. Un giorno uno degli ostaggi ha detto che non vi è nulla di sacro per i separatisti, perché hanno avuto il coraggio di rapire anche un sacerdote.
Don Sergej è stato nelle mani dei rapitori per dodici giorni, quattro dei quali interamente passati a rispondere, sempre bendato, alle domande di un uomo dall’accento moscovita. Don Sergej soffre di diabete ed è rimasto senza medicine per tutta la durata del sequestro. Con grande fede racconta che il suo unico sostegno era la preghiera. Quando sentiva la pressione sanguigna aumentare e il cuore battere all’impazzata, iniziava a recitare il rosario in mano, e subito dopo si sentiva molto meglio. Non appena è stato liberato, ha dovuto subire un intervento chirurgico perché era entrato in coma diabetico. Un’ulteriore prova da sopportare per tutti i sacerdoti erano le finte fucilazioni. Diverse volte sono stati portati fuori, mentre i sequestratori dicevano loro: «Prega padre perché questi sono gli ultimi minuti della tua vita». Poi li disponevano davanti ad un muro e con i kalashnikov sparavano sopra la loro testa. Purtroppo altri non hanno avuto la loro stessa fortuna.
Nella città di Sloviansk, vicino ad un ospedale pediatrico è stata trovata una fossa comune. Nei tragici giorni in cui i separatisti avevano assunto il controllo dell’area, diverse persone sono state uccise e gettate lì. Tra queste due pastori protestanti, che prima di essere giustiziati sono stati a lungo torturati, e i due figli di uno di loro. Si chiamavano Alberto e Ruvym Pavenkov e avevano soltanto 24 e 30 anni. Nella fossa sono stati trovati i corpi anche di due parrocchiani: Victor e Vladimiro, di 40 e 41 anni. Vladimiro aveva otto figli, oggi rimasti senza padre. La fossa comune è sempre piena di candele e di fiori che vengono portate dai parenti e dai parrocchiani, ma anche da chiunque condivida questa grande sofferenza.
Nel XXI secolo in un paese Europeo succedono queste cose. Perché? Per pulire la fede? Per falsa ideologia? Per la politica? Come sempre sono tante le domande ed è cosi difficile trovare una risposta chiara e giusta, ma non credo che si debba tacere su quanto è successo. Con la violenza non si costruisce il regno di Dio, si costruisce con il perdono, con l’amore fraterno. Perché la violenza porta la paura che chiude l’uomo verso gli altri e perfino verso Dio. Ora è importante non permettere che l’ira e il desiderio di vendetta chiudano i cuori. Sarebbe difficile guarire queste ferite condivise da tante persone, ferite che sanguineranno per anni.
Possiamo continuare la nostra vita pensando che nel mondo non succeda niente, oppure possiamo cambiare qualcosa, perché come diceva Madre Teresa di Calcutta per cambiare il mondo dalla violenza, dalle guerre, dobbiamo cominciare dal cuore di ognuno di noi. Nel mondo la pace manca, perché non abbiamo ancora aperto le porte del nostro cuore a Cristo risorto, che dopo la risurrezione ha detto agli apostoli e al mondo intero: “La pace sia con Voi”. Non abbiate paura. Queste non sono semplici parole, questa è la nostra sicurezza. "Ma essi se ne andarono dal sinedrio, lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù" (At 5, 40). Quando è stato liberato don Victor ha detto di aver sentito una grande gioia dentro al suo cuore, che lui poteva soffrire tutto questo per Cristo per la Sua Chiesa. Il fondamento della vita cristiana è il comandamento dell’amore, solo che l’amore deve concretizzarsi nelle opere concrete. La legge dell’amore non conosce i confini, si può sempre amare di più migliorando se stessi e altri.