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GUERRA IN EUROPA

I russi sfondano nel Donbass, l'Ucraina paga l'attacco a Kursk

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Nella regione di Donetsk le truppe russe stanno travolgendo le linee di difesa ucraine e sono ormai a soli 5 km dal centro nevralgico di Pokrovsk. È la conseguenza dello spostamento di truppe per invadere il territorio russo di Kursk, che ha indebolito le difese nel Donbass.

Esteri 02_09_2024

Le truppe russe continuano ad avanzare nella regione di Donetsk, con un’accelerazione che si è intensificata nelle ultime settimane travolgendo le linee di difesa ucraine soprattutto nell’area di Pokrovsk, snodo logistico ferroviario e stradale da cui transitano i rifornimenti destinati a tutte le truppe di Kiev schierate nella  regione di Donetsk.
Dopo aver espugnato una decina di centri abitati nell’ultima settimana, ieri i russi sono arrivati ad appena 5 chilometri da Pokrovsk e con artiglieria e droni minacciano direttamente il traffico di veicoli e treni ucraini nelle retrovie.

Nelle ultime ore si segnalano progressi russi anche in altri settori: dalla conquista del villaggio di Vyimka sul fronte di Siversk, alle conquiste territoriali nella regione di Luhansk. Il comandante in capo dell'esercito ucraino, Olexander Syrskyi, ha ammesso che la situazione nel Donbass è difficile ma rivendica successi nella regione russa di Kursk dove Kiev riferisce di progressi limitati. In realtà il tracollo sul fronte del Donbass è figlio proprio dell’offensiva in territorio russo. Non a caso l’avanzata russa, che era sempre stata molto lenta in Donbass a causa della fitta rete di fortificazioni eretta dagli ucraini fin dal 2014, ha cambiato passo dopo l’attacco ucraino a Kursk il 6 agosto scorso.

L’offensiva che ha messo in forte imbarazzo il Cremlino perché ha visto la prima invasione del territorio nazionale russo da dopo la Seconda Guerra Mondiale, è costa cara a Kiev che ha dovuto mettere in campo inizialmente 4 brigate incluse le tre composte da veterani e truppe ben addestrate che manteneva in riserva per tamponare eventuali falle che si dovessero creare nel Donbass.

Dopo quasi un mese le operazioni a Kursk assorbono ormai sei o sette brigate ucraine che controllano un migliaio di chilometri quadrati di territorio russo fronteggiando una crescente attività nemica.
I russi infatti stanno concentrando reparti composti in parte da truppe di leva (che Mosca non impiega in Ucraina ma solo per la difesa del territorio nazionale) ma anche unità di professionisti, veterani e contractors delle compagnie private per fermare gli ucraini.
Ciò nonostante Mosca non sembra avere fretta di ricacciare gli ucraini oltre confine ma sembra puntare invece a far entrare a Kursk il maggior numero possibile di forze nemiche per colpirle con la sua superiore capacità e potenza di fuoco aereo e d’artiglieria devastando le retrovie nemiche nella regione ucraina di confine di Sumy con i missili balistici Iskander.

«Le forze armate russe stanno intraprendendo azioni decisive in risposta alle azioni del nemico nelle regioni di confine, e non c'è dubbio che continueranno», ha detto ieri il portavoce della presidenza russa Dmitry Peskov; ma l’impressione che emerge dai report e dai blogger militari sia russi che ucraini è che Mosca punti a trasformare il fronte di Kursk in un altro “tritacarne”, come lo furono Bakhmut e Avdiivka, in cui gli ucraini devono sacrificare migliaia di uomini per cercare di non cedere terreno. Secondo il ministero della Difesa russo dal 6 agosto a Kursk il nemico ha perduto 8.500 uomini e 80 carri armati mentre solo ieri sempre Mosca ha reso noto di aver abbattuto sul proprio territorio (regioni di confine di Kursk, Belgorod e Bryansk) 158 droni ucraini.

Forze sacrificate per un obiettivo politico e simbolico ma che sarebbero state utilissime a presidiare le trincee davanti a Pokvrosk e in altri settori del Donbass dove i russi affrontano con ampia superiorità numerica postazioni difensive nemiche presidiate da pochi uomini, per giunta in molti casi coscritti arruolati da poche settimane a forza e quindi poco inclini a combattere e morire.

Peraltro l’attacco a Kursk ha mancato l’obiettivo prioritario di indurre i russi a sospendere l’offensiva nel Donbass per trasferire forze a difesa del territorio nazionale. Non solo questo non è accaduto, ma sono gli ucraini a pagare il prezzo delle troppe forze trasferite a Kursk sguarnendo gli altri fronti. In questo contesto non sorprende che i sondaggi indichino che l’offensiva a Kursk ha fatto risalire il consenso del presidente Zelensky ad appena un misero 15 per cento!
Inoltre, la perdita del primo F-16 ucraino, lunedì scorso in circostanze non ancora chiarite, è costato il posto al comandante dell’aeronautica ma ha soprattutto dimostrato che neppure i vecchi caccia americani, ceduti dagli europei che li hanno impiegati per oltre 40 anni, saranno il “game changer” di questa guerra a favore di Kiev. 

Analisti militari ucraini valutano il rischio concreto che Pokrovsk cada entro un paio di settimane facendo tracollare tutto il fronte del Donbass, a causa della scarsa interazione tra i reparti al fronte, delle carenze di truppe e di unità ben addestrate nelle linee difensive, della limitata rotazione dei reparti in prima linea, delle difficoltà di comando e controllo e di carenze nei sistemi di guerra elettronica che abbatterebbero più velivoli ucraini che russi.

Un articolo di Euromaidan Press il 28 agosto ha messo in guardia contro la caduta di Pokrovsk che interromperebbe le linee di rifornimento da Vuhledar a sud a Horlivka a nord. Inoltre Pokrovsk si trova a poco più di 20 chilometri dal confine amministrativo della regione di Dnipropetrovsk. Poiché le forze russe sono tornate nella regione di Kharkiv da nord nel maggio 2024 è possibile che i russi possano dilagare in diverse altre regioni avanzando nuove pretese territoriali.

Zelensky ieri ha ammesso che «solo nell'arco della scorsa settimana, la Russia ha utilizzato più di 160 missili di vario tipo, 780 bombe aeree guidate e 400 droni d’attacco» per colpire obiettivi in territorio ucraino, per lo più infrastrutture militari ed energetiche. La risposta russa all’attacco a Kursk ha infatti visto una decisa recrudescenza degli attacchi in profondità con l’obiettivo di privare di energia l’industria ucraina e distruggere depositi di armi e munizioni fornite dall’Occidente.  

Un contesto che consente a Zelensky di chiedere nuovamente agli alleati occidentali di poter ricevere e impiegare contro il territorio russo armi a lungo raggio. Ammesso che militarmente una simile opzione sia fattibile (i missili a maggior gittata forniti da americani ed europei hanno solo 300 chilometri di raggio d’azione e sono ormai già stati forniti nei numeri disponibili) sul piano politico incontra molte resistenze e diverse nazioni della UE e della NATO, inclusa l’Italia, vi si oppongono sostenendo che «non siamo in guerra contro la Russia».

Con un parallelismo storico sempre più realistico l’Ucraina annuncia nuove armi sempre più potenti da impiegare contro il territorio russo che ricordano, nella narrazione quasi epica, le V1 e V2 tedesche, efficaci ma incapaci di cambiare le sorti del conflitto. Allo stesso modo Kiev ha scatenato a Kursk la sua “offensiva delle Ardenne”, simile a quella tedesca del dicembre 1944 che a dispetto dei successi iniziali anticipò di appena 5 mesi la resa della Germania.



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