I raid aerei non bastano Il Califfo avanza
I raid aerei contro l'Isis, appena una decina al giorno, non impediscono alle truppe del Califfo di avanzare in Siria e di prendere d'assalto Kobane, roccaforte dei curdi. Solo un intervento militare dei turchi (che non sono in buoni rapporti coi curdi...) potrebbe salvare la situazione. E anche in Iraq l'Isis avanza nella provincia di Anbar.
Anche il Canada si unirà presto alla Coalizione inviando alcuni cacciabombardieri F/A-18 a colpire i jihadisti dello Stato Islamico (IS) i quali, a giudicare dal ritmo col quale avanzano in Iraq e Siria, non sembrano risentire molto dell’offensiva aerea guidata dagli Stati Uniti con la partecipazione di Paesi Occidentali e arabi.
Certo il numero di incursione effettuate, appena una decina al giorno, non costituiscono certo un “rullo compressore” in grado di fermare le milizie del Califfo. In Siria la situazione al confine turco è gravissima. Nelle ultime settimane 70 villaggi curdi sono stati occupati dai miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi che ieri sono entrati da sud nella città di Kobane (Ain al-Arab per gli arabi) da tempo sotto assedio nonostante l’afflusso di rinforzi curdi dalla Turchia e alcuni raid aerei della Coalizione.
Le milizie curde hanno negato che i jihadisti siano riusciti a entrare in città ma un video diffuso dallo Stato Islamico li mostra nei sobborghi del centro abitato. Le forze curde hanno lanciato un appello alla mobilitazione generale e annunciano che combatteranno casa per casa in una città già da tempo abbandonata dai civili fuggiti in Turchia. L’artiglieria del Califfo ha bombardato con durezza Kobane prima di attaccarla su tre fronti. Secondo il corrispondente della Cnn Phil Black le forze dell’ IS sono entrate nella periferia sud mentre l'agenzia turca Dogan riferisce che guadagnano terreno e che i combattenti curdi si sono raccolti nel centro della città.
L'agenzia turca Ilhas (Iha) ha riferito che l’artiglieria turca avrebbe bersagliato postazioni dell’IS ma la notizia non ha trovato conferme. Di certo l’ingresso in città dei jihadisti renderà più complesse le incursioni aree favorendo l’occultamento delle forze dell’IS e renderà più difficile per i piloti alleati distinguere le forze curde da quelle nemiche.
Solo un intervento diretto delle truppe turche, già schierate sul confine con 10 mila soldati e 200 carri armati, sembra in grado di fermare le truppe dello Stato Islamico. Abudullah Ocalan, leader del Partito curdo dei lavoratori (Pkk) che ha combattuto per anni contro Ankara per l’indipendenza, dal carcere minaccia il governo turco di cessare il dialogo se Kobane cadrà in mano jihadiste. Lo Stato Islamico ha invece ammonito Ankara a non intromettersi nel conflitto in corso in Siria mentre anche Damasco ha avvertito che uno sconfinamento dell’esercito turco sarà considerato un’aggressione. Il viceministro degli Esteri siriano, Faisal Miqdad, ha detto oggi che qualsiasi azione militare della Turchia in Siria sarà considerata "un atto di aggressione".
Parlando all'emittente televisiva iraniana Press tv, Miqdad ha accusato Ankara e Riad di aver inviato militanti jihadisti in Siria e ha invitato il Consiglio di sicurezza dell'Onu a tenere una sessione d'emergenza per condannare la mozione approvata dal parlamento di Ankara che autorizza l'invio di truppe di terra in Iraq e in Siria e l'uso delle basi militari turche da parte di forze armate straniere.
In Iraq la situazione non è migliore per i nemici del Califfato. Fermato l’offensiva jihadista verso Erbil e il Kurdistan turco grazie ai peshmerga e soprattutto ai raid aerei statunitensi, le forze di al-Baghdadi hanno conquistato terreno a ovest, nella provincia di al-Anbar dove hanno sbaragliato diversi reparti iracheni raggiungendo i sobborghi di Baghdad e occupando la città di Hit. Con i raid aerei rivelatisi ininfluenti a fermare l’IS appaiono ancora più evidenti i limiti delle fanterie che dovrebbero contrastare i jihadisti.
I curdi sono valorosi ma sono pochi e dispongono di poche armi pesanti e in Siria hanno capacità solo difensive. Le truppe di Baghdad sono deboli, composte da soldati poco o nu8lla addestrati e guidate da ufficiale incapaci. Per condurre la guerra il governo ha deciso di riabilitare i disertori che aveva minacciato di fucilazione e carcere dopo che a decine di migliaia erano fuggiti a Fallijah, Mosul, Tikrit e Ramadi davanti all’avanzata dell’IS. Baghdad gioca la carta dell'amnistia per tutti i disertori promettendo che chi tornerà a vestire l’uniforme non verrà perseguito. Un’iniziativa disperata che difficilmente darà frutti significativi. La gran parte dei militari iracheni sono sciti arruolatisi per avere uno stipendio di cui sono poi costretti a versarne una parte ai loro superiori in gran parte corrotti e che negli ultimi anni si sono appropriati dei fondi destinati all’addestramento dei reparti. Secondo i rapporti stilati dai consiglieri militari statunitensi solo la metà delle 50 brigate che attualmente compongono l'esercito iracheno è affidabile in combattimento.
Un’inchiesta del New York Times rivela che sono 11 mila i soldati e gli ufficiali reclutati negli ultimi tempi tra coloro che erano fuggiti davanti al nemico o che erano stati abbandonati a loto stessi dai comandi militari senza cibo, acqua e munizioni. A nessuno dei neo arruolati viene chiesto il perché della sua diserzione (anche perché le risposte potrebbero risultare imbarazzanti per i vertici dell’esercito) ma la gran parte di coloro che hanno deciso di arruolarsi di nuovo lo fa esclusivamente per la paga e il rancio. Con queste basi l’esercito iracheno ben difficilmente potrà costituire un argine contro il dilagare delle truppe dello Stato Islamico.