I "pentiti" del lockdown: niente scuse, ma disprezzo
Il commissario emiliano Sergio Venturi ha ammesso che il lockdown è stato un errore. Eppure per settimane ha intimidito la gente, come quando ha minacciato chi faceva la "passeggiata di cazzeggio". Oggi dovrebbe chiedere scusa, invece continua il disprezzo per la gente: limitare la libertà dei cittadini parlando di democrazia è il vecchio e inconfessaro desiderio stalinista delle amministrazioni rosse.
Sguardo truce, occhi indagatori, braccialetto etnico da guru e pelata da ducetto. Sergio Venturi gridava «basta cazzeggio». «Basta cazzeggio, basta passeggiate o dovremo prender provvedimenti di carattere più coercitivo». Detto, fatto. Era il 16 marzo e pochi giorni dopo l’Emilia Romagna diventò la prima regione a chiudere tutto, anche l’uscita fuori casa per i cosiddetti odiati untori runner. Sergio Venturi faceva paura quando si collegava sulla piattaforma della Regione Emilia Romagna che lo aveva incaricato, a 9200 euro per due mesi, di svolgere le funzioni di commissario speciale per la pandemia.
Faceva paura nelle dirette Venturi, dirette che duravano come un comizio di Fidel e nelle quali, oltre a comunicare i dati sanitari di giornata, contagi, morti, guariti e disposizioni varie, dava anche, diciamo così, imposizioni morali con il ditino puntato di chi sa di saperne decisamente più di tutti quei poveri sudditi a casa terrorizzati. Invece non doveva saperne di più neanche Venturi, che in un passato remoto è stato anche Assessore regionale alla Sanità. «Il lockdown? Se dovessi rifarlo domani, non lo rifarei come l'abbiamo fatto», ha detto nel corso della diretta organizzata dai Giovani democratici. «Non si può chiudere un intero Paese quando non ce n'è alcun bisogno».
Insomma, forse non ce n’era bisogno, non c’era bisogno di far sentire in colpa chi faceva passeggiate, non c’era bisogno di terrorizzare la gente, non c’era bisogno di paralizzare mezza economia nazionale e regionale.
Bastavano interventi mirati, dice. Ma lo dice con la sicumera dell’uomo che non deve chiedere mai scusa. Perché un amministratore proveniente dalla rossa Emilia può sempre permettersi di fare autocritica, ma senza mai dare l’impressione di aver sbagliato o di essere un incompetente. Vecchia scuola stalinista di partito: una ritrattazione, anzi una palinodia visto che oggi vanno di moda le narrazioni: narrazione era quella sulle "passeggiate di cazzeggio" (andate al minuto 28 e seguenti) e narrazione è oggi quella in cui ribadisce che del lockdown non c’era poi così tanto bisogno. In altri contesti si sarebbe gridato all’ipocrita o quanto meno all’incompetente che non sa neanche chiedere scusa. Invece stavolta no. E’ permesso sbagliare, anzi i giornali ti celebrano comunque come uno di quegli eroi che ha fatto l'impresa, l’importante è non chiedere scusa e non mostrare alcun segno di cedimento.
Sarà anche stato un errore il lockdown, ma a certi amministratori è piaciuto davvero tanto perché governare senza quella rottura di scatole delle libertà personali, vuoi mettere che meraviglia? Insomma, è riuscito a sconfessare il suo stesso operato nel giro di poche settimane, facendolo passare come un successo per la Regione, tale da diventare 'modello'. Se non è questo regime...
Ma del resto è tutto coerente, con una giunta che nel bel mezzo della pandemia ha visto un assessore ammettere che «abbiamo detto no all’attività motoria non perché rappresenti il primo fattore di contagio, ma perché volevamo dare un senso che il regime delle restrizioni dentro cui eravamo doveva essere molto severo e molto stringente per tutti».
Stesso discorso per il presidente Bonaccini, per il quale il cittadino è un potenziale contagiato da venire a stanare casa per casa. Colpirne uno per educarne cento, colpirne tutti e non ammettere gli errori. A Sinistra si riempiono la bocca di democrazia, diritti, partecipazione, poi quando si tratta di dare delle risposte ai cittadini questi diventano immediatamente sterco, disprezzati e ridicolizzati.
I cittadini possiamo ingannarli, possiamo fargli credere che se il contagio prosegue è per colpa della loro corsetta. Così avremo perfetti polli in batteria pronti per qualunque tipo di richiesta. Il Premio Stalin 2020 va alla giunta emiliana, non c'è che dire.
Insomma: ci siamo chiusi in casa su ordine neanche di un "Napolione", ma di un ex assessore nominato che non era stato neppure votato in consiglio comunale. Il bello (si fa per dire) è che alla maggioranza degli emiliani sembra andare bene così…