I partiti si sgretolano. Serve urgentemente una novità
Stiamo assistendo allo sgretolamento di tutte le maggiori forze politiche, e quindi a una crisi generale delle istituzioni del nostro Paese. I partiti si spaccano al loro interno, la collusione fra politica e affari è sempre più evidente, la stampa è la stampella del potere. Serve una novità: la parte più produttiva del paese batta un colpo.
Stiamo assistendo allo sgretolamento di tutte le maggiori forze politiche, e quindi a una crisi generale delle istituzioni del nostro Paese. Al di là delle singole vicende che giornali e telegiornali ci raccontano questa è la sostanza delle cose. Mentre al centro si sta formando una “palude” in cui le acque più stagnanti del Pd si mescolano con quelle che in vario modo e con varie sigle fanno capo a Berlusconi e rispettivamente a Grillo, alle due opposte estremità dello schieramento si consolidano forze e leader inevitabilmente “di nicchia”. Né per il club neo-giacobino che si sta formando attorno a Giuliano Pisapia e a Laura Boldrini, né per le compagnie di ventura a corto raggio al comando di Matteo Salvini nel Nord e di Giorgia Meloni a Roma si può (per fortuna) prevedere un futuro ruolo di livello nazionale.
A tale sgretolamento e alla crescente delegittimazione dei partiti in quanto pilastri della democrazia corrisponde però paradossalmente una crescita della loro forza in quanto gruppi di potere. Un episodio che dà tutto il peso di questa involuzione è il persistente segreto sui nomi dei grandi debitori insolventi del Monte dei Paschi di Siena, per salvare il quale lo Stato ha messo in bilancio oltre 20 miliardi di euro. Si può discutere sull’opportunità di rendere pubblici questi nomi tanto più senza aprire la pagina delle responsabilità di chi aveva erogato i prestiti risultati poi inesigibili, e anche noi l’abbiamo fatto. Non è però questo che qui ci interessa. Qui il punto è un altro: in un Paese, in cui intercettazioni telefoniche e altri documenti che sarebbero sotto segreto istruttorio circolano per ogni dove, il segreto sui grandi debitori del Monte dei Paschi è di ferro. Eppure è certo che sono in molti a esserne a conoscenza. Un segreto così ben mantenuto su una questione di tale peso basta da solo a dare un’idea del groviglio di complicità che avviluppa l’attuale classe politica.
Analogamente la trasformazione della grande stampa in stampella del potere costituito, quale che esso sia, ha trovato in questi giorni un’ulteriore clamorosa conferma nella poca o nessuna eco che ha avuto l’audizione in Parlamento, in sede di commissione anti-mafia, di Antonio Fiumefreddo, amministratore unico di Riscossione Sicilia spa, la società di proprietà della Regione Siciliana che nell’Isola provvede alla raccolta delle imposte. Nella circostanza Fiumefreddo ha fatto sapere che negli ultimi dieci anni Riscossione Sicilia non è riuscita a incassare imposte dovute per circa 52 miliardi di euro, 30 dei quali sono ormai inesigibili perché prescritti. Il fatto che i grandi giornali e telegiornali non facciano titoli a cinque colonne di prima pagina su notizie del genere la dice lunga sulla situazione nella quale ci troviamo.
Frattanto la situazione economica non smette di peggiorare. E il fallimento dell’ultimo che pretendeva di essere capace di cambiare le cose trova obiettiva conferma in un dato di fatto: negli oltre due anni del governo Renzi (17 febbraio 2014 – 7 dicembre 2016) il deficit dello Stato italiano è cresciuto di oltre 310 miliardi di euro senza per di più che tale maggior debito si traducesse minimamente in uno stimolo alla ripresa dell’economia nazionale. In sede sia europea che atlantica lo scenario internazionale non smette poi di cambiare. Urgerebbe perciò una politica estera pensata e attiva di cui invece non si vede traccia.
E’ evidente che niente di decisivo può venire dall’interno dell’attuale ordine costituito della politica italiana. D’altra parte il caso del Movimento 5 Stelle dimostra comunque che nella vita pubblica del nostro Paese la rapida ascesa di nuovi arrivati è possibile. Da dove però può venire una possibile novità positiva? Questo è il problema. Il “chi” non è prevedibile, e non resta che sperare nell’imprevisto. Il “che cosa” è più immaginabile, e fra le prospettive che si delineano non va esclusa quella di una mobilitazione coordinata delle regioni del Nord Italia, ove più si patisce per la bassa qualità dell’amministrazione dello Stato e più invece si trarrebbe vantaggio da un suo autentico ammodernamento. Se finalmente fosse messo in grado di affrontare la concorrenza internazionale ad armi pari con il resto dell’euro-zona, il Nord Italia potrebbe assumere fino in fondo quel ruolo di traino dell’economia del Paese di cui ora non riesce più a farsi carico.