I martiri della Vandea uccisi in nome della dea Ragione
Un massacro al grido di Liberté, Égalité, Fraternité contro migliaia di francesi che lottavano per la patria, per il re e soprattutto per Dio. Il saggio di Cavallo ripercorre il sacrificio dei vandeani, un capitolo dimenticato di quella Rivoluzione che sin dall'inizio mostrò il suo volto sanguinario.

«Gli annegamenti di Nantes, le Colonne Infernali, le fucilazioni di massa, i forni crematori, gli stivali realizzati con pelle di vandeano: tutto ciò macchiava la gloriosa epopea della Rivoluzione francese, coprendola di ignominia di fronte ai posteri». Così scrive Giorgio Enrico Cavallo nel saggio Per Dio e per il re (D’Ettoris 2024, pp. 384), ove ripercorre la storia della Controrivoluzione in Vandea e ne racconta le figure epiche di eroi e martiri uccisi in odio alla fede in nome della dea Ragione.
In Vandea, in specie tra il 1793 e il 1794, migliaia di persone hanno lottato per la loro patria, per il loro re e soprattutto per Dio contro una Rivoluzione sanguinaria e apostata. Di qui «i contadini, i barcaroli, i boscaioli dell’Ovest si organizzarono in una specie di crociata. Si adornarono con immagini di santi o del Sacro Cuore, si armarono, partirono in guerra per mantenere la loro fede. Misero alla loro testa i nobili delle loro contrade, perché quello era il compito degli aristocratici: difendere le loro comunità. Bonchamps, Lescure, D’Elbée, La Rochejaquelein, Marigny, Sapinaud, Charette; e poi i popolani Cathelineau e Stofflet, nonché le donne guerriere come Renée Bordereau o la duchessa di Berry». Lo stesso Napoleone Bonaparte usa per tali eroi l’appellativo di "giganti". Ma per i rivoluzionari erano solo patetici briganti, nei confronti dei quali non è stata usata alcuna pietà nel primo eccidio dei tempi moderni.
D’altra parte «la Rivoluzione uccideva per purificare la Francia dalla peste del partito aristocratico e pretesco ma ben presto avrebbe rivolto la sua ferocia contro gli stessi rivoluzionari». «La Rivoluzione fu figlia del suo tempo», osserva ancora Cavallo, mentre rileva che nacque a tavolino nei salotti di Versailles, traducendo nella prassi il pensiero politico illuminista. Furono infatti tra gli altri proprio i fratelli Robespierre, il marchese Mirabeau e il principe di Orléans a essere eletti nel Terzo Stato e a sobillarlo alla causa rivoluzionaria. Per cui, contrariamente alla lettura storiografica marxista, lo storico piemontese evidenzia che non sono le contingenze materiali e la lotta di classe – nel caso di specie tra Terzo Stato, nobiltà e clero – a muovere la storia, bensì le idee. In età medievale, infatti, non esistevano contrasti tra i tre ordini – laboratores, bellatores e oratores – in quanto ogni uomo era chiamato a vivere il proprio ruolo sociale conformemente alla volontà di Dio, facendo bene il proprio mestiere.
All’indomani dell’obbligo imposto dall’Assemblea Costituente per gli ufficiali di giurare fedeltà all’esercito, Charles de Bonchamps si rifiuta. Troverà un manipolo di contadini armati di forconi a supplicarlo alle porte del suo castello di guidarli nella ribellione agli usurpatori. Nel marzo 1793 il generale Cathelineau e i suoi insorti entrano in una roccaforte dei repubblicani e s’impossessano del cannone proprio mentre questi ultimi si accingevano ad aprire il fuoco. Gli insorti delle diverse città francesi costituiscono l’Armée Catholique et Royale, un vero e proprio esercito nel nome di Luigi XVII all’insegna del motto: «Dio è il Re». In sostanza i vandeani formano un’alleanza nazionale; un esercito di «combattenti improvvisati decorati con un Sacro Cuore». La gran parte delle insurrezioni avviene in particolare a Cholet, Saumur, Nantes, Clisson, Angers. Tra i prodigi più mirabili della prima grande insurrezione accade che «80mila persone – uomini in armi, donne e bambini, fattorie intere con muli, cavalli, mucche, mucche - oltrepassarono illesi il fiume Loira».
Numerosi sono gli scontri tra realisti e repubblicani e le vittorie riportate da entrambi gli schieramenti. Un episodio emblematico vede così gridare e agire l’abate Jacques-Louis Doussain de la Voyer: «Marcerò alla vostra testa con il crocifisso in mano». Al passaggio della croce i vandeani si inginocchiano per poi riprendere subito a combattere. Ed è proprio grazie alla sua intercessione che 240 prigionieri repubblicani nelle mani dei vandeani vengono risparmiati e liberati. Quando nel 1797 lo stesso prelato finirà nelle mani nemiche e sarà portato dinanzi al famigerato tribunale di Rochefort, la clemenza usata gli viene contraccambiata con l’assoluzione da parte dei repubblicani.
A Le Mans, invece, le forze repubblicane massacrano oltre diecimila persone, tra uomini, donne e bambini, compresi i neonati, con spietata e inaudita violenza. Non si contano le ghigliottine e le fucilazioni che seguono i rastrellamenti operati dalle forze fedeli al motto Liberté, Égalité, Fraternité, in particolare quelle commesse dai membri del Comitato Rivoluzionario di Nantes. Lo spietato Carrier nel solo autunno nel 1793 fa annegare nella Loira 4800 vandeani e ordina di requisire i raccolti delle campagne per ridurre alla fame i superstiti. D’altra parte un membro del Comitato di Salute Pubblica Barère aveva proclamato con veemenza: «Bisogna che i nemici periscano: solo i morti non tornano indietro. Distruggete la Vandea!». Di qui il 17 gennaio 1794 vengono scatenate le “Colonne infernali”, truppe rivoluzionarie inviate allo scopo di ridurre ogni contrada a ferro, fuoco e sangue per fare della Vandea «il cimitero della Francia». Bastava chiamare "brigante" – termine che, nota Cavallo, viene usato la prima volta proprio durante la Rivoluzione – qualsiasi oppositore politico per giustificare pubblicamente ogni eccidio.
Tra i crimini più efferati le cronache riportano di «povere fanciulle appese nude a rami d’albero dopo esser state violentate; di donne incinte stese e schiacciate sotto dei torchi; di bimbi in fasce portati in trionfo sulle punte delle baionette». E, come se tale orrore non bastasse, calzature, cinture e tamburi vengono prodotti con la pelle dei vandeani. Insomma, stando alle stime più attendibili, sono stati 117mila i vandeani uccisi, una vera e propria strage dei «paladini della libertà dall’oppressione».
Con la fine del Terrore i sovrani Luigi XVIII e Carlo X tornano sul trono, ma non riescono a far tesoro del sentimento popolare alla base delle insurrezioni sgorgate dal basso. Tuttavia, anche se la loro esperienza di governo fallisce miseramente spegnendo l’anelito di un popolo, il sacrificio dei vandeani non è stato vano: difende gli altari, la dignità dei sacerdoti e soprattutto la fede cattolica dei francesi, dando adito ad “altre Vandee” in giro per l’Europa e ispirando la filosofia controrivoluzionaria. In sostanza «la Vandea perse la guerra, ma vinse la sua crociata».