I malati e il senso della sofferenza nell’insegnamento di Wojtyła
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San Giovanni Paolo II confidò che il pensiero degli ammalati fu per lui importante nell’accettare l’elezione a pontefice. Si deve a lui l’istituzione della Giornata Mondiale del Malato, celebrata nel giorno della Madonna di Lourdes. Il senso della sofferenza alla luce del mistero di Cristo.
«V’è il profilo del Cireneo, quello che meglio conosco/ da ogni angolazione possibile./ Comincia sempre accanto all’altro Uomo». Sono versi di Karol Wojtyła nel suo poema Profili del Cireneo (1957). Wojtyła, all’epoca, era ben lontano da quella sofferenza che avrebbe provato anni avanti nella propria carne. Potremmo intravedere, dunque, in questi versi, ciò che fu la malattia per san Giovanni Paolo II: «essere accanto all’altro Uomo». Tutti abbiamo in mente l’immagine dell’apertura della Porta Santa del Giubileo del 2000: un papa fragile che si presentava comunque in piedi davanti al mondo. Il papa, nel 2000, era profondamente provato dalla malattia (il Parkinson), ma in quel momento, alle soglie del terzo millennio cristiano, volle essere comunque presente con tutta la sua fisicità anche se visibilmente provata dalla malattia. Così come, anni dopo, fece in quella famosa ultima Via Crucis del 2005: in quel caso, davvero, i versi scritti nel 1957 si rivelarono profetici. Stanco e affaticato, questa volta san Giovanni Paolo II si presentava al mondo con una croce che abbracciava con un amore indicibile: era Wojtyła a essere accanto a Gesù, non il Cireneo evangelico.
Il papa polacco non nascose mai la sua malattia ma ne fece quasi il “baluardo” di una nuova missione sacerdotale: diventare annunciatore del Vangelo della sofferenza, della malattia. Importante ricordare che al giornalista André Frossard, nel libro Non abbiate paura (Rusconi, 1996, Milano), confessò che il pensiero degli ammalati incontrati durante il suo sacerdozio e il suo ministero episcopale fu per lui importante nell’accettare l’elezione a pontefice: le immagini delle persone incontrate durante il suo ministero di vescovo di Cracovia, di tutti quei «malati incurabili e condannati alla carrozzella» e di tutti quei sofferenti «inchiodati nel loro letto», gli diede forza per pronunciare l’“accepto” dell’elezione al soglio di Pietro. Non fu un caso, allora, che poco dopo esser divenuto pontefice, uno dei suoi primi atti di successore di Pietro fu quello di andare a visitare il cardinale Andrzej Maria Deskur, suo amico da tanti anni, ricoverato al Policlinico Gemelli. Lo stesso ospedale che lo vide, poi, più volte entrare e uscire per i problemi di salute, a cominciare da quel primo ricovero a seguito dell’attentato del 13 maggio 1981. Fu battezzato dallo stesso pontefice “Vaticano tre”.
«Se il tema della sofferenza esige di essere affrontato in modo particolare nel contesto dell'Anno della Redenzione, ciò avviene prima di tutto perché la redenzione si è compiuta mediante la Croce di Cristo, ossia mediante la sua sofferenza». Parole contenute nella sua lettera apostolica Salvifici doloris, scritta in occasione del Giubileo della Redenzione 1983-1984. E sempre nello stesso documento si legge: «La sofferenza umana desta compassione, desta anche rispetto, ed a suo modo intimidisce. In essa, infatti, è contenuta la grandezza di uno specifico mistero. Questo particolare rispetto per ogni umana sofferenza deve esser posto all’inizio di quanto verrà espresso qui successivamente dal più profondo bisogno del cuore, ed anche dal profondo imperativo della fede». La Salvifici doloris recava la data dell’11 febbraio 1984.
Una data fondamentale per san Giovanni Paolo II quella dell’11 febbraio, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes. Un papa mariano che collega le sofferenze di Cristo, dell’umanità tutta, con la figura della Vergine. E fu scelta da papa Wojtyła proprio questa data come Giornata Mondiale del Malato. Era il 1992. La Giornata fu istituita con lo scopo «di sensibilizzare il Popolo di Dio e, di conseguenza, le molteplici istituzioni sanitarie cattoliche e la stessa società civile, alla necessità di assicurare la migliore assistenza agli infermi; di aiutare chi è ammalato a valorizzare, sul piano umano e soprattutto su quello soprannaturale, la sofferenza» (Lettera di Giovanni Paolo II al cardinale Fiorenzo Angelini, presidente del pontificio consiglio della pastorale per gli operatori sanitari, per l’istituzione della Giornata Mondiale del Malato, 13 maggio 1992).
Giovanni Paolo II, dunque, con l’istituzione della Giornata Mondiale del Malato, volle proprio “accendere i riflettori” sul particolare tema della sofferenza nella malattia. Ed è in questo contesto che volle ribadire il senso della fede davanti all’impossibilità umana di comprenderla, di capirla. Nel suo primo Messaggio per la Giornata del Malato del 1993 scrisse: «La malattia, che nell'esperienza quotidiana è percepita come una frustrazione della naturale forza vitale, diventa per i credenti un appello a “leggere” la nuova difficile situazione nell’ottica che è propria della fede. Al di fuori di essa, del resto, come scoprire nel momento della prova l’apporto costruttivo del dolore? Come dare significato e valore all’angoscia, all’inquietudine, ai mali fisici e psichici che accompagnano la nostra condizione mortale? Quale giustificazione trovare per il declino della vecchiaia e per il traguardo finale della morte che, malgrado ogni progresso scientifico e tecnologico, continuano a sussistere inesorabilmente? Sì, soltanto in Cristo, Verbo incarnato, redentore dell’uomo e vincitore della morte, è possibile trovare la risposta appagante a tali fondamentali interrogativi».
Lourdes, luogo di sofferenza e di speranza, di fede profonda e di dialogo con il Signore, con la Vergine. E a quel luogo papa Giovanni Paolo II fu sempre legato. Era stato lì, in quel luogo, la prima volta da pontefice, pieno di forze e vitalità, il 14 e il 15 agosto del 1983. E l’ultima volta, nel 2004. La sua immagine è scolpita nella memoria: il papa polacco, stanco, s’inginocchiò davanti la grotta di Massabielle, con grande fatica. Poche parole ma dense, in quella occasione: «Ho sempre avuto grande fiducia, per il mio ministero apostolico, nell’offerta, nella preghiera e nel sacrificio di quanti sono nella sofferenza. Vi domando di unirvi a me durante questo pellegrinaggio, per presentare a Dio, per intercessione della Vergine Maria, tutte le intenzioni della Chiesa e del mondo. Cari fratelli e sorelle ammalati, vorrei stringervi fra le mie braccia con affetto, uno dopo l’altro, e dirvi quanto sono vicino e solidale con voi. Lo faccio spiritualmente affidandovi all’amore materno della Madre del Signore, e chiedendo a lei di ottenere per voi le benedizioni e le consolazioni di suo Figlio Gesù». Il resto fu un incrocio di sguardi, in silenzio, nella preghiera: san Giovanni Paolo II guardava la statua della Vergine. La Vergine guardava il suo ministro.
"Consacrati nella Croce, la sofferenza che salva il mondo"
Un appello a tutti i sofferenti: «Se unissimo le nostre sofferenze a quelle di Gesù e le offrissimo in modo speciale con una S. Messa di Consacrazione, non solo ne trarremmo sollievo noi ma si riverserebbe il Cielo sulla terra». Per la festa della Divina Misericordia, parla alla Bussola Silvestro Zattarin, con una tetraparesi spastica dalla nascita. «Una sera, davanti al Crocifisso, capii che la mia croce non era un peso ma un sostegno, un’arma potente che ci associa alla Redenzione». Ecco la sua idea, già presente dal 2009 in una parrocchia, ma da diffondere tra laici e sacerdoti della Chiesa intera.