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GIUSTIZIA SBILANCIATA

I magistrati non diventino ultrà

Tempi biblici per i procedimenti e funzione giudiziaria trasformata in superpotere: le ragioni di una crisi della nostra giustizia. 

Attualità 02_02_2011
giudici
La giustizia italiana arranca. Lo sa bene chiunque sia entrato in contatto con la complessa macchina delle liti civili, o delle indagini e dei processi penali. Gli antichi rappresentavano la giustizia come una signora elegante che tiene nelle mani una bilancia e una spada. Oggi il simbolo più azzeccato potrebbe essere quello di una lumaca o, a scelta, di una tartaruga.

Se ne ha una conferma aritmetica ogni anno a gennaio, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Ricorrenza che è stata celebrata l’altro giorno, e che ha riassunto le proporzioni della crisi del sistema-giustizia sotto forma di numeri: oltre 5,5 milioni di cause civili pendenti (anche se in diminuzione), 3 milioni le 200.000 cause penali. I tempi di svolgimento dei procedimenti sono estenuanti: nel civile, 845 giorni per la conclusione del primo grado.

Una menzione speciale merita il tema del sovraffollamento delle carceri, con 3 metri quadrati per detenuto contro lo standard minimo che sarebbe di 7 metri. Dunque, un quadro a tinte fosche, nel quale gli stessi magistrati mettono l’accento sulla mancanza di mezzi per svolgere il loro lavoro in tempi ragionevoli. Nessuno nega che la giustizia abbia bisogno di risorse nuove, di modelli organizzativi diversi, e in generale di una ventata di ammodernamento che agevoli il compito di tutti.

Detto questo, però, non possiamo nascondere che, se in Italia la giustizia attraversa una crisi di straordinaria gravità, ciò non dipende solo dalla mancanza di mezzi, dalle strutture arretrate, o dalla povertà endemica delle risorse e delle tecnologie. C’è dell’altro, che attiene - più che alla quantità - alla qualità dell’azione giudiziaria. E parliamo, qui, in modo particolare, dei procedimenti penali. Il problema principale è, manco a dirlo, la figura del giudice. Dato che i magistrati sono esseri umani, nessuno pretende che essi siano immuni dalle debolezze e dai limiti della categoria. Quindi, come fra medici, notai e idraulici, è inutile generalizzare: ci sono professionisti esemplari e ci sono scansafatiche in ogni settore.

Al bando, dunque, ogni facile generalizzazione, che boccia in blocco l’intera categoria, o che alla rovescia, la beatifica con rito – questo sì – immediato. Il punto è un altro. Da un giudice la gente si aspetta un requisito fondamentale: l’imparzialità. E questa qualità – un po’ come le virtù di cui ci parlano il catechismo e la morale naturale – si acquisisce con l’abitudine, cioè esercitando l’habitus di essere super partes. Fatte salve le debolezze umane di cui sopra, la magistratura è stata in passato proprio questo: l’esercizio di una funzione delicatissima, che richiede uno stile di vita lontano anni luce da qualunque forma di schieramento.

Immaginatevi un arbitro di calcio che se ne vada in giro per gli stadi d’Italia con la sciarpa e la bandiera di una squadra, e che poi bazzica il Processo del lunedì per litigare ad alta voce con i tifosi avversari: uno così, chi vorrebbe averlo in campo con la giacchetta nera? Nessuno. A parte quelli della sua squadra del cuore. Se il ragionamento vale per un arbitro, che al massimo nega un rigore o sbaglia l’ammonizione, figurarsi se non deve valere per un uomo che ha il compito di chiedere l’arresto, o il rinvio a giudizio, o la condanna al carcere di un essere umano. Ovviamente, qui nessuno si illude circa la possibilità che l’uomo-magistrato – proprio come l’uomo-arbitro – sia immune da preferenze, da convinzioni profonde, da una fede, da gusti specifici. Solo le macchine si sottraggono a questo fascio di elementi che costruiscono la nostra personalità.

Tuttavia, un conto è avere le proprie convinzioni, e un conto è andare in giro per sale conferenze e studi televisivi, per redazioni di giornali e per parrocchie, a manifestare pubblicamente l’appartenenza a una fazione. O a proclamare chi è il nemico numero uno da abbattere. Ecco: questo a noi sembra il problema più drammatico e più urgente della giustizia in Italia.

Un problema che danneggia il Paese tre volte. Primo, perché toglie credibilità a tutta la categoria dei magistrati, trascinando nella polvere quella parte che invece sta lontano dai riflettori e cerca di agire secondo giustizia. Secondo, perché trasforma la funzione giudiziaria in un superpotere da fumetti americani, assegnando alle toghe il ruolo di Batman o dell’Uomo Ragno che spazzano la città infestata dai peggiori criminali. Terzo, perché trasforma il rapporto fra magistratura e cittadini in tifo da stadio, fondato sul pregiudizio, favorevole o contrario.

E questo è un vero disastro, perché alla fine la gente decide – come direbbe Totò - a prescindere: la curva della magistratura facendo la ola a ogni avviso di garanzia, e la curva degli indagati facendo la ola a ogni assoluzione o a ogni prescrizione del reato. Tutto si trasforma, in definitiva, in un rapporto di forza fra poteri e fazioni. E quando tutto dipende dalla forza, la giustizia, quella con la bilancia e la spada, se ne fugge atterrita dalla finestra.