I grandi quotidiani litigano con Facebook, a partire dal Brasile
Il Folha de S.Paulo, il quotidiano più importante del Brasile, ha annunciato in data 8 febbraio che non pubblicherà più gli articoli della propria testata sulla sua stessa pagina Facebook. Perché Zuckerberg ha cambiato le condizioni di pubblicazione, rendendo il mercato meno interessante per i grandi media.
Il Folha de S.Paulo, il quotidiano più importante del Brasile, ha annunciato in data 8 febbraio che non pubblicherà più gli articoli della propria testata sulla sua stessa pagina Facebook. Un cambio di tendenza che ha diverse ragioni di interesse. L’executive editor della testata Sergio Davila ha voluto contestualizzare questa decisione accusando il social network - a seguito di un nuovo cambio d’algoritmo - di incoraggiare la proliferazione delle fake news a discapito dei contenuti di alta qualità.
Come spesso accade in casa Facebook, a metà del mese di gennaio Mark Zuckerberg - fondatore del social network - ha annunciato un cambiamento nell’algoritmo, ovvero a quella serie di regole che individuano i contenuti, tra tutti quelli postati, che sono visibili dagli utenti nel loro newsfeed. Dell’algoritmo non si conoscono i dettagli, ma sappiamo che vi influiscono una serie di fattori: orario e luogo di accesso alla piattaforma, tipologia di connessione, dispositivo usato, formato del contenuto, chi l’ha postato, i commenti e le condivisioni sono solo alcuni degli elementi in gioco.
La novità dell’algoritmo, a detta di Zuckerberg, consiste nell’aumentare la priorità ai contenuti postati da parenti e amici rispetto a quelli pubblicati da pagine di prodotti, di business e di media. Ciò costringe le pagine a pagare affinché i propri contenuti vengano visualizzati con successo presso più ampie cerchie di utenti, portando notevoli introiti ulteriori nelle tasche di Facebook. Se da un lato Mark Zuckerberg ha dichiarato che il nuovo algoritmo vuole dare priorità alle interazioni sociali più importanti, dall’altro Sergio Davila pensa che esso porterà invece alla prolificazione della disinformazione. L’editor di Folha ha infatti dichiarato: «Bannando il giornalismo professionale dalle sue pagine in favore di contenuti personali e dando spazio quindi alle fake news, Facebook è diventato una terra inospitale per quanti vogliano proporre contenuti di qualità».
La scelta del quotidiano brasiliano è ardita. Il Brasile è il terzo mercato per importanza su Facebook dopo USA e India, con 130 milioni di utenti (sui 2,2 miliardi di iscritti in tutto il mondo). Tuttavia, il trend del social network per sminuire l’importanza algoritmica dei contenuti che portano l’utente fuori da Facebook è già attivo da un po’. Lo stesso Folha ha dichiarato che il calo di interazioni (reaction, commenti e condivisioni) sui propri post è diminuito del 32% negli ultimi dodici mesi, con un calo di visite al sito da Facebook del 2%: dati ben precedenti all’annuncio del cambio di algoritmo. In Brasile il tema delle fake news è sentito quanto in Italia, soprattutto per la storica corruzione presente nel governo. Dopo la campagna presidenziale lo scorso ottobre, in gennaio il governo ha imbastito un lavoro per questa piaga. Allo stesso modo anche Facebook ha costituito il Trust Project: dei veri e propri corsi per contrastare la disinformazione insegnando alle testate come utilizzare il social network.
È chiaro tuttavia che Facebook voglia monetizzare il più possibile dalle aziende che si appoggiano al social network per promuovere e comunicare i propri prodotti, e che la prioritizzazione delle “meaningful interactions” altro non sia che un’elegante giustificazione. Sopratutto se, a conti fatti, questo “sminuisce” i contenuti di alta qualità prodotti dalle testate giornalistiche a favore delle fake news. Rimane, tuttavia, un elemento chiave da considerare: è sempre vero che i contenuti postati dai media siano quelli che più interessano gli utenti di Facebook? Ed è sempre vero che gli articoli postati dalle grandi testate siano neutrali, non capziosi e di alto livello? A questa domanda va data una risposta, ma forse Zuckerberg non ha avuto tutti i torti nel modificare l’algoritmo.