I Giusti del 25 aprile. Un libro di Garibaldi li ricorda
Le morti misteriose dei comandanti partigiani cattolici, negli ultimi giorni di guerra. E' l'altro volto eroico della Resistenza, cancellato dalla storia, per far spazio alle sole formazioni comuniste. Ora la loro scomparsa misteriosa è narrata nell'ultimo libro dello storico Luciano Garibaldi, I giusti del 25 aprile. Chi uccise i partigiani eroi?
Il 25 Aprile è un falso mito. Fino agli anni 1960, quando in Italia iniziò la stagione dei governi di Centro-sinistra, era poco e nulla, una non-data. In particolare fino al 1968, anno fatidico. Fino ad allora l’Italia era ancora fertile del limo lasciato dall’onda lunga del 18 aprile 1948, quando il comunismo era stato cacciato indietro e il nostro Paese salvato dall’orbita sovietica soprattutto e anzitutto grazie all’impegno indefesso dei cattolici, fedeli e gerarchia. Poi il vento è cambiato e l’Italia del Centro-sinistra incipiente ha avuto bisogno di un natale laico, fissato per convenzione in quel giorno che era una cosa (la data di un evento bellico e “locale”) ed è stata stravolta in un’altra (la bandiera della Sinistra soprattutto extraparlamentare, anzi la conventio ad excludendum con cui essa bollava i non comunisti come “fascisti” qualsiasi cosa in realtà pensassero).
Diverso discorso è invece la Resistenza. Italiani con la schiena diritta si levarono per non lasciare il Paese esclusivamente alle macerie umane e civili della guerra, reagendo all’occupazione tedesca e cercando di scrollarsi di dosso quel che restava del regime fascista. Ma la Resistenza non è affatto quell’altro falso mito che la riduzione della storia d’Italia al 25 Aprile - il “venticinqueaprilismo” - pretende di farci metabolizzare. Quando andò bene, fu una testimonianza soprattutto morale. L’Italia la liberarono infatti le forze alleate (e a Sud c’erano i soldati del re). Quando andò male, la Resistenza fu invece un eccidio turpe, rimasto per lo più impunito. Questa Resistenza seconda è quella dei comunisti, proni all’Unione Sovietica che, pur forse minoranza ma organizzatissima, cercarono di sabotare il Paese allora e dopo di far credere a tutti che esistevano solo loro. Fu il lato oscuro della Resistenza che troppo a lungo si è cercato di occultare e che, dopo la svolta strategica di Palmiro Togliatti incamminato, d’accordo con Stalin, nella lunga marcia dentro le istituzioni italiane, nutrì un’anima combattentista e insurrezionalista che porta diritto diritto alle Brigate Rosse. La pista l’ha aperta il sociologo Rocco Turi con Gladio rossa. Una catena di complotti e delitti, dal dopoguerra al caso Moro (Marsilio, Padova 2004) e Storia segreta del Pci. Dai partigiani al caso Moro (Rubbettino, Soveria Mannelli [Catanzaro] 2013), ma le indagini sembrano arenate lì.
L’altra Resistenza, invece, la prima, quella andata bene, quella moralmente integra e intransigente, fu quella delle formazioni non comuniste, tante, in specie quelle cattoliche, monarchiche e liberali. Spesso questi combattenti non comunisti sono stati abbattuti dai partigiani comunisti, che quindi preferirono il nemico a loro. Quando non furono ammazzati, quei patrioti rei solo di non obbedire a Mosca vennero ostracizzati, cancellati dalla memoria, epurati. Eppure la loro è un’epopea. Un pezzo significativo di essa la racconta Luciano Garibaldi, storico e giornalista di pregio, nel volume I giusti del 25 aprile. Chi uccise i partigiani eroi?, un volume che si avvale della collaborazione di Riccardo Caniato, Luigi Confalonieri e Alessandro Rivali raccoglitori di significative testimonianze dirette, riportato in edizione ora dalla milanese Ares dopo essere uscito originariamente nel 2005 con premessa dell’ex assessore alla Cultura della Regione Lombardia Ettore A. Albertoni, introduzione del direttore dell’Ares Cesare Cavalleri e postfazione del giornalista e saggista di storia militare Mirko Molteni.
Il libro è un’inchiesta sulle morti enigmatiche di tre di quei partigiani rei solo di non essere comunisti: il famoso Aldo Gastaldi, nome di battaglia “Bisagno”, genovese, sottotenente del genio poi comandante della Divisione Cichero che combatté fascisti italiani e nazisti tedeschi sull’Appennino ligure-emiliano, cattolico e apartitico; il comandante valdostano dei carabinieri Edoardo Alessi, soprannominato “Marcello”, protagonista della Resistenza in Val d’Intelvi, nel comasco, cattolico e monarchico; e Ugo Ricci, detto “Il capitano”, capitano degli autieri e poi comandante della Prima Divisione Alpina Valtellina, cattolico e monarchico. Tutti e tre sono morti in circostanze davvero mai chiarite. “Bisagno” cadde dal tetto della cabina dall’autocarro Fiat su cui viaggiava finendo schiacciato dalle ruote vicino a Desenzano del Garda il 21 maggio 1945. “Marcello” cadde il 26 aprile 1945, ufficialmente ucciso con fucili e pugnali da 300 militi delle Brigate Nere che avevano circondato la casa dove si trovava sulle alture di Sondrio. 300 fascisti armati fino ai denti e schierati a puntino il giorno dopo la Liberazione?... E “Il capitano” fu ucciso ancora prima, la notte del 3 ottobre 1944, quando a Lenno (Como) cercò di arrestare il ministro dell’Interno della Repubblica Sociale Italiana Guido Bufarini Guidi mentre qualcuno gridava «tradimento» in quella che si era trasformata in una mattanza; era come se i fascisti aspettassero Ricci e i suoi.
Erano tre graduati del Regio Esercito, tre eroi, tre cattolici animati da fede profondissima, tre patrioti che non si erano omologati allo strapotere comunista. Il loro impegno militare e civile fu tutto contraddistinto da segni di semplicità, carità, abnegazione e da gesti religiosi, profondi, autentici, popolari: le consacrazioni delle armi nei santuari, la Comunione quotidiana con la truppa, la preghiera. Furono il fiore dell’Italia in un momento di oscurità. Morirono troppo presto e che all’Italia siano mancati non bisogna essere luminari per capirlo.
Scrive, con felice sintesi, Cavalleri nell’introduzione: «Se l’ispirazione cattolica, che contraddistinse l’operato dei tre Eroi di questo libro, non fosse stata soffocata da forze ostili e preponderanti, forze ispirate a un dichiarato ateismo, di certo il “sangue dei vinti” non sarebbe stato sparso con la spettrale ampiezza che ormai tutti conosciamo. Di certo i comandanti partigiani cattolici e monarchici avrebbero frenato e bloccato le spinte vendicative più feroci e più bestiali». La memoria di quei tre veri italiani va celebrata ogni 25 aprile e ogni giorno dell’anno. Affinché l’Italia migliore non resti solamente un ricordo vago.