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FECONDAZIONE ASSISTITA

I giudici aggirano la Legge 40

Dopo una sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, il Tribunale civile di Roma permette ai signori Pavan, di accedere alle tecniche di fecondazione artificiale ed effettuare la diagnosi pre-impianto con finalità eugenetica, vietate dalla Legge 40.

Vita e bioetica 01_10_2013
Fivet

Agosto 2012. La Corte Europea dei diritti dell’uomo dà ragione alla coppia formata dai signori Rosetta Costa e Walter Pavan portatrice di fibrosi cistica: che l’Italia permetta a costoro di accedere alla fecondazione artificiale, sebbene non siano sterili e quindi secondo la Legge 40 non potrebbero avere un figlio in provetta.

26 settembre 2013. Il Tribunale civile di Roma emette un’ordinanza che permette ai signori Pavan, non solo di accedere alle tecniche di fecondazione artificiale, ma anche di effettuare la diagnosi pre-impianto con finalità eugenetica, tutte cose che la legge 40 vieta. Il giudice, in particolare, dichiara esistente «il diritto dei signori Rosetta Costa e Walter Pavan a sottoporsi al procedimento di procreazione medicalmente assistita con trasferimento in utero della signora Costa, previo esame clinico e diagnostico degli embrioni creati tramite fecondazione in vitro, solo degli embrioni sani o portatori sani rispetto alla patologia da cui sono affette le parti mediante le metodologie previste dalla scienza medica e con crioconservazione degli embrioni malati sino all’esito della tutela di merito».

Da un punto di vista giuridico-procedimentale si tratta di un colpo di Stato. Infatti il giudice romano non ha competenza per disapplicare la legge. Ricordiamo che secondo la Costituzione il magistrato è chiamato ad applicare la legge non a infischiarsene. L’unica strada legittima per il giudice capitolino era quella di chiamare in causa la Corte Costituzionale affinché si pronunciasse sulla costituzionalità degli articoli della legge 40 che vietano l’accesso alla provetta delle coppie fertili e la diagnosi pre-impianto con scopi eugenetici. Invece il giudice ha fatto spallucce ed è andato per la sua strada.

Questo diciannovesimo attacco alla legge 40 insegna perlomeno un paio di cose.

In primo luogo, come più volte abbiamo sottolineato, regolamentare una pratica intrinsecamente malvagia fa saltare tutti i paletti che si sono posti perché il male non dilaghi. È come permettere ad un piromane di lavorare nella forestale con l’assicurazione che tanto verrà sorvegliato dai colleghi ed è stato privato dell’accendino. Questo vale non solo per la legge 40, ma anche per il ddl omofobia: se una teoria di giudici è riuscita ad evadere addirittura dei divieti imposti dalla legge per delimitare le pratiche della fecondazione extracorporea, figurarsi che fine faranno gli emendamenti sul testo dell’on. Scalfarotto che nelle intenzioni dei proponenti dovranno far salva la libertà di espressione. Saranno carne da macello giuridico. Alcuni giuristi, anche di area cattolica, è come se vivessero nell’iperuranio di Platone, in un mondo ideale e astratto e non comprendono che la forza della lettera normativa è ben poca cosa rispetto alla violenza ideologica. Possibile che dopo tante prove empiriche che la recente storia giurisprudenziale ci ha fornito su temi sensibili come aborto, Fertilizzazione In Vitro con Embryo Transfer (Fivet) ed eutanasia la lezione non sia stata ancora capita?

In secondo luogo viviamo nell’impunità legale. Viene da chiedersi che valore abbiano, ormai, oggi le leggi varate dal Parlamento se poi magistrati e amministratori locali (vedi bioetestamento e unioni di fatto) se ne fanno un baffo e prendono decisioni contra legem, sicuri che per loro le manette mai scatteranno né saranno colpiti nemmeno da sanzioni disciplinari. Forse è tempo di essere più coerenti, ma alla rovescia. Il nostro ordinamento giuridico ha una fisionomia giurisprudenziale propria dei sistemi di civil law. Semplificando assai potremmo dire che prima viene la legge e poi c’è il giudice che applica questa legge. Nei sistemi invece di common law, proprio dei paesi anglosassoni, il giudice per risolvere il caso concreto si rifà ai precedenti giurisprudenziali oppure, se non trova nulla nelle sentenze dei suoi colleghi che gli vada a genio per il caso concreto, può innovare. L’operato di molti magistrati italiani su alcune materie pare proprio assomigliare a quello dei loro colleghi anglosassoni. Cosa facciamo? Mettiamo mano alla Costituzione per cambiare le regole?