I generali e il petroliere I nuovi uomini del presidente
Un generale agli Interni e un petroliere agli Esteri. Sono le nuove, clamorose, nomine dell'amministrazione Trump. I conservatori, che speravano in Rudolph Giuliani, restano a bocca asciutta. E il nuovo titolare del dipartimento di Stato non piace ai repubblicani perché amico di Putin.
TRUMP NON SCHERZA SU TAIWAN di S. Magni
Il nuovo direttore dell’Environmental Protection Agency, l’ente governativo statunitense preposto all’ambiente, è Scott Pruitt e il presidente eletto Donald J. Trump lo ha nominato perché è un nemico giurato delle mille regolamentazioni ecologiste con cui Barack Obama ha imbalsamato lo sviluppo economico del Paese, mentre il generale in pensione John Kelly è il nuovo ministero della Sicurezza interna. L’Homeland Security svolge funzioni simili a quelle che in Italia spettano al ministero dell’Interno ed è stato istituito nel novembre 2002 come prosecuzione dell’Ufficio della Sicurezza interna creato nell’ottobre dell’anno precedente dal presidente George W. Bush Jr. in risposta agli attentati dell’Undici Settembre. Visto che dal 1º marzo 2003 ha assorbito anche il Servizio di Immigrazione e Naturalizzazione, è un ministero decisamente strategico e potente.
Proprio questa sarà infatti la priorità di Kelly, cui spetteranno le decisioni direttamente riguardanti gl’immigrati clandestini e tutte le polemiche relative al famoso muro, vero o presunto, che dovrebbe meglio: potrebbe dividere Stati Uniti e Messico. Il fatto cioè che il nuovo ministro provenga dalle forze armate ribadisce la fermezza con cui, muro o non muro, Trump vuole affrontare il nodo immigrazione: non tanto perché Kelly debba offrire prove muscolari di retorica machista, quanto perché da un militare Trump si attende quella strategia, quella risolutezza e quel decisionismo che ritiene di non vedere attuate nei politici di professione.
Del resto Kelly non è il primo militare scelto da Trump per il governo: segue il generale a riposo dei Marine James N. Mattis nominato alla Difesa e il tenente generale a riposo dell’esercito Michael T. Flynn scelto come consigliere per la Sicurezza nazionale. Un po’ sono decisioni frutto del favore con cui diversi ambienti militari in rotta con la politica politicante hanno sostenuto Trump e di cui Trump si è sempre vantato, un po’ obbediscono al criterio pragmatico con cui il nuovo presidente cerca il più possibile per scelta ma anche per necessità, vista la sua inesperienza politica di non servirsi del vecchio ceto dirigente.
Niente Rudolph Giuliani, dunque, il cui nome era circolato proprio per l’Homeland Security (poi anche per la Segreteria di Stato, ma è acqua passata pure quella) e che se fosse andato lì avrebbe scontentato meno che altrove anche i conservatori del Partito Repubblicano; Giuliani, infatti, che non è affatto un conservatore e che su temi morali è in controtendenza rispetto alla linea del suo partito, il meglio di sé, se proprio avesse dovuto entrare nel governo, lo avrebbe potuto dare in tema di “law and order”. Non tanto perché è stato il sindaco dell’Undici Settembre, ma soprattutto per avere ripulito New York prima come “procuratore di ferro” e poi come suo primo cittadino con la famosa strategia della “tolleranza zero", la quale, non distinguendo speciosamente fra microcriminalità e grandi cartelli del malaffare, ha stroncato la delinquenza sul nascere impedendo che si trasformasse in giro grosso.
Ma la nomina più importante e per molti versi più clamorosa è quella di Rex Tillerson, CEO della Exxon Mobil Corporation, alla Segreteria di Stato. Esperienza politica diretta Tillerson non ne ha nemmeno lui, però conosce bene, per evidenti motivi, mezzo mondo. In più è un gran tessitore di rapporti internazionali, e i rapporti che ha sino a oggi tessuto a capo di una delle più importanti e strategiche compagnie petrolifere del mondo non sono mai né banali né, per forza di cose, perfettamente lineari. Un conto sono infatti i proclami politici (compresi quelli demagogici), un conto sono invece i confini della geopolitica energetica e degli schieramenti de facto essi che implicano; i primi paiono fatti, almeno sulla carta, sempre a righe diritte, ma i margini dei secondi sono immancabilmente più labili o comunque tortuosi.
Tillerson, per esempio, è un grande amico di Vladimir Putin in forza degli accordi commerciali stretti per lo sfruttamento delle risorse petrolifere russe che ne hanno fatto pure un nemico giurato delle sanzioni contro Mosca per la questione ucraina. Quindi è un uomo chiave della nuova politica estera americana, una politica estera fatta dal business ? e con Trump questa sarà una costante dei prossimi quattro anni ? e dalle pipeline (e questo è invece un classico e basta).
Ma per il protezionista Trump un probabile asse Washington-Mosca potrebbe valere soprattutto in funzione anticinese. Trump è ai ferri conti con Pechino in molti ambiti, da Taiwan al giganteggiare minaccioso della Cina nel WTO, e non ultimo pesa su tutto la questione di quei dazi doganali di cui il neopresidente è un fautore scoperto. In assoluto, questo estranierebbe Trump ancora di più dal mondo del libero mercato, ma relativamente parlando è difficile che anche dai settori più favorevoli a esso possa venirgliene un’opposizione aprioristicamente cocciuta vista la necessità, comunque, di garantire anzitutto il mercato statunitense.
Al netto delle considerazioni pur importanti di semplice contingenza resta però sul piatto quell’avvicinamento tra Stati Uniti trumpiani e Russia putiniana che non tutti nella Destra americana ? quella con cui comunque Trump dovrà sempre fare realisticamente i conti ? vedono di buon occhio. Oltre certe convergenze ipotizzabili su alcuni dossier, infatti, l’autocrazia putinana è l’esatto contrario della concezione politica del repubblicanesimo classico (governo limitato, divisione dei poteri, libera intrapresa) che per il Grand Old Party (GOP, l’altro nome del Partito Repubblicano) è vangelo; e tutto la maggioranza Repubblicana al Congresso è disposta a tollerare tranne che vedere il presidente federale con il colbacco. Il Congresso a maggioranza Repubblicana promette dunque battaglia in occasione delle audizioni per la conferma di Tillerson che si svolgeranno, come prevede la legge, davanti alla Commissione esteri del Senato con il difficile compito di smarcarsi sia dalla dissennata politica obamiana, che con la Russia ha ingiustificatamente cercato lo scontro a ogni costo, sia dalla concezione dell’“uomo solo al governo” da cui l’Amministrazione Trump potrebbe essere tentata.