I gay arruolano gli "All Black". Ma loro non lo sanno
L’ideologia gender sta svuotando alcuni simboli propri dell’immaginario maschile, rendendoli meno virili e più effeminati. Qualcuno è riuscito fare passare sotto gli occhiali rosa del pensiero gay friendly anche il più macho degli sport: il rugby. Involontari complici gli "All Blacks", i mitici rugbisti della nazionale neozelandese.
Pensate se per legge fossero aboliti i supereroi. Niente più fumetti o film che li riguardano e quindi niente più superpoteri, coraggio, generosità e spirito di sacrificio. Gli adolescenti di oggi, e non solo loro, subirebbero un grave smacco. E gli adolescenti del futuro crescerebbero senza più un paradigma di riferimento, non l’unico ma di certo importante, a cui ispirarsi, un esempio da prendere per modello. Allo stesso modo pensate a una legge che vietasse tra innamorati atti come donare dei fiori, invitare a cena la lei di coppia e offrire baci perugina. Ovviamente sarebbe abrogata la giornata di San Valentino. Anche in questo caso agli innamorati sarebbe privato tutto un mondo di segni e simboli in cui identificarsi ed indispensabile per comunicare il loro amore.
Insomma, ci sono dei modelli dell’immaginario collettivo essenziali per crescere e vivere, attraverso cui assimiliamo in modo personale gesti, identità e condotte che costruiscono la nostra persona. I simboli – ci dicono i sociologici – sono importanti. L’ideologia gender sta svuotando da dentro alcuni simboli propri dell’immaginario maschile, li sta evirando, cioè rendendo meno virili e più effeminati. Un campo privilegiato è quello dello sport, perché da sempre qualsiasi attività sportiva – a parte qualche disciplina mista – vede gare esclusivamente dedicate agli uomini e altre alle donne, proprio perché uomini e donne sono diversi, fisicamente e non solo. Questo comporta che alcuni sport siano intesi molto “machi”, più di altri. Un tentativo della comunità Lgbt è quella di renderli meno “machi”, almeno nella percezione collettiva. In tal modo si diluiscono sempre più le differenze tra uomini e donne, obiettivo tipico della gender theory.
Ad esempio, esiste da tempo il Campionato mondiale di Calcio gay organizzato dalla International Gay and Lesbian Football Association, oppure i Gay Games, che sono vere e proprie olimpiadi per persone omosessuali, ma aperte anche agli etero. Esistono poi alcune squadre di rugby – uno sport per antonomasia “maschile” – gay friendly, dove molti se non tutti i giocatori sono omosessuali. Anche in Italia c’è una squadra omofila, si chiama "Libera Rugby Club". Lo scopo dichiarato di questo team – il cui nome rimanda alla liberazione da ipotetici stereotipi omofobi - è quello della diffusione del rugby nella comunità Lgbt. Quello meno dichiarato, ma forse più vero, è far parlare di sé e dunque mettere sotto i riflettori l’omosessualità, come se fosse un fenomeno negletto. Per far parlare di sé devi alzare la voce. Un ottimo megafono è stato loro prestato dalla Gazzetta dello Sport che ieri ha messo sulla copertina del suo allegato SportWeek due rugbisti della squadra "Libera" che si baciano accompagnati dalla scritta “Chi ha paura di un bacio?”.
"Libera" è squadra che con coraggio potremmo chiamare amatoriale, ma anche questo poco importa. L’importante è che sia venduta come team composta da professionisti. E infatti Libera era presente, in una partitella contro l’Ambrosiano, il 13 giugno scorso all’Arena Civica di Parco Sempione a Milano per la manifestazione sportiva “Le leggende del Rugby a Milano”, dove si erano affrontati le vecchie glorie del rugby italiano con alcuni ex "All Blacks", i mitici rugbisti della nazionale neozelandese. Tanto bastò che qualcuno aveva fatto passare il bacio gay sulla rivista SportWeek per un bacio tra due giocatori degli "All Blacks". Nella centrifuga mediatica ed internettiana tutto può essere. La presenza di "Libera" in quella giornata non era un mero accessorio, bensì rappresentava il cuore della manifestazione, tanto che proprio in quel dì venne lanciata la campagna #liberatutti che continua sulle pagine della Gazzetta dello Sport, il cui colore rosa da oggi inizia a diventare sospetto.
La squadra "Libera" è sponsorizzata dall’azienda Althea che produce sughi. Qualche anno fa fece parlare di sé perché realizzò degli spot dove alcune coppie omosessuali si baciavano. Torniamo ai supereroi e ai baci perugina (che presto sul famoso tubo dovranno sostituire gli amanti etero che si baciano con due gay). C’è una legge non scritta che sta mettendo al bando la virilità. Libera ne è un esempio. Il rugby nell’immaginario collettivo è un gioco virile, dove ci si fa male, ma non ci si lamenta come signorine, dove c’è fango e sudore, dove c’è fatica e spirito di corpo. Venire a sapere che esiste una squadra di rugby omosessuale è come rubare all’immaginario maschile un pezzetto di sé, è come mettere il tutù a 15 guerrieri alti e grossi. È l’eutanasia del rugby e di quegli archetipi che contribuiscono a farci uomini e donne.