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TRA LE RIGHE

I fratelli Karamazov

Che cos'è il bene per l'uomo? È la domanda sottesa al monumentale romanzo di Dostoevskij. Un classico che al di là dell'ambientazione storica è capace di parlare ancora agli uomini del nostro tempo con le loro passioni e i loro dilemmi.

Tra le righe 28_05_2011
I fratelli Karamazov


Senza farci scoraggiare dalla mole del romanzo, proviamo ad aprire I fratelli Karamàzov di Fëdor Dostoevskij (appena pubblicato da Dalai).

Immediatamente, l’attacco del romanzo avvince, incuriosisce, spinge a continuare la lettura: “Aleksej Fedor Karamazov era il terzo figlio di un possidente del nostro distretto, Fedor Pavlovic Karamazov, molto noto ai suoi tempi (e ricordato, del resto, ancora oggi, per la sua tragica e oscura fine, avvenuta precisamente tredici anni or sono e di cui tratterò la momento opportuno). Ora di questo “possidente” (come lo si chiamava da noi sebbene non fosse quasi ai vissuto nella sua proprietà) dirò soltanto che era un tipo strano, come però se ne incontrano abbastanza ascesso, ossia il tipo dell’uomo non solo abietto e dissoluto, ma anche scervellato: uno di quegli scervellati, però, che sanno cavarsela magnificamente nei loro affarucci d’interesse ma, a quanto pare, soltanto in questi”.

Ormai, lette anche solo queste poche righe, siamo definitivamente incuriositi: c’è un personaggio, Aleksej, che avrà un ruolo importante, cruciale nel romanzo, se di lui si parla fin dal principio; ma, prima, Dostoevskij si sofferma sul padre, uomo noto, anzi famigerato; e l’inciso ci dice che egli, “abietto e dissoluto”, morirà in modo tragicamente oscuro. C’è tutto, ormai, per stuzzicare il lettore: un figlio, di cui ci verrà detto tutto con gran dovizia e che costituirà il cuore pulsante del romanzo; un padre, pessimo educatore, dalle infime qualità morali, qualificato, alla fine del quarto capitolo, in modo lapidario: “Era un sentimentale. Era cattivo e sentimentale”; infine, l’allusione alla morte di questo padre in circostanze drammatiche. Ora dobbiamo procedere nella lettura, dobbiamo, vogliamo saperne di più: ed eccoci sbalzati così, in tutta naturalezza, in una trama gigantesca, in una storia titanica per estensione e per temi, che ci pone di fronte all’interrogativo morale e alla Trascendenza.

Il racconto ha un’impennata quando si profila apertamente tema religioso, con il ritratto fisico e, soprattutto, caratteriale di Aleksej, e con la presentazione dello starec, la figura del monaco autorevole e celebre per santità, che l’autore presenta così “Lo starec è uno che conquista la vostra anima, la vostra volontà e l’assorbe nella sua propria anima e nella sua propria volontà. Scelto uno starec, voi abdicate dalla vostra volontà e la rimettete a lui in piena obbedienza, con piena autorinunzia”. La tematica religiosa, quando non apertamente cristiana e il rovello morale, costituiscono l’anima del romanzo, quello che lo fa grande e che gli consente di parlare ancora al lettore moderno, che glielo rende tanto vivo e attuale, tanto contemporaneo e, in fondo, al di là dell’ambientazione storica, tanto familiare nei temi e nei conflitti che descrive.

I caratteri dei tre fratelli Karamazov
, in fondo, rappresentano tre tipologie caratteriali fondamentali, i tre modi, cioè, in cui si può rispondere all’eterna domanda: che cos’è il bene per l’uomo? Sotto il tema tipicamente romanzesco, la ricerca del colpevole dell’omicidio del padre, il racconto cela, nemmeno troppo, un intento più profondo. Per Dimitrij, il bene sta nelle passioni, nella possibilità di dar loro sfogo e soddisfazione (e in ciò raccoglie e sviluppa un elemento-cardine della personalità paterna); per Ivan, invece, il bene è legato alla riflessione, alla ragione che diventa principio-guida, scientifico e assoluto nella vita. Per il secondogenito, cioè “il bene sta nella libertà, nella persona, nel dovere e non nell’essere”, con una “identificazione tra il dovere kantiano e il bene, bene autonomo, che non ha bisogno di alcun principio che lo trascenda” (G. Spendel).

Il celeberrimo, lungo brano che ha per protagonista “Il grande Inquisitore”, un racconto-parabola di Ivan, è frutto della fantasia di questo personaggio così razionale, ed è espressione della sua visione filosofica della libertà. Ma per Aleksej, invece, il bene sta nell’amare: Ivan è l’uomo del dovere, ma non ama nessuno, e per questo il suo senso del dovere è eroico, perché viene compiuto senza slancio interiore, senza che le sue azioni scaturiscano da quella sorgente di calda luce interiore che anima invece il fratello minore. Se lo giudicassimo con il nostro metro, in fondo, potremmo persino ritenere Aleksej un perdigiorno, e invece, se ben guardiamo, incarna il bene al livello più alto, l’amore che non si lascia trascinare dalle passioni, o dal senso astratto del dovere. E nella virtù di questo giovane brilla un senso di profonda ammirazione anche estetica per il mondo, di gioia, che lo rende sempre scevro dal degenerare delle passioni, ma non solo.

Se davvero cominciassimo a guardare i classici non come monumenti del passato, scolpiti nel marmo, sacri, ma anche intoccabili, se smettessimo di citarli con il rispetto dovuto a una reliquia archeologica, considerandoli però freddi, morti al dialogo con noi uomini del post-moderno, potremmo invece trovare in loro, come nei Fratelli Karamazov, un calore e una capacità di parlarci di noi e dei nostri problemi che ci stupirebbe e consolerebbe.

 

Fëdor Dostoevskij
I fratelli Karamàzov
Dalai Editore, pagine 1038, euro 14,90.